L’aumento dell’inflazione comporta un aumento dei costi per lo Stato relativi alla perequazione delle pensioni. Con l’aumento previsto dell’1,5% dei prezzi, il governo Draghi dovrà stanziare circa 4 miliardi di euro nella prossima legge di Bilancio per adeguare gli assegni previdenziali alla variazione dei costi della vita. La perequazione delle pensioni, per chi non lo sapesse, è un meccanismo che consente di adeguare gli importi delle pensioni al costo della vita, al fine di mantenere il loro potere d’acquisto nel tempo. Questo adeguamento avviene solitamente ogni anno, sulla base dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo (IPC) o di altri indicatori economici.
Come tutti immagineranno, con l’aumento dell’inflazione, i costi della perequazione delle pensioni aumentano di conseguenza e poiché le pensioni costituiscono una parte significativa della spesa pubblica, anche un modesto aumento dell’inflazione può avere un impatto significativo sul bilancio dello Stato.
Il governo Draghi si trova dunque di fronte alla sfida di trovare risorse sufficienti per coprire i costi aggiuntivi derivanti dall’aumento dell’inflazione e ciò potrebbe richiedere la ricerca di nuove fonti di finanziamento o il ridimensionamento di altre voci di spesa nel bilancio pubblico.
Pensioni, assegni più bassi: le risorse necessarie nella legge di Bilancio
È questo l’incremento previsto nella Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza, il più alto degli ultimi nove anni, trascinato soprattutto dal costo delle materie prime che hanno già comportato aumenti consistenti in bolletta, oltre a riflettersi sul costo di beni e servi.
Secondo questo scenario, nel 2022 andranno adeguati al costo della vita 22,8 milioni di assegni pensionistici e per farlo compito del governo sarà adottare un modello per ripartire l’incremento, riconosciuto l’anno scorso.
Pensioni, assegni più bassi: i modelli
Il metodo a 7 fasce utilizzato negli ultimi tre anni (diventate 6 con il Conte II) risale al primo governo di Giuseppe Conte ed è in scadenza il 31 dicembre di quest’anno. Senza nessun intervento, da gennaio ritornerebbe il sistema a tre scaglioni introdotto dal primo esecutivo guidato da Romano Prodi del 1996, con Carlo Azeglio Ciampi ministro del Tesoro e del Bilancio.
Il modello stabilito dal governo dell’ex leader dell’Ulivo si basa sull’Irpef e porterebbe un minimo di 126 euro in più per gli assegni previdenziali da 1.500 euro a un massimo di 1.027 euro per le pensioni oltre i 60mila euro annui.
Con il sistema del Conte I in vigore attualmente l’importo aggiunto all’assegno sarebbe da 126 a a 484 euro all’anno, per un peso sulle casse dello Stato di mezzo miliardo in meno rispetto agli scaglioni di Prodi.
Questo perché con quest’ultimo si farebbe una rivalutazione piena fino a 2 mila euro, al 90% sulla quota di pensione tra 2 mila e 2.500 euro e 75% sulla quota sopra i 2.500. Considerato che in Italia 20 milioni su 22,8 milioni di pensioni sono sotto i 2mila euro, la perequazione sarebbe del 100% per quasi la totalità degli assegni.
L’aumento delle pensioni sarà calcolato sulla base dell’indice Foi, elaborato da Istat sulla variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati tra 2021 e 2020, che come ultimo dato registrato ad agosto segnava un +2,1%, a fronte di un massimo +0,7% di inizio anno.
In ogni caso, il supplemento sulle pensioni non verrebbe corrisposto a gennaio e non prima della primavera.