La Polonia sarà la potenza del futuro in Europa. Non solo perché gli Stati Uniti l’hanno investita del ruolo di punta di lancia della Nato nel Vecchio Continente, diretta contro la Russia imperialista. Ma anche perché Varsavia ha messo in atto i maggiori investimenti statali nella Difesa, diventando rapidamente il Paese più armato del Continente. Un riarmo foraggiato dagli Usa, con tecnologie di punta. Un processo innescato dalla guerra d’Ucraina e che ha visto anche la medesima iniziativa da parte della Germania, che però per vari motivi ha “sfidato” l’egemonia americana in terra europea al pari della Francia.
Da qui la postura della nuova Polonia imperiale, come l’ha definita Limes. Da qui la contesa con i “nemici” di sempre, Germania e Russia, e la volontà ferma di diventare il baluardo europeo e orientale di un’Alleanza Atlantica che si sta riscoprendo sempre più Baltica, grazie anche all’annunciato ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. In terra polacca sono proliferate industrie militari, basi americane e centri di addestramento per i soldati ucraini e da lì partono gli approvvigionamenti che oltrepassano il confine col Paese invaso.
Perché la Polonia ha deciso lo stop (a metà) alle armi a Kiev
“Non trasferiremo più armi all’Ucraina, ora ci armeremo con le armi più moderne”. È cominciato tutto così, con le contestatissime e fraintese dichiarazioni del premier polacco Mateusz Morawiecki, poi corrette in corsa dal presidente Andrzej Duda. “Secondo me, il primo ministro intendeva dire che non trasferiremo all’Ucraina le nuove armi che stiamo acquistando attualmente mentre modernizziamo l’esercito polacco”. In quel “secondo me” è racchiusa tutta la confusione di un Paese che vuole fare il grande salto. A metterci una pietra sopra e riportare sulla rotta atlantica pro Ucraina ci hanno poi pensato gli Stati Uniti, senior partner del blocco europeo. “Siamo convinti che la Polonia resterà un forte sostenitore dell’Ucraina con la fornitura di obici ed altre armi”, ha affermato il consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan.
Ma la Polonia si vuole armare, “tradendo” a metà la missione di miglior alleato di Kiev con una giustificazione antica e strategica: difendersi da un’eventuale aggressione russa, che la guerra d’Ucraina ha chiaramente configurato come possibile. Alla fine, a ben vedere, Duda non è intervenuto per calmare le acque, viste le altre dichiarazioni che ha rilasciato: “L’Ucraina è come un uomo in procinto di annegare, estremamente pericoloso poiché può tirare a fondo il suo salvatore”. La decisione polacca, come del resto la sua volontà di primeggiare nel Continente, non poteva non scontrarsi con le istanze dell’Unione europea, figurarsi con quelle ucraine.
Morawiecki tuona contro Zelensky, intimandogli di non “insultare mai più i polacchi”. Il presidente ucraino, durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, aveva criticato la Polonia proprio per la sua decisione di mantenere il divieto all’import di grano ucraino, nonostante il parere contrario della Commissione Ue, definendo la disputa un “teatro politico” e “una sceneggiata”. “Il popolo polacco non permetterà mai che ciò accada e difendere il buon nome della Polonia non è solo mio dovere e onore, ma anche il compito più importante del governo polacco”, ha ribadito il primo ministro. E non è neanche un caso che il nuovo ministro della Difesa ucraino Rustem Umjerov, volato a Ramstein in Germania per incontrare i Paesi fornitori di armi, non abbia ringraziato apertamente la Polonia. Il tutto nonostante quest’ultima abbia fornito a Kiev assistenza militare per un valore di 3,3 miliardi di dollari nel solo mese di agosto.
L’ulteriore goccia in un vaso da tempo traboccante è stata la proposta di riforma avanzata da Zelensky nel suo intervento all’Onu: accettare come membro permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite l’avversaria polacca di sempre, la Germania. A surriscaldare ulteriormente l’ambiente ci ha pensato l’ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, secondo il quale Varsavia “affonda un coltello politico nella schiena dell’Ucraina” per trarre vantaggio in campagna elettorale in vista delle elezioni parlamentari del 15 ottobre.
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Grano ed elezioni: cosa vuole davvero la Polonia?
Le elezioni politiche: eccolo, il primo grande perché del cambiamento di postura di Varsavia nei confronti del blocco occidentale. Tusk lo sa bene, in quanto leader della principale coalizione di opposizione in Polonia. L’attuale governo polacco “ha messo a repentaglio i nostri interessi, ha ceduto quasi tutte le armi che potrebbero essere utili sul fronte e alla fine sta rovinando questo investimento nelle relazioni polacco-ucraine. Questo è assolutamente inaccettabile”, ha aggiunto. Propaganda, ovvio, ma che rivela un elemento centrale: la “stanchezza” dell’elettorato polacco nel sopportare le ondate di profughi di guerra e migranti, oltre agli sforzi umanitari e bellici che hanno trasformato il Paese, nella percezione popolare, in una “grande caserma”, un gigantesco hub logistico in cui pascolano soldati e ufficiali americani e in cui sulle strade nazionali si vedono spesso camion militari, armamenti e carri armati.
Il vero nodo del contendere, a detta di alcuni analisti, è però il grano ucraino. Anche in questo caso la ripercussione temuta è elettorale. Nelle ultime settimane l’import massiccio di cereali ucraini sul mercato unico europeo ha fatto crescere nei polacchi la consapevolezza (o convinzione?) sui rischi per l’agricoltura nazionale. Il grano di Kiev costa meno e minaccia il lavoro di migliaia di agricoltori, una categoria che ha un grande peso sociale ed elettorale nel Paese. Una motivazione abbastanza forte da indurre Varsavia a promuovere un gruppo di cinque Paesi europei favorevoli al blocco al grano ucraino. Una mossa in chiaro e calcolato contrasto con le regole del mercato unico europeo. La Commissione Ue, infatti, aveva autorizzato l’arrivo dei cereali orientali in terra europea, dichiarando pertanto illegittimo il blocco. Seguita a ruota dall’Ucraina, che ha addirittura portato il caso polacco all’attenzione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Tentando una sintesi con altre parole: la Polonia vuole una Russia europea per assurgere a ruolo di porta d’Oriente, come dimostra il fatto che al vertice Nato di Vilnius ha discusso dell’espansione di nuovi oleodotti a Est. Per lo stesso motivo, Varsavia ha sponsorizzato fortemente l’ingresso dell’Ucraina nella Nato (quando ci sarà e quanto costerà), incontrando inevitabili scetticismi tra gli alleati.
È tornata la “iena d’Europa”?
Da qui l’annuncio del blocco di nuovi aiuti militari a favore di Kiev, al di fuori di quelli già pattuiti. Una giocata che rivela un doppio bluff, uno di lungo corso e uno contingente. Quest’ultimo è evidente: le armi, gli addestramenti e il supporto logistico ai soldati ucraini continueranno a essere garantiti. L’alzata di voce evidenzia però un malcelato inganno di lungo corso: la crociata a spada tratta della Polonia per la libertà ucraina non è mossa tanto dalla volontà di difendere le democrazie e i valori occidentali (tristemente spesso calpestati in terra polacca, come noto) né dall’ineffabile sudditanza a Washington, quanto dalla volontà di cementare un blocco convintamente e concretamente anti-russo.
Aggiungere quanti più mattoni possibili al muro europeo che tiene la Russia lontana dalla porta di casa. E tenere contemporaneamente sotto scacco Bruxelles, ma non la Nato e gli Usa: il ritiro del sostegno militare all’Ucraina potrebbe infatti generare altrettante contromosse e irritazione in alcuni alleati. Il pericolo più probabile, in questo senso, sarebbe l’isolamento di Varsavia e la perdita del ruolo preminente finora recitato. Tant’è vero che alcuni attori, vedi i britannici, hanno già ripescato il concetto di “Polonia iena d’Europa” teorizzato dall’indimenticato Winston Churchill (qui abbiamo spiegato come e perché ha vinto la Seconda Guerra Mondiale), per indicare l’abitudine ferina del Paese di approfittare delle debolezze e delle crisi delle altre nazioni per ingrandirsi o ottenere vantaggi. Un avversario interno all’Unione pronto a difendere prima i suoi interessi rispetto a quelli comunitari. Dall’altro lato la Polonia conservatrice e poco europeista del partito di governo PiS si è fatta però portavoce delle preoccupazioni dei Paesi dell’Est europeo nei confronti della Russia imperialista, sognando un’Europa del futuro a trazione centro-orientale. E ritorniamo, dunque, alla scelta di rinforzare l’esercito.
Il riarmo della Polonia: si rischia un’altra guerra?
Il governo polacco ha deciso di più che raddoppiare le unità del suo esercito, portandole dalle 110mila di inizio 2023 alle oltre 250mila entro fine anno. Che diventeranno 300mila nei primi mesi del 2024. Stesso destino anche per i volontari delle Forze di difesa territoriale, in pratica la Guardia nazionale polacca, che passeranno da 30mila a 53mila. Un salto non solo di quantità, ma di qualità: da oltre un anno la Polonia sta ammodernando le sue Forze Armate su guida statunitense, affiancando ai vetusti armamenti d’epoca sovietica gli strumenti bellici più avanzati a disposizione. Entro il 2024 il Paese arriverà a investire nella Difesa circa il 3% del Pil, pari a oltre 25 miliardi di euro (un aumento di spesa del 16%). A tutto questo si affianca lo stanziamento di 8 miliardi di euro sotto forma di un fondo extra-bilancio, sempre finalizzato all’acquisto di nuovi armamenti. La nuova legge sulla difesa della patria, infine, favorirà i programmi di defence procurement annunciati dal ministro della Difesa, Mariusz Błaszczak.
Come si giustifica un tale riarmo? Con il timore di aggressione da parte della confinante Bielorussia, dichiaratamente schierata con Mosca. Le avvisaglie ci sono state: l’aumento degli arrivi di migranti irregolari – secondo Varsavia incentivati da Minsk -, le sempre più frequenti e vicine esercitazioni militari e la presenza dei mercenari Wagner su suolo bielorusso. Fonti di intelligence parlano di oltre 4mila miliziani, almeno cento dei quali si sono spostati verso il cruciale corridoio di Suwalki, al confine tra Polonia e Lituania, che potrebbe collegare rapidamente la Bielorussia a Kaliningrad.
Da qui la decisione polacca di schierare 10mila soldati alla frontiera nel solo mese di agosto. Tra loro figurano molti cecchini, oltre a piloti di elicotteri da combattimento, pronti “senza esitazione” ad aprire il fuoco in caso di minaccia. Gran parte di loro sono professionisti della guerra che hanno prestato servizio in teatri tremendi come Afghanistan e Iran. La Polonia ha deciso inoltre di attivare stazioni radar Bystra per meglio proteggere la frontiera più calda. Il tutto con la complicità della vicina Lituania, altro grande avamposto anti-russo.
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Il passaggio di testimone da Berlino a Varsavia
In principio era la Germania. Dalla caduta del Muro di Berlino il cuore industriale d’Europa è stato l’avamposto privilegiato degli Stati Uniti nel Vecchio Continente, indebolito dall’impossibilità di ricostruirsi un esercito e dalla dismissione del marco tedesco. Berlino però ha alzato la testa e anche la voce con Washington, facendo dell’euro un punto di forza anziché una “punizione” e destinando per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ingenti fondi statali alla Difesa (circa il 2% del Pil, pari a oltre 100 miliardi di euro). Forte del suo strategico surplus produttivo e commerciale e della sua fittissima rete di esportazioni, con massimo cliente l’Italia, ha “sfidato” l’egemonia Usa nel Continente al punto da proporsi poco timidamente come approdo della Nuova Via della Seta cinese (la Belt and Road Initiative inaugurata nel 2021). Un filo diretto tra Amburgo e Wuwei, e quindi tra Berlino e Pechino, intollerabile per Washington.
Tutto questo cosa c’entra con la Polonia? Se la Germania è il cuore d’Europa, la Polonia ne è diventato lo scudo. Senza piombare nel determinismo geografico, la Polonia è la vertebra più importante della colonna di Stati, che comprende anche le Repubbliche Baltiche, che guarda negli occhi la Russia e la sua succursale Bielorussia. E’ lì, animata da un odio atavico verso chi l’ha frantumata, invasa e spartita nel corso dei secoli. Che l’ha distrutta quando era un Regno, quasi un Impero: la Confederazione polacco-lituana, smembrata sul finire del Settecento per mano di Russia, Prussia e Austria. Polacchi senza più Polonia, cittadini senza una nazione nell’epoca dei nazionalismi, cancellata dalle mappe per oltre 120 anni. Una memoria viva ancora oggi, con Varsavia baluardo della lotta per la libertà per passato e status, fucina di aiuti militari e umanitari all’Ucraina e rifugio per centinaia di migliaia di profughi.
In questo senso la posizione mediana fra Russia e Germania, il cui contatto è il più grande incubo per i polacchi come per gli americani, è diventata un punto di forza. Come dimostra il fermo sostegno all’operazione Trimarium, l’iniziativa dei Tre Mari (Baltico, Adriatico e Nero) lanciata nel 2015 e che coinvolge 12 Stati europei nella formazione di una cortina di contenimento anti-russa, da nord a sud, e che vede proprio nella Polonia il fulcro ideale e operativo. “Essere pronti” è il modus vivendi geopolitico dei polacchi, come rivela il motto che nel 1944 risuonava tra i ribelli di Varsavia contro i nazisti. La guerra d’Ucraina lo ha mostrato plasticamente, elevando la Polonia a nuovo baluardo della Nato doppiamente strategico: per contrastare i russi e per tenere a bada i tedeschi. Con il solito grande obiettivo di fondo: non permettere che emerga uno Stato egemone sugli altri in Europa, tantomeno in Eurasia.
Gli Stati Uniti in Polonia
Va da sé che l’importanza tattica della Polonia è decisa e costruita dagli Usa. Quegli stessi Usa che già nel Primo Dopoguerra, col presidente Wilson, affermarono con forza la necessità di garantire uno sbocco sul Mar Baltico al Paese, per spezzare le minacce sovietica e tedesca. Una minaccia che oggi è soltanto russa, con l’exclave di Kaliningrad (ecco perché è così importante) e le basi militari e missilistiche come quella di Kronstadt, nel Golfo di Finlandia.
Per questo il Pentagono ha rinforzato e addestrato massicciamente la sedicesima divisione polacca, la “Pomeranian” di Elbląg, che sorveglia lo strategico corridoio di Suwalki. Qui è presente anche il Battaglione multinazionale Battle Group Poland, guidato dal II Squadrone (detti “Cougars”) dell’esercito Usa e contenente anche il II reggimento di cavalleria americano con sede a Rose Barracks (Germania).
Il 21 marzo 2023 gli Stati Uniti hanno inaugurato la loro prima base militare permanente in terra polacca: la Us Army Garrison Poland nella città di Poznan, che fungerà da quartier generale del comando avanzato del V Corpo d’Armata dell’esercito a stelle e strisce. Importante è anche il centro di addestramento a Drawsko Pomorskie, già sede di esercitazioni Nato multinazionali. Le basi americane e dell’Alleanza “ordinarie” in Polonia sono numerose. Partiamo dalle seconde:
- Stettino, dove hanno sede il Corpo multinazionale Nord-Est e il Comando alleato controspionaggio;
- Elbląg, dove si trova la Divisione multinazionale Nord-Est;
- Bydgoszcz, dove c’è il Centro di addestramento interforze della Nato;
- Orzysz, dove è stanziato il Gruppo tattico con presenza avanzata potenziata;
- Cracovia, sede del Centro di eccellenza di controspionaggio Nato.
Le basi statunitensi sono invece:
- Redzikowo (Epaa, Approccio adattivo europeo per fasi)
- Zagan (Quartier generale della brigata corazzata)
- Skwyerzina (Squadra da combattimento della brigata corazzata)
- Swietoszow (Squadra da combattimento della brigata corazzata)
- Bolesławiec (Squadra da combattimento della brigata corazzata)
- Powidz (Logistica di rotazione e aviazione)
- Poznan (Camp Kosciuszko, quartier generale del V Corpo d’Armata Usa)
- Łask (52° Distaccamento gruppo operazioni)
- Mirosławiec (52° Distaccamento gruppo operazioni)