Il mondo si trova di fronte a una nuova geografia dell’instabilità e a confermarlo non sono solo le notizie che si susseguono tutti i giorni, ma anche il Global Peace Index 2025, pubblicato il 17 giugno 2025 dall’Institute for Economics & Peace (IEP), che individua 6 hotspot, ovvero zone ad alto rischio di escalation bellica. In questi territori – dal Medio Oriente all’Africa subsahariana – le condizioni strutturali di fragilità si combinano con fattori immediati di crisi, rendendo la possibilità di essere coinvolti in conflitti su larga scala non più remota, ma concreta.
Per chi viaggia, per motivi professionali o personali, queste aree rappresentano zone ad altissima instabilità, dove il deterioramento della sicurezza può verificarsi da un momento all’altro. Vediamo quali sono.
Kashmir: il fronte più pericoloso dell’Asia si estende a Nuova Delhi o Islamabad
In cima alla lista dei paesi ad alto rischio troviamo il Kashmir, epicentro storico di tensioni tra India e Pakistan. Dopo un attentato avvenuto nell’aprile 2025, la fragile tregua tra le due potenze ha mostrato segni di cedimento. Nonostante l’apparente controllo, però, la regione è oggi una polveriera. L’escalation non è più solo una possibilità remota, ma una minaccia reale, capace di travolgere l’intero subcontinente.
Per i viaggiatori, la regione rappresenta una destinazione ad altissimo rischio. Ma l’impatto non si limita all’area del conflitto: secondo il Global Peace Index 2025 anche città economicamente strategiche come Nuova Delhi o Islamabad potrebbero risentire di un eventuale peggioramento della crisi, con effetti su trasporti, infrastrutture e sicurezza urbana.

Siria: il dopoguerra che non porta pace
Anche la Siria, sebbene formalmente uscita dalla fase più cruenta della guerra civile, resta uno dei contesti più instabili al mondo. Dopo la caduta del regime di Assad, il paese è diventato terreno di scontro tra fazioni interne, potenze regionali e attori globali. La transizione verso un nuovo assetto politico è tutt’altro che pacifica, e il rischio di un ritorno del conflitto aperto è alto.
Le zone settentrionali e orientali del paese sono particolarmente esposte alla violenza intermittente. Per chi si muove nella regione, anche con missioni umanitarie o giornalistiche, il pericolo è concreto e diffuso si legge nel report di Index. I corridoi umanitari vengono spesso bloccati e anche le operazioni internazionali sono limitate.

Sudan del Sud: pace solo sulla carta
Nel continente africano, il Sudan del Sud rappresenta uno dei casi più emblematici di “pace fittizia”. Nonostante l’accordo del 2018, il Paese continua a essere teatro di violenze etniche, scontri tra milizie e assenza di governance. Le fragilità istituzionali sono profonde e radicate, e ogni tentativo di ricostruzione rischia di essere vanificato da nuove ondate di instabilità.
Per chi viaggia, il Sudan del Sud è un contesto estremamente insicuro. Le infrastrutture sono carenti, l’accesso alle cure sanitarie limitato e il rischio di sequestri o aggressioni elevato secondo il Global Peace Index 2025.

Eritrea ed Etiopia: la ferita aperta del Corno d’Africa
Anche la fragile tregua tra Etiopia ed Eritrea, dopo il conflitto del Tigray, mostra segnali preoccupanti. L’Etiopia, priva di sbocchi sul mare, sta intensificando le pressioni per ottenere accesso al Mar Rosso. La rivalità storica tra i due paesi, mai del tutto risolta, potrebbe trasformarsi in un nuovo conflitto su scala regionale.
Le tensioni etniche, le dispute territoriali e la debolezza dei confini rendono questa zona del Corno d’Africa un’area ad alta instabilità. Per chi viaggia, sia nelle capitali che nelle regioni periferiche, il rischio di trovarsi coinvolti in scontri o episodi di violenza è concreto, segnala il Global Peace Index 2025. I corridoi commerciali internazionali nella regione, tra cui quelli verso Gibuti e il Golfo, sono particolarmente vulnerabili.

Repubblica Democratica del Congo: l’instabilità contagia l’intera regione
Nel cuore dell’Africa, la Repubblica Democratica del Congo (DRC) continua a essere flagellata da conflitti interni, in particolare nell’est del paese. Le morti legate a episodi di violenza nel 2023 sono state oltre 8.400, un numero che testimonia la gravità della crisi. Nonostante un possibile accordo con il Rwanda, la proliferazione di gruppi armati e l’assenza di un’autorità centrale efficace rendono lo scenario altamente instabile.
La DRC non è soltanto pericolosa per i residenti o gli operatori umanitari, ma rappresenta un potenziale focolaio di destabilizzazione per l’intera regione dei Grandi Laghi. Un viaggio nella regione orientale del paese — anche solo per motivi ambientali, come il turismo nei parchi — comporta oggi rischi estremi secondo il Global Peace Index 2025.

Il Sahel: un rischio regionale in crescita
Anche il Sahel resta una regione in rapida degenerazione. Niger, Mali, Burkina Faso e Ciad sono stretti in una morsa tra terrorismo, colpi di stato militari, flussi di armi e crisi ambientali. Qui, il confine tra guerra e criminalità organizzata è sempre più sfumato e le insicurezze si contagiano da uno Stato all’altro con estrema facilità.

Secondo il Global Peace Index, solo il 9% dei conflitti oggi termina con una vittoria militare, mentre appena il 4% si conclude con un accordo negoziato. Il resto dei conflitti rimane in una limbo di violenza cronica, diventando vere e proprie “guerre senza fine”. Questa realtà non solo mette a rischio la stabilità internazionale, ma rende difficilissimo per gli organismi internazionali pianificare interventi efficaci.
Per i viaggiatori internazionali, quindi, questa nuova geografia dei conflitti significa dover rivalutare costantemente le destinazioni, anche quelle ritenute “secondarie”, ma comunque coinvolte nei giochi geopolitici regionali.