Pensionamento forzato: cos’è e quando scatta

La legge prevede logiche diverse per dipendenti pubblici e privati. Ecco come funziona in entrambi i settori

La pensione rimane per molti un vero e proprio miraggio. Per altri, invece, può diventare un’imposizione poiché in alcuni casi scatta il pensionamento forzato o il licenziamento per sopraggiunti limiti di età.

Ma in quali casi il dipendente pubblico e quello privato deve accettare obbligatoriamente l’uscita dal lavoro?

La legge dice che i dipendenti del settore privato possono restare volontariamente al lavoro fino a 71 anni di età compiuti. Per il pubblico, invece, il limite può arrivare prima, così come l’uscita forzata dal posto di lavoro. In alcuni casi, infatti, i dipendenti del settore pubblico possono dover accettare il licenziamento forzato già a 62 anni.

Se nel privato la legge incentiva, in un certo senso, la permanenza del dipendete, nel pubblico impiego la tendenza è diametralmente opposta e si incoraggia, di fatto, l’uscita del lavoratore dal proprio impiego, poiché è abolito quello che comunemente si definisce istituto del trattenimento in servizio’. Ma vediamo nel dettaglio come funziona il pensionamento forzato in entrambi in casi.

Pensionamento forzato: dipendenti privati

Compiuti 67 anni, il datore di lavoro del settore privato può imporre al proprio dipendente il “licenziamento ad nutum”, cioè il licenziamento libero. Egli può farlo senza fornire alcuna motivazione per raggiunti limiti di età. Resta comunque valido il requisito contributivo che deve essere pari a 20 anni di contributi versati, fermo restando che se c’è intesa tra le parti il lavoratore può trattenersi fino a 71 anni. Nel caso in cui nel contratto collettivo figurino clausole particolari, il rapporto di lavoro può sciogliersi a 65 anni di età o al raggiungimento del limite previsto dal contratto stesso.

Pensionamento forzato: dipendenti pubblici

Come anticipato, per i dipendenti del settore pubblico le regole sono diverse. Raggiunti i requisiti per la pensione, infatti, scatta automaticamente la cessazione del servizio. Stesso discorso se – pur non avendo raggiunto il limite di età – il lavoratore ha maturato i requisiti contributivi. In questo caso, però, la decisione di imporre al dipendente il pensionamento forzato incontra un certo margine di discrezionalità e si aprono tre ipotesi:

  • Il pensionamento forzato se il dipendente ha maturato i requisiti per la pensione anticipata avendo raggiunto anche il limite d’età ordinamentale (42 anni+10 mesi di contributi nel 2019 per gli uomini e 41 anni + 10 mesi per le donne);

 

  • Il pensionamento forzato se il dipendente ha maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia avendo raggiunto anche il limite d’età ordinamentale (67 anni nel 2019 e almeno 20 anni di contribuzione);

 

  • Per il dipendente che matura nel 2019 i requisiti previsti dalla riforma Monti-Fornero per la pensione anticipata (42 anni + 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni + 10 mesi per le donne), senza aver raggiunto il limite d’età ordinamentale, ma ha compiuto almeno 62 anni, la scelta resta all’Ente.

 

In tutti i casi che esulano dal pensionamento anticipato, il rapporto di lavoro prosegue oltre il limite d’età ordinamentale solo per garantire al lavoratore la possibilità di maturare i requisiti contributivi minimi per la pensione.