Augusto Pinochet: 50 anni dal colpo di Stato in Cile

In che condizioni è oggi il Cile, a 50 anni di distanza dal golpe di Augusto Pinochet: il Paese è spaccato in due, tra chi ricord ed esalta e chi rinnega il regime

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Il Cile continua a essere un Paese estremamente diviso. Lo dimostra in maniera lampante la violenza che ha caratterizzato le commemorazioni delle vittime del regime di Augusto Pinochet. Sono trascorsi 50 anni dal colpo di Stato che pose fine al governo di Salvador Allende, eppure un certo sentimento non è mai stato sradicato. Era l’11 settembre 1973 e da allora ebbe inizio una buia e terrificante dittatura militare. Una fase oscura della storia del Cile, che in tanti rivendicano con orgoglio ancora oggi.

Un Cile spaccato in due

Mezzo secolo è trascorso dal massacro operato durante il regime di Pinochet, ma parte dei cileni giustifica e difende quella dittatura, osteggiando e minacciando chiunque la ripudi. Si spiega così l’aggressione da parte di due gruppi armati al corteo per la commemorazione delle vittime tenutasi l’11 settembre 2023.

Si è scatenata una guerriglia cittadina, mentre al Cementerio General, che presenta un memoriale ai tanti morti provocati da Pinochet, è stata data alle fiamme la tomba di Jaime Guzman, ex senatore che aveva avuto un ruolo chiave nella stesura della Costituzione della dittatura, in vigore dal 1980.

A rendere ben chiaro il contesto sociale cileno è un recente sondaggio dell’ente Mori. Per il 42% il golpe di Pinochet e la sua successiva dittatura hanno totalmente distrutto la democrazia. Ben differente invece il pensiero del 36% degli intervistati, che guarda a quella fase come alla liberazione dal marxismo.

Il ricordo di Pinochet: una ferita politica

Augusto Pinochet venne arrestato a Londra nel 1998. Non trascorse però alcun periodo in carcere per i suoi presunti crimini. Morì infatti nel 2006 agli arresti domiciliari. Oggi si assiste a una crepa che devasta. Da una parte c’è chi festeggia il 50esimo anniversario del colpo di stato. Dall’altro, invece, c’è chi porta ancora avanti la ricerca delle vittime. Una ragione di vita per chi ha perlustrato il deserto cileno di Atacama alla ricerca di quanto fosse “sopravvissuto” dei loro cari scomparsi nella carovana della morte.

Molti i soldati che non hanno mai pagato per le atrocità commesse, come le violenze sulle donne, che oggi corrono il rischio di divenire “leggende metropolitane”. Così le ha definite una deputata di estrema destra cilena. Si riscrive la memoria storica, imponendo all’elettorato più giovane, che ammette di sapere ben poco dei fatti atroci avvenuti, una visione duplice di quel periodo. La politica continua a far sanguinare il Cile, dunque. Il giovane leader Gabriel Boric si era ripromesso di unire tutte le forze politiche cilene in un atto che ripudiasse il golpe del 1973.

È stata così firmata una dichiarazione in quattro punti, ovvero il Compromiso di Santiago, che non è altro se non un impegno a rispettare sempre la democrazia e i diritti umani. Un ricordo del dramma avvenuto 50 anni fa, senza però mai citare esplicitamente né Allende né Pinochet. Si mirava a ricevere la firma anche delle forze politiche di centrodestra e destra, ma riuscire ad allontanarsi da quel passato è qualcosa di inconcepibile per molti. Questione di ideologia e, ovviamente, anche di voti.