Perché l’olio siciliano potrebbe costare di più

Paradosso dell'olio: produzione in crescita in Sicilia, ma i prezzi per i consumatori esteri e interni sono destinati ad aumentare fino al 35%

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

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Dopo due anni difficili, segnati da cali di produzione e condizioni climatiche non sempre favorevoli, la nuova stagione alle porte promette una crescita significativa dei raccolti delle olive. Tuttavia, come spesso accade in economia agroalimentare, un dato positivo dal lato produttivo non sempre si traduce in un beneficio per il consumatore finale. Anzi, questa volta la prospettiva è di rincari, e anche consistenti, che potrebbero incidere non solo sui mercati esteri ma anche su quello interno.

Non si tratta di una previsione arbitraria, ma di una conseguenza di dinamiche globali quali dazi doganali, squilibri valutari e politiche commerciali che incidono profondamente sul destino di un prodotto simbolo del Made in Italy.

La crescita produttiva non basta a contenere i prezzi dell’olio siciliano

In Sicilia, dopo annate incerte, la produzione delle olive è in risalita. Questo dovrebbe, in teoria, avere un effetto calmierante sui prezzi, perché a un’offerta maggiore corrisponde una pressione al ribasso. Ma in un mercato globalizzato come quello dell’olio extravergine di oliva, la logica non è così lineare.

L’olio siciliano è un bene che incarna qualità, identità territoriale e reputazione internazionale. Pertanto, il suo valore non dipende solo dalla quantità prodotta, ma soprattutto dalla capacità di essere venduto sui mercati esteri a condizioni competitive. E qui entrano in gioco i fattori critici: i dazi e il cambio euro-dollaro.

Gli Stati Uniti sono uno dei principali sbocchi commerciali per l’olio siciliano, la domanda di prodotto di qualità importato dall’Europa resta forte. Proprio per questo motivo, l’introduzione di dazi al 15% rischia di colpire duramente le esportazioni.

Inoltre, a complicare ulteriormente la situazione c’è la questione valutaria. L’euro debole rispetto al dollaro, che in teoria dovrebbe favorire le esportazioni rendendo i prodotti europei più competitivi, rischia in questo caso di amplificare l’effetto dei dazi. Perché? Perché le aziende siciliane, pur incassando in dollari, devono coprire costi di produzione espressi in euro, e i margini di guadagno si riducono.

Per questo motivo, il combinato disposto di dazi e tasso di cambio potrebbe determinare, secondo le stime degli esperti, rincari fino al 35% per il consumatore finale americano. Un aumento che non potrà essere assorbito interamente dai produttori, pena l’erosione dei margini, e che dunque finirà per ricadere sugli scaffali dei supermercati.

Il rischio della domanda in calo

Se i prezzi salgono troppo, la domanda rischia di contrarsi. È la legge dell’elasticità: il consumatore medio americano, pur apprezzando la qualità dell’olio siciliano, potrebbe rivolgersi ad alternative più economiche, siano esse oli di altre provenienze mediterranee o, peggio, prodotti di qualità inferiore ma con un prezzo più accessibile.

Questo fenomeno potrebbe avere ricadute anche sul mercato interno. Se le esportazioni rallentano, una parte della produzione rischia di rimanere invenduta o di essere immessa in Italia a prezzi più alti per compensare le perdite sui mercati esteri. In entrambi i casi, il risultato è che il consumatore, italiano o americano che sia, si troverà a pagare di più.

Quali le prospettive future?

Negli Stati Uniti i dazi e il cambio sfavorevole creeranno ostacoli concreti. Ma se l’olio siciliano saprà differenziarsi come prodotto premium, potrebbe non solo resistere, ma addirittura consolidarsi come “marchio di lusso” del settore alimentare. Per esempio, facendo del marchio “olio siciliano” un brand globale, alla stregua del Parmigiano Reggiano.

Parallelamente, si aprono altri mercati promettenti: Asia (Giappone, Corea del Sud, Cina urbana), Paesi del Golfo e Nord Europa, dove cresce l’interesse per prodotti salutari di alta qualità.

Pertanto, per proteggere uno dei prodotti simbolo del Made in Italy e motore dell’economia agroalimentare italiana, evitando in questo modo anche che la minore domanda estera si traduca in un aumento dei costi per l’intera filiera, bisogna sicuramente partire dal rafforzare i rapporti con i mercati strategici e lavorare con le istituzioni europee per difendere l’olio d’oliva da misure protezionistiche.