Prima la pandemia Covid, poi la crisi internazionale e l’aumento dei prezzi di energia e materie prime hanno aggravato in maniera decisiva la situazione di tutti quei mestieri e quelle professioni che già da anni in Italia non godono più di buona salute.
Parliamo della categoria degli artigiani, il cui numero nel nostro Paese è spaventosamente calato nel giro dell’ultimo decennio. Anche l’Intelligenza Artificiale mette a rischio migliaia di posti di lavoro.
Gli artigiani “persi” negli ultimi 10 anni
Secondo gli dati resi disponibili dall’INPS, nel 2022 in Italia si contavano 1.542.299 artigiani. I numeri e il trend negativo sono stati analizzati dalla Cgia di Mestre, che ha concluso come dal 2012 il numero di questi lavoratori sia calato di quasi 325mila unità (-17,4%). Solo nel 2021 si è assistito a un’inversione di tendenza, col numero totale di artigiani che è aumentato, seppur di poco, rispetto all’anno precedente.
Tra i motivi principali di questo drammatico fenomeno, oltre a quelli già citati, si contano anche il forte aumento dell’età media dei lavoratori, provocato in particolar modo da un insufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza esercitata dalla grande distribuzione e dall’e-commerce, nonché l’impennata record del costo degli affitti e delle tasse nazionali e locali. Moltissimi laboratori, negozi e botteghe non hanno resistito e hanno abbassato la saracinesca per sempre.
Quali artigiani hanno chiuso e quali invece resistono
Gli artigiani pagano lo scotto del profondo mutamento delle abitudini dei consumatori, negli ultimi anni molto più orientati all’usa e getta e alla consegna a domicilio di prodotti industriali ordinabili con un clic. Così scarpe, abiti e mobili non si acquistano più in negozio, raramente si fanno fare su misura e men che meno a mano. Sono dunque sempre più a rischio estinzione calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, lavasecco, orologiai, pellettieri, riparatori di elettrodomestici e TV, sarti, tappezzieri e perfino fotografi.
La crisi delle botteghe – nella stragrande maggioranza dei casi a conduzione familiare – è molto più accentuata nelle grandi città, ma anche nei piccoli Comuni, dove hanno costituito storicamente dei punti di riferimento per i residenti. Sembrano tuttavia resistere a questo trend i comparti artigiani del benessere e dell’informatica, che anzi sembrano addirittura ingrandirsi. In molti centri proliferano infatti centri e attività di acconciatori, parrucchieri, estetisti e soprattutto tatuatori. Per non parlare dei sempre più diffusi sistemisti, addetti al web marketing, video maker ed esperti di social media.
“Purtroppo l’aumento di queste attività è insufficiente a compensare il numero delle chiusure presenti nell’artigianato storico”, sottolinea con rammarico la Cgia. “Possiamo affermare che non solo i giovani sono sempre meno interessati a lavorare in questo settore, ma anche chi ha esercitato la professione per tanti anni e non ha ancora raggiunto l’età anagrafica, o maturato gli anni di contribuzione per beneficiare della pensione, spesso preferisce chiudere la partite IVA e continuare a rimanere nel mercato del lavoro come dipendente che, rispetto ad un artigiano, ha sicuramente meno preoccupazioni e più sicurezze” (arrivano 1,3 milioni di assunzioni: i lavori più richiesti e dove trovarli).
Le Regioni e le città più colpite
Dal 2012 al 2022 le province più colpite dalla “perdita di artigiani” sono state Vercelli e Teramo (entrambe -27,2%). Segue a brevissima distanza Lucca (-27%), poi Rovigo (-26,3%) e Massa-Carrara (-25,3%). I cali più contenuti si sono registrati invece a Bolzano (-2,3%), Napoli (-2,7%) e Trieste (-3,2%).
Se si considera il numero di attività artigiane chiuse nell’ultimo decennio, la classifica vede al primo posto Torino (-18.075), seguita da Milano (-15.991), Roma (-8.988), Verona (-8.891), Brescia (-8.735) e Bergamo (-8.441).
Prendendo infine in esame le Regioni, in termini percentuali la peggiore è l’Abruzzo (-24,3%), seguita da Marche (-21,6%) e Piemonte (-21,4%). I dati peggiori in valore assoluto condannano invece Lombardia (-60.412 unità), Piemonte (-38.150), Veneto (-37.507) ed Emilia Romagna (-37.172).