Disastro TLC: tra “spezzatini” e outsourcing, a rischio 20mila posti di lavoro

I sindacati del settore telecomunicazioni hanno indetto il primo sciopero nazionale per accendere i riflettori sulla crisi di un settore strategico

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Disastro TLC. Tra dumping, “spezzatini” e outsourcing, depauperazione infrastrutturale e tecnologica e abbattimento dei salari, le aziende del settore delle telecomunicazioni, in Italia, sono in crisi profonda. Quasi tutte in perdita, soprattutto a fronte di investimenti molto onerosi: Vodafone chiede una riduzione dei costi pari al taglio di circa 1.000 dipendenti, WindTre cede una parte della sua infrastruttura a un fondo svedese, Tim, su cui pesa una scure debitoria di 23 miliardi di euro, punta a separare l’infrastruttura dai servizi, il che innescherebbe un effetto domino sull’occupazione; British Telecom ed Ericsson hanno formalizzato, anche loro, eccedenze.

Sono a rischio reale oltre 20mila posti di lavoro diretti nel solo perimetro delle Telco, senza calcolare gli effetti nell’intero sistema degli appalti del settore, per quanto riguarda l’impiantistica, la manutenzione, l’installazione delle reti sia fisse che mobili e il settore dell’assistenza clienti.

E’ questa “l’immagine del disastro: aziende che trascorrono le giornate a ridurre i perimetri occupazionali e a far scempio di diritti e salari” denuncia Riccardo Saccone, segretario nazionale Slc Cgil, in occasione del primo sciopero nazionale del settore TLC indetto dai sindacati martedì 6 giugno. Un vero successo, con punte di adesione all’80%, in un mese che sarà di fuoco sul fronte della protesta sindacale, visti tutti gli scioperi in programma a giugno. Un blocco trasversale ai comparti rete, telco e customer, dove migliaia di lavoratori di tutta Italia sono scesi in piazza Santi Apostoli a Roma, con lo slogan di “Riprendiamoci il futuro”.

Crisi settore telecomunicazioni: perché si è arrivati fin qui e quali scenari

Il settore delle telecomunicazioni è arrivato a un bivio drammatico, attaccano i sindacati. Il modello economico adottato dai governi di tutti i colori che si sono succeduti ha prodotto, negli ultimi 20 anni, dinamiche “completamente sbagliate”. “Una volta le telecomunicazioni erano sinonimo di modernità, invece oggi il comparto è stato sfruttato dalla finanza che – spiega il segretario Slc Cgil – ha trattato le nostre aziende come dei bancomat, ossia luoghi da depredare”.

Le telecomunicazioni, in tutti i Paesi tecnologicamente avanzati, sono uno dei pochi comparti ancora in grado di coniugare occupazione di qualità, nonostante la fase di grande difficoltà che tutto il continente attraversa. Invece in Italia il mercato brucia oltre 1 miliardo di ricavi l’anno, con un lento e inesorabile stillicidio occupazionale, che negli ultimi 10 anni ha praticamente dimezzato la forza lavoro dei maggiori gestori italiani.

Sul versante occupazionale il settore è stato caratterizzato negli ultimi 15 anni dal continuo ricorso ad ammortizzatori sociali, esodi incentivati, tagli nella contrattazione aziendale, perdite di professionalità importanti e blocco pressoché totale del ricambio generazionale.

Ora la situazione è ancora più critica, perché la nuova ricetta messa in campo dalle principali Telco rischia di trasformarsi in una bomba sociale. L'”escamotage” pensato per gestire gli effetti di un mercato deregolamentato è dividere l’industria – le infrastrutture di rete – dai servizi. Una impostazione che i sindacati bollano come “miope” perché impoverirà ancor di più il settore, trasformando aziende leader del comparto TLC a meri rivenditori di servizi, i cui azionisti di riferimento, per di più, non sono neanche italiani.

Questa prospettiva preoccupa fortemente, in particolar modo per quanto riguarda le società che rimarranno senza infrastrutture di proprietà, a fronte di un numero di addetti elevato, che rischia dunque di trovarsi senza lavoro da un giorno all’altro. In un mercato ipercompetitivo, proseguono i sindacati, le aziende, per poter sostenere questo modello, dovranno continuare a rivedere al ribasso la struttura dei costi, andando a colpire inesorabilmente il costo del lavoro, generando una conseguente continua riduzione dei perimetri occupazionali.

Le cose non vanno meglio per i call center in outsourcing, già storicamente in affanno. Le aziende minacciano l’uscita dal contratto delle Telecomunicazioni, e il gioco è sempre al ribasso: la spunterà chi troverà un contratto dal costo inferiore per poter offrire compensi ancora più scadenti o, peggio, chi farà ricorso all’offshoring.

Benché qualche importante conquista ci sia stata, come la “clausola sociale” per gestire i cambi appalto e le tabelle ministeriali per il costo del lavoro minimo, ancora oggi troppi committenti, a cominciare dalla Pubblica amministrazione, ricorrono a fornitori che applicano contratti “pirata” che generano esclusivamente abbattimenti di salario e riduzione dei diritti.

Ipotesi decreto TLC: cosa potrebbe cambiare

La politica in tutto questo tace. Una politica che sembra aver condannato l’Italia agli ultimi posti in Europa in termini di qualità della connessione offerta alla propria cittadinanza. Da mesi presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy si riunisce un tavolo tecnico in cui però sono assenti proprio i rappresentanti dei lavoratori, e dove si fatica ad immaginare di cosa si dibatta. I sindacati chiedono che il governo Meloni, già messo alla sbarra per il decreto Lavoro, li ascolti.

“Da settimane si vocifera di un decreto TLC – spiega Saccone – che prevede risorse per le aziende energivore e un abbassamento dei livelli dell’elettro magnetismo per favorire l’installazione del 5G, nonché l’allargamento a 7 anni dei contratti di espansione per favorire i pre-pensionamenti. Ma si tratta – conclude – di misure che non affrontano i problemi strutturali del settore e sembrano fatte apposta solo per dare una boccata d’ossigeno alle imprese”. Meloni propone ai sindacati un piano anti-bomba sociale, che però sembra fare acqua da tutte le parti.

“È tempo che ciascuno assuma le proprie responsabilità. Il settore delle TLC deve tornare ad essere il motore attivo della transizione digitale del Paese, deve rinnovarsi ed attrarre nuovi talenti”. E bisogna puntare anche alla riprofessionalizzazione dei lavoratori, ancor più nel settore customer, dove è già in atto una grande rivoluzione come conseguenza della progressiva digitalizzazione dei processi lavorativi.