In Italia la transizione dalla scuola al lavoro continua a rappresentare una delle principali fragilità del mercato del lavoro. I dati più recenti mostrano come una parte significativa dei giovani fatichi a trovare un’occupazione stabile, mentre aumenta il numero di chi rimane ai margini dei percorsi formativi e professionali. La combinazione di disoccupazione giovanile elevata, competenze spesso non allineate alle richieste delle imprese e scarsa partecipazione ai percorsi di formazione pratica genera effetti sociali ed economici consistenti.
I numeri di disoccupazione e Neet
Secondo i dati Eurostat l’Italia presenta una delle percentuali più alte in Europa, con livelli superiori alla media UE nel 2024, di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non seguono corsi di formazione. Nel complesso, l’esclusione dal mondo del lavoro coinvolge circa 1,4 milioni di giovani under 30. Il Censis, nel suo 58° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, ha stimato un impatto economico pari a 15,7 miliardi di euro per le casse pubbliche, tra minore contribuzione, mancata partecipazione produttiva e maggiori costi sociali.
Le difficoltà della transizione scuola-lavoro
Il passaggio dall’istruzione al lavoro continua a essere caratterizzato da tempi lunghi, scarsa stabilità e incertezze. Alla base emergono diversi fattori: percorsi formativi non sempre allineati alle richieste del mercato, limitate esperienze pratiche durante gli anni scolastici e universitari, e competenze trasversali che risultano deboli.
Secondo Marco D’Oria, direttore della Business School Digital Campus e dottorando in Neuroscienze comportamentali all’Università IULM bisogna smettere di illudersi che bastino un profilo perfetto, una bella foto e un CV curato. Per D’Oria è necessario un approccio più strategico, fondato su preparazione concreta, creatività e capacità relazionale.
Durante i colloqui, sottolinea, presentarsi con idee pratiche e proposte di valore può rappresentare un elemento distintivo. Allo stesso tempo, la costruzione di una rete di contatti professionale resta un fattore cruciale, perché molte opportunità si sviluppano attraverso relazioni dirette e non solo tramite candidature spontanee.
Le competenze richieste dalle imprese
L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD) sottolinea l’importanza delle competenze socio-relazionali per una transizione efficace, mentre ricerche accademiche pubblicate su Sustainability e studi dell’Università di Bologna ribadiscono il valore di comunicazione, problem solving e collaborazione.
Le imprese cercano profili capaci di adattarsi, collaborare e aggiornarsi. Le competenze digitali hanno un peso crescente, soprattutto nei settori coinvolti dall’innovazione tecnologica, come l’intelligenza artificiale, il marketing digitale e l’analisi dei dati.
Nonostante ciò, il mercato del lavoro italiano continua a mostrare criticità strutturali: la creazione di posti di lavoro non sempre coincide con opportunità stabili per i giovani, e i percorsi formativi non sempre garantiscono un’occupabilità adeguata. Secondo Reuters, che analizza dati Istat e dinamiche occupazionali 2025, permangono squilibri tra domanda e offerta di competenze.
Formazione pratica e competenze digitali
Tra le soluzioni indicate dagli esperti, i percorsi di alternanza scuola-lavoro e il work-based learning risultano strumenti utili per sviluppare competenze concrete. L’Italia, inoltre, presenta un livello di competenze digitali di base pari al 45,8%, inferiore alla media UE del 55,6%. Rafforzare la formazione digitale rappresenta quindi una priorità, anche attraverso l’utilizzo di metriche chiare e obiettivi misurabili, come indicato dalla Digital Skills Jobs Platform della Commissione europea.
Infine, comprendere i meccanismi psicologici che influenzano motivazione, attenzione e apprendimento può facilitare la progettazione di percorsi più efficaci, capaci di accompagnare i giovani verso un’occupazione sostenibile e coerente con le richieste del mondo del lavoro.