Più pensionati che lavoratori al Sud Italia, la situazione peggiorerà ancora

Nel Mezzogiorno ci sono più pensioni che lavoratori. La CGIA avverte: senza più occupati, la tenuta economica del Paese è a rischio

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

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Un Paese spaccato in due, con un Sud sempre più vecchio e un Nord che, seppur più dinamico, non è immune da una crisi demografica e occupazionale che rischia di compromettere la tenuta dei conti pubblici e la stabilità economica nazionale. È la fotografia scattata dall’Ufficio studi della CGIA, che lancia un allarme sullo squilibrio tra pensioni e lavoro.

I dati delle regioni

Il sorpasso, come lo definisce il rapporto, è già avvenuto: nel Sud e nelle Isole il numero delle pensioni erogate supera nettamente quello dei lavoratori. Nel 2024, nel Mezzogiorno sono state pagate 7,3 milioni di pensioni a fronte di poco più di 6,4 milioni di occupati. Questa è l’unica ripartizione geografica in Italia a presentare un simile squilibrio.

La regione con il disallineamento più marcato è la Puglia, con un saldo negativo di oltre 231.700 unità. Al contrario, le regioni del Centro-Nord, fatta eccezione per Liguria, Umbria e Marche, mantengono un saldo positivo, rafforzato dalla buona performance occupazionale degli ultimi 2-3 anni.

Dalla differenza tra contribuenti attivi e pensioni erogate, spiccano i risultati di Lombardia (+803.180), Veneto (+395.338), Lazio (+377.868), Emilia-Romagna (+227.710) e Toscana (+184.266).

  • Lombardia +803.180;
  • Veneto +395.338;
  • Lazio +377.868;
  • Emilia-Romagna +227.710;
  • Toscana +184.266;
  • Trentino-Alto Adige +129.806;
  • Piemonte +122.377;
  • Friuli-Venezia Giulia +18.942;
  • Valle d’Aosta +7.207;
  • Abruzzo -9.543;
  • Marche -13.480;
  • Molise -14.776;
  • Basilicata: -19.978;
  • Liguria -22.594;
  • Umbria -28.231;
  • Sardegna -63.568;
  • Campania -128.744;
  • Sicilia -182.394;
  • Calabria -231.100;
  • Puglia -231.706.

Le province più critiche

Scendendo nel dettaglio provinciale, la situazione nel Mezzogiorno appare ancora più critica. Le cinque province più “squilibrate” d’Italia per saldo negativo tra occupati e pensioni sono:

  • Lecce (-90.306);
  • Reggio Calabria (-86.977);
  • Cosenza (-80.430);
  • Taranto (-77.958);
  • Messina (-77.002).

Le previsioni al 2029

Lo scenario è destinato a peggiorare. Tra il 2025 e il 2029, si stima che oltre 3 milioni di italiani lasceranno il posto di lavoro. Di questi, circa il 74% (2,24 milioni) sono concentrati nelle regioni del Centro-Nord. Si tratterà di una “fuga” massiccia da scrivanie e catene di montaggio, con conseguenze sociali ed economiche di portata storica, che già oggi si fanno sentire attraverso la difficoltà delle imprese nel trovare personale.

Un risultato preoccupante che dimostra con tutta la sua evidenza gli effetti provocati in questi ultimi decenni da quattro fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, il progressivo invecchiamento della popolazione, un tasso di occupazione molto inferiore alla media UE e la presenza di troppi lavoratori irregolari. La combinazione di questi fattori ha ridotto progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, conseguentemente, ingrossato la platea dei percettori di welfare.

Problemi anche al Nord

Anche il Nord, seppur in misura minore, mostra sue criticità. Già oggi otto province settentrionali hanno un numero di pensioni superiore a quello dei lavoratori: Rovigo, Sondrio, Alessandria, Vercelli, Biella, Ferrara, Genova e Savona.

Un problema cruciale per le aziende è l’età media dei dipendenti. La regione con l’”indice di anzianità” più elevato (dipendenti over 55 ogni 100 under 35) è la Basilicata (82,7), seguita da Sardegna (82,2), Molise (81,2), Abruzzo (77,5) e Liguria (77,3). La media nazionale è 65,2. Le regioni con la forza lavoro più “giovane” sono Trentino-Alto Adige (50,2), Lombardia (58,6) e Veneto (62,7).

Le proposte della Cgia per fermare la crisi

Con sempre più pensionati e un numero di occupati che, tendenzialmente, dovrebbe rimanere stabile, nei prossimi anni la spesa pubblica è destinata ad aumentare. Per contrastare questa tendenza, la CGIA indica una strada prioritaria: ampliare la base occupazionale.

Per frenare questa tendenza è fondamentale ampliare la base occupazionale, facendo emergere i tanti lavoratori in nero presenti nel Paese, incrementando, in particolare, i tassi di occupazione dei giovani e delle donne che, in Italia, restano tra i più bassi d’Europa.