La premier Giorgia Meloni esce dall’inchiesta sul caso Almasri: il Tribunale dei ministri di Roma ha disposto l’archiviazione della sua posizione nell’indagine per favoreggiamento e peculato relativa alla liberazione e al rimpatrio in Libia di Njeim Osama Elmasry, noto come Almasri.
Il generale libico è accusato di crimini di guerra e contro l’umanità, fra cui omicidio, tortura e stupro. Rimangono invece indagati tre uomini chiave del governo Meloni: Matteo Piantedosi (ministro dell’Interno), Carlo Nordio (Giustizia) e Alfredo Mantovano (potente sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio). Per i tre potrebbe presto arrivare la richiesta di autorizzazione a procedere davanti al Parlamento.
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Caso Almasri, Meloni archiviata
Il Tribunale dei ministri ha stabilito che non ci sono elementi sufficienti per dimostrare che la premier Giorgia Meloni fosse stata informata preventivamente e avesse quindi partecipato in modo consapevole al “programma criminoso” individuato nell’inchiesta.
Nel provvedimento si legge che le informazioni raccolte non hanno “gravità, precisione e concordanza” tali da provare il coinvolgimento diretto di Meloni. Le testimonianze, come quella del prefetto Caravelli, risultano vaghe: l’unico riferimento a un suo consenso è una valutazione che sarebbe stata dedotta da Mantovano, ma senza prove documentali o dettagli concreti. Di fatto, per i giudici, non è dimostrabile un atto formale o una direttiva diretta della premier che colleghi la sua responsabilità all’episodio. Da qui l’archiviazione.
Perché i ministri rischiano il processo
Piantedosi, Nordio e Mantovano, invece, come detto, appaiono agli occhi dei giudici come i protagonisti operativi della scelta di rimpatriare Almasri. La relazione del Tribunale parla di un “disegno criminoso” mirato a evitare la consegna del generale alla Cpi (Corte Penale Internazionale), configurando possibili violazioni di legge nella gestione della procedura di arresto, rilascio e trasferimento.
La prossima tappa sarà l’invio degli atti alla Procura di Roma, che potrebbe formalizzare la richiesta di autorizzazione a procedere alle Camere. Sarà il Parlamento a decidere se consentire il processo o bloccarlo, invocando la tutela di un interesse superiore dello Stato.
Meloni furiosa per gli sviluppi del caso Almasri
La premier ha accolto la notizia dell’archiviazione con durezza, non come una vittoria:
Si sostiene pertanto che due autorevoli Ministri e il sottosegretario da me delegato all’intelligence abbiano agito su una vicenda così seria senza aver condiviso con me le decisioni assunte. È una tesi palesemente assurda. A differenza di qualche mio predecessore, che ha preso le distanze da un suo ministro in situazioni similari, rivendico che questo Governo agisce in modo coeso sotto la mia guida: ogni scelta, soprattutto così importante, è concordata.
Così ha scritto Meloni sui social, rivendicando
la correttezza dell’operato dell’intero Esecutivo, che ha avuto come sola bussola la tutela della sicurezza degli italiani.
Cosa succede adesso
Nei prossimi mesi, la Giunta per le autorizzazioni di Camera e Senato dovrà valutare le richieste dei giudici. Se il Parlamento dirà sì, Piantedosi, Nordio e Mantovano potrebbero essere rinviati a giudizio. Se dirà no, la decisione rischierà di innescare un caso politico-diplomatico ancora più ampio, alimentando tensioni interne e pressioni esterne.
Le implicazioni politiche del caso Almasri
Il rischio processo per tre figure di punta dell’esecutivo apre scenari delicati.
È a rischio la stabilità interna, dal momento che la vicenda Almasri può diventare un terreno di scontro con l’opposizione che già invoca trasparenza e chiede che i ministri rinuncino all’immunità.
Sotto il profilo dell’immagine internazionale, la Cpi ha già stigmatizzato l’operato del governo italiano. Se il Parlamento negasse l’autorizzazione a procedere, Roma rischierebbe di apparire come un Paese che si auto-protegge davanti a crimini di guerra.
Infine, la leadership di Giorgia Meloni ne esce indebolita, anche se la premier è stata formalmente scagionata.