Il dibattito mediatico suscitato dal pandoro-gate e seguito da molti altri brand si sta concentrando molto, quasi esclusivamente, sul “lato Ferragni” dell’affaire, con analisi, pareri e consigli strategici più o meno richiesti. L’indagine per truffa aggravata ha scatenato un effetto domino dirompente, che ha portato anche al decreto fortemente voluto da Meloni sugli influencer e le donazioni.
Lo “smarcamento” dei brand collegati a Ferragni e le ombre su di lei sono palesi: le uova di Pasqua della Dolci Preziosi, le bambole Trudi, gli occhiali Safilo, Coca-Cola. Da ultimo pure Mondelez Italia, titolare del marchio Oreo, che ha chiarito che la collaborazione con l’influencer relativa alla capsule collection limited edition “Chiara Ferragni by Oreo” non prevedeva “alcun accordo di beneficenza”.
Mondelez Italia, proprietaria di Oreo, ha fornito al Codacons chiarimenti sull’iniziativa di solidarietà avviata nel 2020 da Chiara Ferragni, quando l’influencer pubblicizzò attraverso Instagram una capsule collection realizzata in collaborazione con l’azienda Oreo. Con l’iniziativa “Capsule collection limited edition Chiara Ferragni by Oreo” l’imprenditrice, spiega il Codacons, aveva promesso che il 100% del ricavato delle vendite di questi abiti sarebbe andato in beneficenza per iniziative contro il Covid.
A seguito dell’emergenza Covid, Ferragni, precisa Oreo, avrebbe deciso però autonomamente, al di fuori dell’accordo commerciale in essere, di donare in beneficenza l’ammontare derivante dai proventi della vendita della parte della capsule collection nella sua disponibilità. Venuta a conoscenza della sua decisione di procedere in tal senso, anche Oreo ha deciso di effettuare una donazione allo stesso ente, cioè Cesvi, a favore dell’emergenza Coronavirus.
Ciò che è evidente è che Chiara Ferragni sta perdendo cifre importanti. Ma cosa si potrebbe dire se guardassimo al “lato aziende” invece?
“La Balocco, forse con la complicità dell’understatement sabaudo che ha scelto di adottare, non è stata finora oggetto di grandi attenzioni” commenta a QuiFinanza Stefano Colmo, tra i massimi esperti di fundraising in Italia, ex Segretario generale di Terra Madre e responsabile delle Relazioni Istituzionali di Slow Food, che si occupa di stakeholder engagement, pianificazione strategica e innovazione per varie realtà.
“Premesso che il silenzio in momenti di grande confusione è un’ottima scelta, utile ad evitare imprevedibili inasprimenti della crisi, presto anche la prestigiosa azienda di Fossano dovrà uscire allo scoperto adottando una strategia di difesa e, temo, ricostruzione, della propria immagine” che vada oltre la mera spiegazione della ragione del prezzo elevato del suo pandoro griffato Ferragni. Soprattutto in ambito di sostenibilità sociale, ma non solo.
Colmo, da dove partire?
Il lato positivo è che Balocco, presente sul mercato da ormai quasi 100 anni, gode di una reputazione solida e di un forte radicamento sul territorio. Tuttavia, bufere come quella del pandoro Pink Christmas mettono a forte rischio anche i bastioni più solidi. Ma a mio avviso sarebbe opportuno partire da due elementi. Il primo è una netta ammissione dell’errore. Un’ammissione ben argomentata che dimostri come si sia trattato di un errore in buona fede, un episodio – mal gestito per carità – in un percorso di azioni solide a favore dei lavoratori, del territorio e di cause importanti.
Il secondo?
Il secondo elemento da cui partire è appunto la storia di Balocco, sia antica sia recente. Partire dai primi passi, da com’è cresciuta in armonia con il territorio, creando posti di lavoro, indotto economico e ponendo attenzione ai suoi dipendenti. Sono anche convinto che, senza troppo rumore, negli anni abbia sostenuto persone in difficoltà, iniziative e cause virtuose. Negli ultimi anni inoltre le azioni dell’azienda – lo si evince dalla comunicazione istituzionale e non solo – sono andate verso la sostenibilità sia ambientale sia sociale. Dal punto di vista ambientale i dati dicono che ha ridotto l’impatto, certificando il percorso con enti universitari e società specializzate. Sul fronte sociale, sostiene la ricerca contro il cancro con la Fondazione Veronesi e la lotta agli sprechi alimentari con il Banco Alimentare, e non solo.
Ma non basta…
Quando la bufera porta a mettere in discussione quanto dici e dichiari, è fondamentale provare oggettivamente queste cose e, soprattutto, far vedere che questa attenzione viene da lontano. Diversamente, si corre il rischio di peggiorare la situazione, permettendo di intendere che si tratta di un’operazione maquillage messa in piedi per tamponare l’emergenza.
Cosa dovrebbe fare quindi concretamente Balocco secondo lei?
Attraverso dati riscontrabili e una narrazione efficace e anch’essa oggettivabile. Prima cosa, sviluppare un piano organico di comunicazione che racchiuda questi due fattori. Dal punto di vista dei dati, adottare e veicolare una reportistica puntuale e dettagliata delle azioni di tutela dell’ambiente e, per le donazioni e i progetti sostenuti, produrre – come peraltro sono tenuti a fare gli enti del terzo settore – dei report puntuali per ogni singola iniziativa. Ottimo sarebbe portare la testimonianza diretta da parte dei vertici o dei beneficiari degli enti sostenuti.
Per quanto riguarda la parte sociale?
In primis portare testimonianze. Testimonianze di dipendenti che hanno trovato realizzazione e magari supporto in momenti di difficoltà nell’azienda, di amministratori del territorio con cui si sono realizzati progetti o enti del terzo settore e cittadini che a qualche titolo abbiano beneficiato del sostegno di Balocco. Insomma, un passo alla volta ricostruire la propria reputazione, generando un circolo, questa volta virtuoso, di interazione e ascolto con i propri stakeholder.
E a livello di governance?
A completamento e garanzia del percorso è assolutamente fondamentale porre un forte accento sulla governance. Dichiarare e dimostrare l’adozione di solide procedure e pratiche di governance dell’azienda in grado di garantire il rispetto dei valori, dell’etica e delle norme, magari rafforzando il percorso diventando società benefit o aderendo a certificazioni come quella Bcorp.
Le persone non cercano il salvatore che risolve tutti i problemi del mondo. Le persone si fidano e affezionano ai brand che fanno del loro meglio e mettono in atto azioni concrete e vicine alla vita e alla quotidianità delle persone…forse anche per questo l’opinione pubblica si è arrabbiata così tanto questa volta.