Crisi del latte già rientrata? C’è il nuovo accordo per il prezzo fisso

Sovrapproduzione, contratti disdetti e pressioni sui caseifici alla base della crisi del latte. Settore e Governo hanno trovato un accordo

Foto di Giorgia Bonamoneta

Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Pubblicato:

Il comparto del latte è stato scosso da una profonda crisi e ha lanciato l’allarme: va evitato lo shock di inizio anno. Ad alimentare la crisi non sarebbero state certo le scelte o le limitazioni alimentari dei consumatori, come è superficiale credere, ma le disdette contrattuali, la sovrapproduzione e la conseguente quotazione del latte. A dirlo è Alfredo Lucchini, presidente della sezione lattiero-caseari di Confagricoltura Piacenza, uno dei portavoce del settore al Tavolo del Latte convocato dal ministero.

Tra i problemi da affrontare c’erano, e in parte restano, i due fattori determinanti della crisi: l’aumento delle produzioni e la reazione degli acquirenti (la filiera, non i consumatori) che alzano la pressione sui prezzi. L’inizio dell’anno rischiava di essere molto duro, con migliaia di quintali di latte prodotti senza una destinazione. Il 2 dicembre scorso inoltre era stato scritto un ulteriore fattore di crisi, con la reintroduzione della distinzione tra quota A (latte destinato al formaggio Dop) e quota B (latte destinato ad altri canali) da parte del Consorzio di tutela del Grana Padano. In questo modo la sovrapproduzione rischia di non essere più assorbita nella produzione del formaggio, portando danni economici fatali prima di tutto per i produttori più piccoli e fuori dal circuito del Consorzio. Intanto però si raggiunge l’accordo sul prezzo tra sindacati, associazioni e ministero dell’Agricoltura: meno di 55 centesimi, ma fissi.

La crisi del latte: il monopolio dei caseifici

Facciamo un passo indietro. La crisi inizia dal prezzo e questo, a sua volta, dalla produzione. A inizio 2025 in Europa si produceva poco latte. In Germania si rallentava per l’epidemia di sindrome da lingua blu del bestiame, mentre nel Nord Europa si riducevano gli animali per diminuire le emissioni di azoto. Così gli allevatori italiani hanno spinto per compensare.

C’è poi stato, in contemporanea, il problema del Consorzio del Grana Padano, un formaggio che da solo assorbe un quarto dei 13 milioni di litri di latte prodotti all’anno. Con i dazi di Trump, annunciati ad aprile e minacciati più e più volte, gli importatori hanno aumentato le scorte e fatto salire il prezzo del Grana (a luglio 11 euro al chilo). I caseifici hanno iniziato a produrre – o sono stati costretti a produrre, dicono loro – anche sopra la quota limite per fare profitto sulla domanda extra.

A luglio le quotazioni del latte superavano i 63 centesimi per litro. Ad agosto per un litro ne servivano ancora poco meno di 70 centesimi. Oggi la quota sul mercato spot (quello che ha bisogno subito della materia prima) è sotto ai 50 centesimi. Il crollo del 30% lascia tutti spaventati, diceva Paolo Maccazzola, allevatore e presidente lombardo dell’associazione agricola Cia, prima del Tavolo di confronto.

L’inizio del nuovo anno rischia ancora di essere segnato dalla disdetta dei contratti a prezzi prefissati, che dovrebbero essere invece rinnovati automaticamente dal primo gennaio 2026. Impossibile però che il prezzo non cali ancora, visto quanto latte in eccesso è presente sul mercato, a partire dal Grana Padano, di cui ci si aspettano 700mila forme in più.

Non è colpa delle mode alimentari

No, le bevande vegetali non sono il problema del settore. Il governo sbaglia a puntare il dito: non è colpa delle “mode alimentari”, come dice il presidente della Commissione industria, agricoltura e turismo al Senato. Perché se è vero che ne è aumentato il consumo, solo 1 italiano su 10 beve abitualmente le bevande vegetali (guai a chiamarlo latte!).

Queste bevande conquistano tanti, secondo i dati di Everli del 2022, per curiosità (40%), digeribilità (35%) e per percezione che siano più salutari (22%), ma è davvero difficile dare la colpa alle “mode” quando i problemi sono ben altri.

Secondo De Carlo però sono le abitudini alimentari a essere cambiate e a impattare sui consumi. “Ognuno è libero di mangiare ciò che vuole, ma se certe scelte nascono da mode o informazioni distorte, serve una forte azione informativa”, dice. Racconta di popolazione longeva anche grazie a quello che viene portato in tavola, ma non è chiaro come questo aspetto alimentare possa fermare il crollo del prezzo dovuto all’impatto della sovrapproduzione.

Trovato accordo sul prezzo

Intanto il Tavolo della crisi ha dato il primo segnale positivo: il raggiungimento del prezzo fisso a meno di 55 centesimi. Le associazioni e il ministero dell’Agricoltura si sono accordati per:

  • 54 centesimi di euro a litro a gennaio 2026;
  • 53 centesimi di euro a litro a febbraio 2026;
  • 52 centesimi di euro a litro a marzo 2026.

Il pacchetto comprende anche aiuti per l’internazionalizzazione e un nuovo meccanismo per non sforare la propria quota di produzione. Ricordiamo infatti che parte del problema era aver ignorato le multe per aver superato il limite di produzione, perché il profitto nei primi 6 mesi del 2025 era ben maggiore.

Il sostegno alla filiera passerà attraverso diverse misure, dice il ministero, dal bando per indigenti, alle campagne di comunicazione dedicate. Sembra siano state ascoltate le proposte delle associazioni, come quella rappresentata da Lucchini.

Le possibili soluzioni a lungo termine

Le proposte di Lucchini sul lungo periodo prevedevano:

  • convogliare il latte disdettato verso le organizzazioni di produttori e le cooperative;
  • creare un organo cuscinetto nazionale in grado di programmare e collocare le eccedenze;
  • incentivare la trasformazione in formaggi duri a lunga stagionatura;
  • incentivi a impianti di trasformazione e stagionatura (capienza, infrastrutture, contributi alle ristrutturazioni);
  • prevedere linee di credito agevolate per caseifici che accettino latte in ammasso e lo trasformino in stagionato;
  • programma di promozione export per nuovi prodotti e formaggi da proporre a nuovi mercati.

Proposte concrete e coraggiose, aveva dichiarato Lucchini e che il Governo sembra aver accolto, anche se bisognerà attendere l’attuazione di queste per andare oltre alla fase di “proposta”.