La legge di Bilancio appena approvata ha introdotto un aumento mensile massimo di circa 110 euro netti per coloro che percepiscono una retribuzione superiore ai 2.000 euro lordi. Tuttavia, tale incremento diventa significativamente più limitato, fino a scomparire del tutto, per coloro i cui redditi sono ancora più elevati. Questo effetto combinato sulle retribuzioni è il risultato delle misure adottate con la legge di Bilancio. Curiosamente, l’impatto sarà relativamente poco evidente per i lavoratori dipendenti, soprattutto per quanto riguarda l’intervento più oneroso per le casse pubbliche: la conferma per il 2024 dell’esonero contributivo riservato ai lavoratori dipendenti, comunemente conosciuto come “taglio del cuneo”.
Il taglio dell’aliquota
L’abbassamento dell’aliquota destinata a finanziare le pensioni, ridotta di sei o sette punti, è già in vigore dallo scorso luglio e è stato recentemente prorogato per un altro anno. Senza l’intervento del governo, i lavoratori avrebbero risentito di una significativa diminuzione dei propri compensi, motivo per cui sono stati stanziati circa 10 miliardi per evitare tale impatto negativo.
Per quanto riguarda l’Irpef, l’accorpamento dei primi due scaglioni, con una conseguente riduzione del prelievo del 2% per i redditi compresi tra 15.000 e 28.000 euro annui, comporta una spesa di circa 4,3 miliardi. Questa modifica interessa tutti i contribuenti, con l’eccezione di un leggero aumento della detrazione per i redditi bassi, riservata esclusivamente ai dipendenti.
Come cambieranno gli stipendi nel 2024
Esaminiamo nel dettaglio l’applicazione di questo schema ai diversi livelli retributivi. Per i salari più bassi, il taglio del cuneo (sette punti percentuali in meno) mostra un effetto crescente: ad esempio, con un reddito di 750 euro mensili, il vantaggio netto è di 40 euro al mese, che aumentano a 54 a quota 1.000 e 69 a 1.500, sempre considerando i valori lordi. È importante notare che la riduzione contributiva sulla retribuzione lorda non si traduce integralmente in un beneficio netto, poiché la somma trattenuta dal lavoratore è soggetta a tassazione Irpef.
Ma quale è l’effetto dei correttivi sull’Irpef? Per gli stipendi fino a 15.000 euro lordi annui (circa 1.150 euro mensili, ipotizzando tredici mensilità), l’aumento della detrazione genera un modestissimo miglioramento, pari a circa 6 euro al mese. Al di sopra di questa soglia, la riduzione delle aliquote entra in azione molto gradualmente, con un impatto massimo di 20 euro al mese su base mensile.
Nel frattempo, l’intensità dell’esonero contributivo si riduce al di sopra dei 1.923 euro lordi (25.000 euro all’anno), passando da sette a sei punti percentuali. Così, chi percepisce 2.000 euro al mese avrà un vantaggio netto di 84 euro (non nuovo, come già ricordato), a cui si aggiungono 16 euro di minore Irpef, per un totale di 100 euro. A quota 2.250 euro mensili, il beneficio netto raggiunge i 107 euro, ottenuti dalla somma di 87 euro derivanti dal taglio del cuneo e 20 euro grazie alla minore imposta. Quest’ultima cifra rimane sostanzialmente costante, mentre l’effetto dei minori contributi diminuisce leggermente a causa dell’andamento della curva dell’Irpef, che – al di là delle novità per il 2024 – impone un’aliquota marginale effettiva più alta sui redditi imponibili superiori ai 28.000 euro annui.
Avvicinandosi ai 2.692 euro (35.000 euro l’anno), il guadagno mensile riprende quota, toccando i 111 euro. Tuttavia, successivamente diminuisce bruscamente la componente legata al taglio del cuneo (che non spetta più), e rimangono solo i 20 euro di minore imposta.
È importante prestare attenzione a un ulteriore aspetto: anche questo residuo vantaggio è destinato ad annullarsi, molto probabilmente, per chi ha un imponibile Irpef che supera i 50.000 euro all’anno. Al di sopra di questa soglia, entra in gioco la franchigia sulle detrazioni d’imposta, fissata a 260 euro, equivalenti a 20 euro al mese per tredici mensilità. Quindi, è sufficiente un limitato utilizzo degli sconti fiscali (escludendo quelli sulle spese sanitarie) per consentire al fisco di recuperare, con una mano, ciò che ha concesso con l’altra.