Ormai gli allarmi di escalation in Medio Oriente si susseguono a cadenza quotidiana. La tensione tra Israele e Iran è altissima e i rischi di conflitto diretto sempre più concreti. Al punto che Teheran ha avvertito le compagnie aeree civili di tutto il mondo di evitare di volare nello spazio aereo della Repubblica Islamica nella notte tra 7 e 8 agosto.
La motivazione ufficiale è legata allo svolgimento di esercitazioni militari, ma Stato ebraico e Occidente temono che la mossa sia la fase preparatoria di un grande attacco. Da giorni i media occidentali paventano infatti che Teheran o uno dei suoi alleati possa lanciare un raid contro Israele come rappresaglia per l’uccisione dell’ex leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh. La regione conoscerà davvero l’apocalisse bellica?
La nuova mossa dell’Iran
L’interdizione dello spazio aereo iraniano è stata stabilita dall’1 alle 4 locali (corrispondenti alle 3 e alle 6 italiane). L’Egitto, che ha diffuso la notizia e che è impegnato nello sforzo diplomatico per la definizione di un accordo di tregua, ha prontamente ordinato alle proprie compagnie aeree che operano voli civili di evitare di sorvolare il territorio persiano. La volontà primaria del Cairo è quello di evitare di farsi male, ma anche di mantenersi neutrale nonostante il suo inserimento nella struttura regionale a guida americana. Tant’è vero che pochi giorni fa l’Egitto aveva informato la delegazione israeliana inviata al Cairo che non il Paese non avrebbe fatto parte della coalizione militare regionale per respingere il previsto attacco dell’Iran. Al di là dell’ultimo altisonante annuncio iraniano che, a ben vedere, è di fatto stato fulmineo e fumoso. Parlando all’agenzia di stampa iraniana Isna nei primi concitati momenti, il direttore dell’aeroporto internazionale iraniano di Teheran, Saeed Chalandari, ha negato le notizie di un avvertimento contro l’ingresso nello spazio aereo dell’Iran occidentale. In soldoni: fin dall’inizio non è stato chiaro se l’interdizione dei cieli valesse per l’intero Paese.
L’accresciuta tensione nella regione ha tuttavia spinto molte compagnie aeree internazionali a sospendere i voli verso Libano, Israele e Iran, a prescindere dall’effettiva portata dalla mossa degli ayatollah. Un esempio: già domenica, come riferito dal quotidiano panarabo Asharq al-Awsat, le autorità della Giordania avevano chiesto a tutti i voli che atterrano negli aeroporti del Paese di dotarsi di quantità di carburante extra per 45 minuti di autonomia in più rispetto al previsto.
I timori israeliani di un attacco iraniano imminente si basano sulle reiterate minacce persiane. Risonante propaganda che, nonostante l’inopportunità strategica di scagliarsi contro una grande potenza nucleare come Israele, potrebbe prendere effettivamente la piega irrazionale dell’escalation diretta. Giorni fa il capo dell’esercito iraniano, il generale Abdolrahim Mousavi, aveva avvisato che lo Stato ebraico “riceverà presto una risposta forte e decisa, senza alcun dubbio”. Parole allarmanti, accompagnate dall’annuncio di potenziamento della difesa aerea, grazie anche alla fornitura di nuovi radar e missili intercettori da parte della cooperante Russia.
L’Iran attaccherà davvero Israele?
Come già osservato negli ultimi mesi, ad esempio nel caso dello scenografico attacco di aprile con 300 droni e missili, l’Iran mostra di voler evitare una guerra diretta allo Stato ebraico, preferendo continuare nella sua proxy war utilizzando i propri satelliti fondamentalisti Hamas, Hezbollah e Houthi. Al netto dei consueti slanci propagandistici, come l’appello del ministro degli Esteri iraniano, Ali Bagheri Kani, ai Paesi islamici affinché “sostengano il diritto della Repubblica Islamica a difendersi da qualsiasi atto di aggressione, al fine di garantire la stabilità e la sicurezza dell’intera regione”. Paesi musulmani (ben 57) che, riuniti nella voce congiunta dell’Organizzazione per la Cooperazione islamica (Oic), hanno determinato senza appello che Israele ha la piena responsabilità nell’uccisione di Ismail Haniyeh.
Finora Teheran ha evitato un attacco diretto a Israele, costruendo appositamente attorno al Grande Satana quell’Asse della Resistenza formato da milizie sciite, e dunque filo-iraniane, che condividono l’agenda anti-ebraica dell’impero persiano. Come certificato dalle dichiarazioni del nuovo presidente Massoud Pezeshkian il quale, durante una telefonata con Emmanuel Macron, ha ricordato come uno dei principi fondamentali dell’Iran sia quello di “evitare la guerra e cercare di stabilire la pace e la sicurezza nel mondo”. Ma, perché gli imperi allegano sempre un “ma”, la Repubblica Islamica “non rimarrà mai in silenzio di fronte alle violazioni dei suoi interessi e della sua sicurezza”. Lo smacco subìto col caso Haniyeh potrebbe far scattare la rappresaglia diretta di Teheran, anche se finora lo scontro con lo Stato ebraico è stato delegato alla triade Hamas-Hezbollah-Houthi. Se attacco sarà, lo scenario più probabile vedrebbe allora l’iniziativa proprio degli adiacenti miliziani libanesi, i quali devono ancora scatenare il loro reale potenziale bellico, almeno 10 volte superiore a quello di Hamas, che da solo sta dando filo da torcere a Tel Aviv, e molto più equipaggiato e pronto alla guerra dello stesso esercito libanese. Ne sono convinti anche i funzionari israeliani, sospettando un raid nei prossimi giorni. Come riferito dall’emittente israeliana Channel 12, citata dal Times of Israel, Tel Aviv ha trasmesso a Hezbollah e Iran che qualsiasi danno ai civili nello Stato ebraico per la loro azione di rappresaglia sarà “una linea rossa che porterà a una risposta sproporzionata”.
D’altronde la “Mezzaluna sciita” (come viene chiamata in Occidente) è stata costruita appositamente per distruggere gli Accordi di Abramo e la relativa normalizzazione dei rapporti fra Stato ebraico e monarchie arabe, in un momento in cui il regime Netanyahu ha rivelato sia debolezza tattica sia intransigenza diplomatica. Come abbiamo già anticipato settimane fa, in definitiva gli scenari sulla risposta iraniana a Israele sono sostanzialmente tre:
- un attacco diretto di Teheran al territorio israeliano, utilizzando missili da crociera ma anche una grande quantità di droni molto avanzati e in grado di sfuggire alla contraerea, con conseguente escalation e guerra totale;
- un inasprimento dei raid contro Israele, ma sempre attraverso l’Asse filo-iraniano formato dai clientes di Teheran: Hamas dalla Striscia di Gaza, Hezbollah dal Libano e Houthi dallo Yemen;
- innalzamento della tensione con, ad esempio, il lancio di missili di altre milizie filo-iraniane, principalmente dall’Iraq, con vettori più moderni che vadano a bersagliare le Alture del Golan o la parte settentrionale del territorio israeliano.
Israele su più fronti: triplo attacco per triplice scopo
Dall’altra parte della barricata, lo Stato ebraico non aspetta di certo le mosse ostili del nemico. L’uccisione del capo politico di Hamas in territorio iraniano è stato un simbolico colpo al cuore dell’Asse della Resistenza, che però si è accompagnato a calcolate tattiche militari anche nei confronti degli altri due gruppi islamisti filo-iraniani. Jet israeliani hanno sorvolato Beirut, mentre venivano attaccate altre basi di Hezbollah in territorio libanese, con conseguente risposta a suon di droni, e mentre veniva ucciso il numero due del “Partito di Dio” Fuad Shukr. Il 20 luglio Tel Aviv ha inoltre colpito per la prima volta in questa guerra lo Yemen sul suo territorio, impegnandosi in un terzo fronte contro gli Houthi. Sono state prese di mira strutture di stoccaggio di carburante nel porto di Hodeida, provocando morti e feriti. Sulla carta si è trattato di altre due gravi micce per l’escalation totale in Medio Oriente, che però ancora una volta non c’è stata.
Triplice esposizione militare per lo Stato ebraico, che così vuole lanciare un triplice messaggio a nemici e alleati tutti. Innanzitutto colpire i propri nemici su più fronti, anche contemporaneamente, e rilanciare la propria fama di grande potenza del Medio Oriente, fortemente compromessa da un conflitto contro un’organizzazione definita terroristica che va avanti da quasi un anno. Poi segnalare agli Stati Uniti di essere lucido abbastanza da gestire la guerra di Gaza senza scadere nell’intransigenza irrazionale che ormai tutto il mondo condanna assieme alle centinaia di migliaia di uccisioni di civili palestinesi. Infine ribadire con tragica forza che un accordo sulla tregua non può contemplare compromessi con Hamas, il cui leader Haniyeh era incaricato di sottoscrivere.
La rivalità Israele-Iran: perché sono nemici
A dieci mesi dal maxi attacco sferrato da Hamas il 7 ottobre, possiamo guardare alla crisi mediorientale con un occhio più freddo e asciutto. Gli Accordi di Abramo sono la ragione primaria per la quale l’Iran ha spinto Hamas ad attaccare Israele. Hamas ha sì una sua agenda, ma anche la mano lunga dell’Iran anche se dovrebbero essere nemici acerrimi: arabi sunniti i palestinesi da un lato, persiani e dunque sciiti gli iraniani dall’altro (che hanno scelto la confessione sciita proprio perché anti-arabi). L’agenda iraniana ha come obiettivo la distruzione degli Accordi di Abramo, voluti dagli Usa nel 2020. All’opposto l’agenda americana era invece quella di divincolare Washington dalla gestione del Medio Oriente e lasciare il contenimento di Teheran a Israele. Israele che è l’unica potenza nucleare del Medio Oriente e, soprattutto, con capacità di risposta nucleare, il che non è automatico e scontato. Al contrario ad esempio della pur temutissima Corea del Nord, che possiede la bomba atomica ma che se attacca con armi nucleari scompare dalla faccia della Terra con tutta la sua capacità di lancio. Israele no, perché dispone di ordigni nucleari presenti sui suoi sottomarini altrettanto nucleari (di produzione tedesca) dispiegati nel Mediterraneo orientale.
Qui sta il motivo di fondo, sempiterno potremmo azzardare, per cui l’Iran non si azzarda ad attaccare direttamente Israele. Iran che, tra l’altro, non è mai riuscita a gestire né tantomeno vincere un conflitto diretto: nel 1979 si compie la Rivoluzione Islamica di Khomeini e il Paese inizia la sua guerra contro l’Iraq, salvandosi quasi per il rotto della cuffia nonostante mezzi e capacità di gran lunga superiori. Come potrebbe riuscire dunque a distruggere gli Accordi di Abramo? Distruggendo Israele in maniera indiretta, umiliandone la tanto celebrata capacità difensiva armando Hamas. Per le stesse ragioni, Teheran non vuole un allargamento del conflitto, che invece potrebbe fare il gioco di Israele, il quale potrebbe attaccare l’Iran prima che sia troppo tardi. È ancora una volta la storia a fornirci la spiegazione: un Paese con capacità nucleare non è mai stato attaccato in una guerra massiccia e diretta sul suo territorio.
Il ragionamento di Israele è dunque quello di colpire l’Iran prima che sia Teheran ad attaccare. Ammesso che Teheran sia davvero a un passo dall’intervento diretto con l’atomica, come paventato dalle intelligence occidentali. Su questo punto c’è molta confusione, per non dire mistificazione: si pensa alle forze di intelligence come quasi a un’accademia degli affari militari, come a un’affidabile fonte di informazioni. È esattamente il contrario: le intelligence non danno notizie, ma le camuffano e le distorcono per l’interesse esclusivo della nazione. Ci sono forti dubbi anche sull’opportunità di Israele di attaccare l’Iran su vasta scala sul suo territorio, dove si è dimostrato fortissimo, anche in considerazione della netta superiorità demografica iraniana. Appare dunque più probabile che lo scontro prosegua nelle stesse modalità, con attacchi a bassa intensità e sortite mai gravi al punto da scatenare la guerra totale. Anche se gli ultimi report riferiscono di come l’Iran abbia spostato i propri lanciamissili in posizione di potenziale attacco.