Caporalato nell’Agro Pontino, pensionati sfruttati nei campi: la denuncia

Pensionati sfruttati nei campi dell'Agro Pontino, la denuncia e il dibattito sul caporalato dopo la morte di Satnam Singh

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

Dopo la morte di Satnam Singh, il problema del caporalato nell’Agro Pontino è emerso nel dibattito nazionale. Lo sfruttamento nei campi italiani non riguarda però soltanto gli immigrati stranieri. Donne e anche pensionati si trovano a raccogliere ortaggi per poche centinaia di euro al mese in piena estate.

La situazione nella pianura laziale è stata denunciata sia dai sindacati che dalle associazioni cattoliche. La ministra del lavoro Calderone ha ribadito il principio della lotta al caporalato e anche Coldiretti si è impegnata a facilitare maggiori controlli contro le aziende agricole che sfruttano i lavoratori. I numeri del fenomeno sono però sempre molto alti e in aumento da dopo la pandemia da Covid-19.

La morte di Satnam Singh e i pensionati sfruttati nell’Agro Pontino

Il caso di Satnam Singh ha portato alla luce una situazione molto grave di caporalato nella pianura laziale dell’Agro Pontino. Bonificata durante il fascismo, questa zona ospita moltissime aziende agricole che gestiscono la coltivazione dei campi di ortaggi nei quali lavorano in nero centinaia di persone. In maggioranza sono immigrati privi di documenti, contratti di lavoro o diritti minimi.

Satnam Singh lavorava con la moglie per circa 3 euro all’ora, raccogliendo ortaggi nell’azienda di Antonello Lovato. L’imprenditore agricolo, 37 anni, secondo quanto raccontato dalla moglie del bracciante di origine indiana, ha caricato Singh sul suo furgone dopo che il lavoratore era rimasto gravemente ferito in un incidente con un macchinario, che gli aveva causato l’amputazione di un braccio.

Invece di portarlo in ospedale, Lovato lo avrebbe caricato su un furgone e lasciato davanti alla propria abitazione. Solo dopo un’ora un’ambulanza lo ha raggiunto per portarlo in ospedale. Singh è morto a causa della perdita ingente di sangue due giorni dopo, all’ospedale San Camillo di Roma. Come detto, sono centinaia gli immigrati, soprattutto indiani, che lavorano nell’Agro Pontino, ma come denuncia il quotidiano Avvenire, tra i braccianti sfruttati ci sono anche molti italiani.

Si tratta sia di donne provenienti dall’entroterra laziale, che lavorano nei campi spesso per aiutare una situazione economica familiare complessa, sia di pensionati. Questa tendenza sarebbe cominciata dopo la pandemia, quando per aiutare figli e nipoti che avevano perso il lavoro durante il periodo del Covid-19, diverse persone con più di 60 e in alcuni casi anche 70 anni sono tornate a lavorare nei campi.

Si tratta soprattutto di pensionati originari del Nord Italia, veneti e friulani, le cui famiglie si trasferirono nel Lazio dopo la seconda guerra mondiale per trovare lavoro. Oggi tornano a fare il lavoro dei loro padri per una cifra tra i 200 e i 300 euro al mese.

La lotta al caporalato, le dichiarazioni di governo e Coldiretti

Il tema del caporalato è tornato quindi al centro del dibattito politico. È intervenuta sul tema la ministra del Lavoro Calderone, dicendo: “Abbiamo avuto un incontro con i rappresentanti delle associazioni datoriali e sindacali del mondo agricolo per ragionare insieme su quelli che sono gli interventi già fatti dal governo e quelli che saranno fatti, ma per prima cosa dire in modo chiaro, netto e senza possibilità di fraintendimenti, che lo scopo di tutti è dichiarare guerra al caporalato”.

Sia Calderone che il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare Francesco Lollobrigida hanno partecipato a un tavolo con i sindacati dopo la morte di Singh, per affrontare il tema del caporalato e trovare soluzioni. Soddisfatta la Uil, che ha definito l’incontro positivo e tempestivo, mentre sono stati più critici gli altri sindacati.

“Non usciamo soddisfatti dal tavolo con i ministri Lollobrigida e Calderone. La morte del bracciante indiano Satnam Singh, abbandonato davanti a casa in fin di vita dopo che un macchinario gli aveva amputato un braccio ha suscitato un moto di indignazione nell’intero Paese” ha dichiarato Davide Fiatti della Cgil.

“Apprezziamo la convocazione da parte del governo, che evidentemente ha riconosciuto l’esistenza di una situazione di estrema gravità. Al tempo stesso dal summit sono arrivate perlopiù promesse: un aumento dei controlli anche incrociando le banche dati, un aumento del numero degli ispettori per le rilevazioni ‘sul campo’. Bene, ma se insieme non si affronta il problema alla radice cancellando leggi come la Bossi-Fini, si andrà poco lontano” ha poi concluso il sindacalista.

Anche Coldiretti è intervenuta sul tema con Daniele Pili, presidente della sezione di Latina: “Per noi la qualità dei prodotti si misura anche sul parametro del rispetto della dignità del lavoro. Naturalmente servono controlli più serrati proprio per scovare chi opera nel sommerso e sfrutta i lavoratori. Tutto questa rappresenta una forma di concorrenza sleale nei confronti delle aziende regolari serie e sane: servono controlli rigorosi per tutelare anche i lavoratori e le imprese agricole oneste.”

I dati in peggioramento sul caporalato in Italia

Nonostante questo approccio, i dati del caporalato agricolo in Italia risultano gravi e in peggioramento. Secondo il rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil, sono 230mila le persone sfruttate nel solo settore agricolo in Italia. I braccianti sono pagati in media 20 euro al giorno per lavorare tra le 10 e le 14 ore senza contratti o diritti. Un giro d’affari che genera un’evasione dei soli contributi tra i 700 e i 900 milioni di euro nel solo primo livello della filiera agricola.

Non si tratta soltanto di dati gravi, ma in peggioramento radicale. Prima della pandemia, secondo lo stesso Osservatorio Placido Rizzotto, i braccianti sfruttati tra il 2018 e il 2020 erano 180mila. Da allora c’è stato un incremento netto, di 50mila lavoratori con paghe minime e senza diritti nei campi italiani. Un aumento del 28% in 4 anni, le cui cause lo stesso osservatorio individua nella criminalizzazione dell’immigrazione clandestina.

Ma il caporalato secondo gli stessi sindacati va oltre la sola agricoltura. Ai 230mila lavoratori sfruttati nei campi se ne aggiungerebbero, secondo quanto dichiarato dal segretario della Cisl Luigi Sbarra, altri 170mila in altri settori, soprattutto l’edilizia: “Non passa giorno che il sindacato non segnali alle autorità ispettive che dovrebbero vigilare situazioni di evidente sfruttamento e di negazione di diritti e di tutele per le persone che lavorano in agricoltura, ma anche in edilizia e in altri comparti. Serve una strategia complessiva nazionale che attivi verifiche” ha dichiarato Sbarra denunciando la situazione del caporalato in Italia.