Come andare in pensione nel 2023: le misure del governo Meloni

Ecco cosa ha deciso di fare l'esecutivo in materia di pensionamenti: tutte le opzioni valide per il 2023

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Redazione

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Il piano sulla previdenza per il 2023 è ormai pronto. Alle vie ordinarie della pensione previste da tempo, ossia quella di vecchiaia e quella anticipata, la prima Legge di Bilancio del governo Meloni affianca l’introduzione di Quota 103, misura transitoria che va a prendere il posto di Quota 102, e la proroga di Ape Sociale e Opzione donna (rivista). Niente da fare quindi per l’abolizione dei cardini della legge Fornero, nonostante le svariate promesse di riforma che si sono susseguite in campagna elettorale (qui le critiche della Cgil). Vediamo nel dettaglio chi e come potrà andare in pensione nell’anno nuovo.

La pensione di vecchiaia e quella anticipata

Anche nel 2023 i canali “standard” di uscita dal lavoro restano ben saldi. Da una parte c’è la pensione di vecchiaia, con una soglia di riferimento di 67 anni con almeno 20 anni di contributi versati. Dall’altra rimane l’opzione dell’anticipo, che permette il pensionamento con 42 anni e 10 mesi totali di contribuzione a prescindere dall’età anagrafica (per le donne 41 anni e 10 mesi) e senza adeguamenti all’aspettativa di vita fino al 2026.

Qui il nuovo accordo per le pensioni minime.

Dopo Quota 102 arriva Quota 103

Nel corso del 2022 con Quota 102 è stato possibile accedere al pensionamento avendo maturato 38 anni di contributi a 64 anni di età. Il filone prosegue in via temporanea, per un altro anno, con Quota 103, che prevede almeno 62 anni di età e 41 di contributi maturati entro il 31 dicembre (ma si potrebbe decidere di uscire dal lavoro anche dopo).

L’introduzione di una Quota 41 “secca”, come auspicato dalla Lega, sarebbe stato troppo costoso. Ma il grande obiettivo da raggiungere per la fine della legislatura resta quello di permettere il pensionamento con 41 anni di versamenti a prescindere dall’età anagrafica.

Uno scivolo che in parte esiste già, per i soli lavoratori precoci (coloro che hanno almeno un anno di contributi effettivi prima dei 19 anni) e che si trovano sostanzialmente in condizioni simili a quelle previste per accedere all’Anticipo pensionistico sociale, alias Ape (disoccupati, caregiver, invalidi, professioni usuranti).

Opzione Donna prorogata ma modificata

Nell’anno nuovo rimane attivo anche il canale di Opzione donna. Durante il 2022 la misura ha consentito il pensionamento, con un ricalcolo contributivo dell’assegno, alle lavoratrici in possesso di 58 anni d’età (59 se “autonome”) e 35 anni di contributi.

Con il 2023 l’età sale a 60 anni, sempre con 35 di contributi. Il dato anagrafico scende a 59 in caso di un figlio e a 58 in caso di due figli. Ma la vera novità è che a poter scegliere tale via potranno essere soltanto le donne caregiver da almeno 6 mesi, invalide al 74% e licenziate o dipendenti di aziende in crisi (ne abbiamo parlato anche qui).

Il problema a cui ha dovuto far fronte il governo è stato la mancanza di sufficienti risorse, che ha costretto a delimitare notevolmente la platea. Sono poco più di 20 i milioni stanziati (a fronte degli 80 ritenuti necessari), per circa 3mila potenziali beneficiarie. Come sempre, l’assegno viene ricalcolato tutto con il sistema contributivo. Le finestre di accesso sono di 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e 18 mesi per le autonome, perciò queste ultime devono aver maturato i requisiti nei primi 5 mesi del 2022.

Ape sociale rinnovato

Lo strumento dell’Anticipo pensionistico sociale, in vigore dal maggio 2017, continuerà ad essere permesso per alcune categorie di lavoratori in particolare difficoltà, come i disoccupati di lungo corso, i caregiver e gli invalidi civili. Esso consente di accedere a un’indennità ponte con 63 anni di età e 30 anni di contribuzione, o al raggiungimento del requisito per l’uscita anticipata.

Per gli addetti ad attività particolarmente pericolose, i cosiddetti lavoratori “gravosi” dettagliati dalla legge, l’Ape resterà ancora possibile con 63 anni di età e 36 anni di versamenti, i quali tuttavia dal 2022 sono scesi a 32 per gli operai edili, i ceramisti e i conduttori di impianti per la formatura di articoli in ceramica e terracotta.