NEET, Italia maglia nera d’Europa: chi sono e quanti sono

Il governo Meloni ha appena introdotto un nuovo Bonus per favorire l'assunzione di giovani che non lavorano né studiano. Ma chi sono? E quanti?

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Il governo Meloni ha appena introdotto un nuovo Bonus per favorire l’assunzione di giovani che non lavorano né studiano. Che, nel nostro Paese, sono tantissimi. Nel decreto Lavoro approvato dal Consiglio dei ministri il 1° maggio 2023 – come a lasciare un segno indelebile nel giorno della Festa di lavoratori – il governo più a destra che l’Italia abbia mai avuto mette mano agli incentivi nei confronti del lavoro per gli under 30, introducendo particolare sgravi per i datori di lavoro che assumono giovani NEET, i ragazzi cioè Not in Education, Employment or Training, che non studiano né lavorano insomma (di come funziona questa agevolazione abbiamo parlato qui).

NEET, triste record italiano: chi sono e quanti

Purtroppo, parla proprio italiano il record europeo di giovani che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in stage o tirocini. A sancire il triste primato italico sui NEET sono gli ultimi dati Eurostat del 2022, riferiti all’anno precedente. In tutta l’Unione europea, il 13,1% dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni non è né occupato né in istruzione e formazione: si va dal 5,5 % sul totale dei giovani nei Paesi Bassi al preoccupante 23,1 % in Italia.

Per questa fascia di età, l’Unione europea ha fissato un obiettivo che prevede che la percentuale dei giovani non occupati né in istruzione o formazione dovrà essere inferiore al 9% entro il 2030. Alcuni Paesi membri hanno già raggiunto l’obiettivo oggi.

Va detto, come spiega il report Eurostat, che oggi i giovani cambiano occupazione più frequentemente e ci vuole più tempo per inserirsi nel mercato del lavoro, per scelta o per necessità. È diventato più comune per gli studenti universitari lavorare part-time o stagionalmente per integrare il proprio reddito. Inoltre, è diventato più frequente che i giovani che lavorano tornino all’istruzione o alla formazione per migliorare le proprie qualifiche. Di conseguenza – si legge nel documento – la transizione dall’istruzione al mondo del lavoro è diventata meno chiara, con una percentuale crescente di studenti che lavora anche e una percentuale crescente di occupati che studia.

Con l’inizio della pandemia nel 2020, la quota di giovani adulti né occupati né in istruzione o formazione è aumentata. Ciò è naturale perché il tasso di NEET per i giovani è strettamente legato all’andamento economico e al ciclo economico. La quota di NEET è poi diminuita notevolmente nel 2021 rispetto al 2020 per tutte le fasce d’età, ad eccezione di quelle di età compresa tra 15 e 19 anni.

Quanto incidono l’età e il livello di istruzione sull’essere NEET

Al netto di questo, i dati raccolti rilevano che l’essere occupati – ma non in istruzione e formazione – aumenta con l’età, mentre è vero il contrario per l’istruzione, dove la quota diminuisce notevolmente con l’età. Il 10,9% dei giovani di età compresa tra 15 e 19 anni nell’UE è occupato e studia e si è quindi avvalso di questa transizione più flessibile dall’istruzione al lavoro. La quota sale al 19,6% tra i giovani di età compresa tra 20 e 24 anni, prima di diminuire leggermente per i gruppi di età più avanzata, 14,9% tra quelli di età compresa tra 25 e 29 anni e 10,8% tra quelli di età compresa tra 30 e 34 anni.

Il tasso di NEET per i giovani di età compresa tra 15 e 29 anni è in media del 15,5% tra quelli con un basso livello di istruzione, rispetto al 13,1% tra quelli con un livello medio di istruzione e al 9,2% tra quelli con un alto livello di istruzione istruzione. Il che dimostra che più si studia, più probabilità di ha di lavorare.

I NEET negli Stati membri dell’UE sempre per le persone di età compresa tra 15 e 29 anni con un basso livello di istruzione variano dal 6,4% in Svezia al 32,7% in Romania nel 2021. 6 Paesi hanno tassi di NEET più alti rispetto alla media UE: Slovacchia (16,6%), Spagna (18,4%), Malta (20,3%), Italia (23,0%), Bulgaria (24,4%) e Romania (32,7%).

Tra i giovani di età compresa tra 15 e 29 anni con un livello di istruzione medio, i tassi di NEET variano dal 4,2% nei Paesi Bassi fino a un picco del 24,9% in Italia. Per questo livello di istruzione, due Paesi hanno registrato un tasso di NEET pari o superiore al 19% (Grecia e Italia), mentre l’unico Paese con una quota inferiore al 5% sono stati i Paesi Bassi.

Per quanto riguarda le persone di età compresa tra 15 e 29 anni con istruzione universitaria, i loro tassi di NEET sono in generale notevolmente inferiori rispetto agli altri livelli di istruzione. La quota più bassa è stata del 3,1% nei Paesi Bassi, ma in Grecia è stato riportato un valore fino al 26,8%.

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Gender gap anche per i NEET: perché?

Inoltre, c’è una differenza tra i sessi in relazione alla proporzione di giovani adulti che non sono né occupati né in istruzione o formazione. Nel 2021, il 14,5 % delle giovani donne di età compresa tra 15 e 29 anni nell’UE sono NEET, mentre la quota corrispondente tra i giovani uomini è inferiore di 2,7 punti percentuali, all’11,8 %.

Secondo quanto analizzato da Eurostat, ci sono una serie di fattori che possono spiegare il divario di genere. Ad esempio, convenzioni o pressioni sociali, che tendono a dare maggiore importanza al ruolo delle donne all’interno della famiglia e al ruolo degli uomini nel provvedere alla famiglia attraverso il lavoro.

Inoltre, c’è il rischio di questioni relative al mercato del lavoro. Per esempio i datori di lavoro preferiscono assumere giovani uomini piuttosto che giovani donne. Poi ci sono le giovani donne che incontrano difficoltà al rientro al lavoro dopo il parto, e il fatto che le donne hanno maggiori probabilità di avere lavori poco retribuiti o precari.

La geografia dei NEET in Europa

Guardando alla geografia dei NEET, si nota come, tra gli Stati membri Ue ci siano ampie variazioni: i tassi più bassi sono già al di sotto dell’obiettivo del 9% e riguardano Paesi Bassi, Svezia, Slovenia, Danimarca, Lussemburgo, Islanda e Norvegia. Questi Paesi hanno quindi raggiunto l’obiettivo a lungo termine a livello dell’UE per il 2030 nel 2021 o prima.

9 Stati membri registrano invece tassi di NEET superiori alla media UE del 13,1%. Tra questi, i tassi più elevati sono si registrano in Italia e Romania, dove oltre il 20% di tutti i giovani di età compresa tra 15 e 29 anni non era né in lavoro né nell’istruzione o nella formazione. In pratica, nel Belpaese la percentuale di giovani adulti NEET è 4,2 volte più alta rispetto ai Paesi Bassi.

La quota complessiva di NEET è diminuita nell’UE comunque di 2,3 punti percentuali tra il 2011 e il 2021, e questo è senz’altro un ottimo segnale. A fare meglio sono stati l’Irlanda (-12,6%), la Bulgaria (-7,1%) e la Lettonia (-7%). Ci sono invece 5 Stati membri, tra cui l’Italia, che hanno registrato aumenti dei loro tassi di NEET dal 2011: Lussemburgo (2,2%), Austria (0,9%), Romania (0,8%), Italia e Cipro (entrambi 0,6%).

Esiste un nesso tra NEET e livello di urbanizzazione?

I ricercatori di Eurostat hanno anche indagato se esista una correlazione tra NEET e livello di urbanizzazione: in altre parole, incide o meno sull’essere attivi a livello lavorativo o formativo il luogo in cui si vive? La risposta è sì.

Sempre prendendo i dati del 2021, si nota come la percentuale di giovani sempre di età compresa tra 15 e 29 anni NEET è più bassa nelle città (12,2 %) e più o meno allo stesso livello nelle città, nelle periferie (13,9 %) e nelle zone rurali (13,7 %). Lo schema dei tassi di NEET più bassi nelle città, rispetto sia alle zone rurali che alle città e ai sobborghi, si è ripetuto in 15 Stati europei. Le maggiori differenze dei tassi tra città e aree rurali in termini di punti percentuali si vedono in Romania e in Bulgaria.

E in Italia? I NEET nel Belpaese

Scandagliando più in profondità i dati Eurostat, possiamo notare poi, guardando alla frammentazione regionale italiana, che anche il NEET una connotazione regionale ce l’ha. Ci sono alcune regioni in cui i giovani senza impiego e formazione sono di più, e ancora una volta a patire di più è il Sud.

A essere messa peggio è la Sicilia, con il 30,2% di NEET, dato peraltro in peggioramento di quasi 1 punto rispetto al 2020. Segue la Campania, con il 27,7% (era 28% l’anno prima) e, dopo una regione bulgara, troviamo la Calabria (27,2%). Solo la Provincia autonoma di Bolzano supera appena la media Ue, fermandosi al 10,5%.

Ma anche il Nord non è messo benissimo: in Piemonte, così come nel Lazio, i NEET sono il 17,7%. Emilia Romagna al 13,5% e il motore economico italiano, la Lombardia, si ferma al 17,3%. Solo in 4 regioni sono diminuiti i giovani che non studiano e non lavorano: Campania, Sardegna, Marche e Molise.

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L’identikit del NEET in Italia nel 2022

Come rileva anche l’ultimo Rapporto BES dell’Istat, che misura ogni anno il Benessere equo e sostenibile del nostro Paese, la situazione per i giovani italiani è sì leggermente migliorata nel 2022, ma non ancora abbastanza.

Sul totale dei 15-29enni oggi la quota di NEET è pari al 19%, in calo rispetto al dato del 2020, che a causa dell’impatto della pandemia sull’occupazione giovanile era molto alto (23,7%), e anche rispetto al 2021 (23,1%).

Diminuisce la differenza di genere, ma rimane comunque più alta la quota di NEET tra le donne (20,5%) rispetto agli uomini (17,7%). Anche per la media dei Paesi dell’Unione Europea, la quota di NEET è in miglioramento costante dalla metà del 2020: soltanto nel quarto trimestre 2022, la percentuale di NEET ritorna a crescere per le donne. Sono tutte del Mezzogiorno le regioni con i valori più elevati di NEET e 7 hanno valori superiori al 20%: Sicilia 32,4%, Campania 29,7%, Calabria 28,2%, Puglia 26,0%, Sardegna 21,4%, Molise 20,9%, Basilicata 20,6%.

Il problema italiano degli early leavers: chi sono

È ancora alta nel nostro Paese anche la quota di giovani che escono prematuramente dal sistema di istruzione e formazione dopo aver conseguito soltanto il titolo di scuola media: si tratta dei cosiddetti early leavers. Nel 2022 il percorso formativo si è interrotto con la licenza media per ben l’11,5% dei giovani tra 18 e 24 anni. Permane poi un gap di genere a svantaggio dei ragazzi, che lasciano la scuola più spesso (13,6%, contro il 9,1% delle ragazze).

Anche analizzando le differenze territoriali la diminuzione della quota di early leavers è più accentuata nei territori nei quali il problema è più rilevante, vale a dire nel Sud e nelle Isole, rispettivamente dal 15,3% del 2021 al 13,8% del 2022 e dal 19,5% al 17,9%.

Fanno eccezione solo Basilicata e Molise, che hanno una quota di early leavers – rispettivamente 5,3% e 8,3% – comparabile con quella delle regioni del Centro-Nord. In Sicilia e Sardegna la quota supera addirittura invece il 20% tra i maschi: rispettivamente 20,6% e 20,7%. Le ragazze superano il 15% soltanto in Sicilia e Campania: 16,9% e 15,3%.

Il lavoro in Italia, oggi

Osservando i dati Istat sul lavoro 2022, notiamo come ci sia stata una ripresa del mercato del lavoro, tornato ai livelli pre-pandemici. Ma va detto che l’Italia soffre di una difficoltà cronica a collocare in modo appropriato i lavoratori. La quota di occupati che possiede un titolo di studio superiore a quello più frequente per svolgere la professione continua a crescere e oggi si attesta al 26%.

Un fenomeno che è più diffuso tra le donne (28,1%), e che è particolarmente concentrato nella classe dei più giovani, tra i 15-24 anni (44,3%). Analizzando i dati per titolo di studio, le quote più elevate di occupati sovraistruiti si riscontrano tra le persone con diploma (38,4%), in particolare tra gli uomini (40%). Il fenomeno interessa circa un terzo degli stranieri occupati (33,1%), poco più di un quarto degli italiani (25,2%), solo il 12,3% dei lavoratori autonomi con dipendenti, mentre è più elevato tra i dipendenti a termine (35,7%).

I settori di attività economica in cui è più diffuso il fenomeno sono i servizi alle famiglie (42,4%) e alberghi e ristorazione (36,2%). Tra le professioni le percentuali più elevate si registrano tra quelle del commercio e servizi (43,7%) e tra quelle non qualificate (39,7%). I valori più elevati si riscontrano nel Centro (29,2%).

Ad ogni modo, il tasso di occupazione delle persone tra i 20 e i 64 anni è aumentato lo scorso anno. Rispetto al 2021, diminuisce contestualmente sia il numero di persone in cerca di occupazione sia quello di coloro che sono disponibili a lavorare ma non hanno cercato; il tasso di mancata partecipazione registra dunque una forte riduzione e si attesta al valore più basso nel quinquennio 2018-2022.

Restano sostanzialmente stabili i divari territoriali, mentre aumentano lievemente quelli di genere. Diminuisce, invece, la distanza percentuale del tasso di occupazione dei più giovani (20-34 anni), sia da quello dei 35-49enni, sia da quello dei più anziani (50-64 anni). Per la classe di età 20-34 anni si registra, infatti, la crescita più marcata del tasso di occupazione e anche la diminuzione più forte del tasso di mancata partecipazione. La crescita dell’occupazione ha interessato soprattutto i dipendenti, sia a termine sia a tempo indeterminato. In aumento è anche il tasso di occupazione tra i 25 e i 49 anni delle donne, con e senza figli.