L’Italia è conosciuta in tutto il mondo per il suo olio extravergine di oliva, un simbolo del Made in Italy agroalimentare e della dieta mediterranea. Eppure oggi, paradossalmente, il Paese rischia di non essere più autosufficiente nella produzione di olio.
Le rese calano, le giacenze si svuotano, la concorrenza sleale mina la filiera, mentre i consumatori pagano prezzi alti senza avere la certezza di un prodotto davvero italiano.
In questo contesto, Coldiretti e Unaprol lanciano un obiettivo ambizioso: aumentare del 25% le piante di ulivo entro i prossimi 7-10 anni per riportare la produzione a un livello che garantisca l’autosufficienza nazionale.
Ma quanti ulivi servirebbero davvero per centrare questo traguardo? E quali interventi sarebbero necessari per renderlo possibile?
Obiettivo +25% di uliveti in Italia per garantire la produzione
Partiamo dai numeri attuali: in Italia ci sono circa 150 milioni di piante di ulivo, distribuite su oltre un milione di ettari.
Aumentare del 25% il patrimonio olivicolo significherebbe piantare circa 37-38 milioni di nuovi ulivi, portando il totale a quasi 190 milioni di piante.
Non si tratta di un’operazione banale. Richiederebbe almeno 100mila-120mila ettari di nuovi impianti o di oliveti recuperati, considerando una densità media di 300-350 piante per ettaro.
In pratica, andrebbe messo a coltura un territorio grande quanto le intere province di Catania o di Salerno.
Eppure è proprio questo il punto centrale delle modfiche al Piano Olivicolo 2025 del Masaf delineate da Coldiretti e Unaprol.
Per raggiungere l’obiettivo, occorre una strategia che combini recupero degli oliveti abbandonati, espianto e reimpianto con varietà italiane adatte alla meccanizzazione, nuovi impianti intensivi e superintensivi dove possibile.
Non devono mancare interventi mirati per ringiovanire gli oliveti tradizionali ed eroici, che rappresentano un patrimonio unico anche dal punto di vista paesaggistico e culturale.
Un settore in crisi: produzione giù del 26% e giacenze a picco
Intervenire è oggi importante soprattutto perché i dati recenti confermano la gravità della situazione:
La produzione di olio extravergine italiano secondo Ismea nel 2023 è crollata del 26% rispetto all’anno precedente e le giacenze sono inferiori del 35% rispetto alla media degli ultimi 5 anni.
È un campanello d’allarme chiarissimo. Senza un deciso cambio di rotta, l’Italia rischia di diventare sempre più dipendente dalle importazioni, soprattutto da Paesi extracomunitari come Tunisia, Turchia o Marocco, dove i costi di produzione sono più bassi e i controlli spesso meno stringenti.
Questo trend è aggravato dagli effetti del cambiamento climatico che mettono sotto scacco gli oliveti italiani, in particolare nelle regioni meridionali:
- siccità prolungate;
- gelate tardive;
- ondate di calore.
Nel frattempo, la Xylella ha già distrutto milioni di piante in Puglia, epicentro di una delle peggiori emergenze fitosanitarie che il nostro Paese abbia mai affrontato.
Inoltre, la forbice tra i costi di produzione (cresciuti del 30-40% negli ultimi due anni per via di energia, fertilizzanti e manodopera) e i prezzi riconosciuti agli olivicoltori, spesso compressi al ribasso dalla grande distribuzione, rende l’attività poco redditizia, scoraggiando investimenti e ricambi generazionali.
Piantare 37 milioni di nuovi ulivi in 7-10 anni è un traguardo ambizioso, ma indispensabile per salvare l’autosufficienza italiana.
Senza un piano strutturale, il rischio è che l’Italia, patria dell’olio extravergine, diventi sempre più dipendente da forniture estere di qualità incerta, perdendo un pezzo fondamentale della sua identità e un asset strategico per l’economia.