Diritti dei consumatori, approvata la direttiva per la transizione verde

Approvata la direttiva per responsabilizzare i consumatori verso la transizione verde, per combattere il greenwashing e rafforzare i diritti dei consumatori

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Donatella Maisto

Esperta in digital trasformation e tecnologie emergenti

Dopo 20 anni nel legal e hr, si occupa di informazione, ricerca e sviluppo. Esperta in digital transformation, tecnologie emergenti e standard internazionali per la sostenibilità, segue l’Innovation Hub della Camera di Commercio italiana per la Svizzera. MIT Alumni.

Il Consiglio Ue ha approvato in via definitiva la posizione del Parlamento UE del 17 gennaio 2024 sulla proposta di direttiva sulla “responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde”, per combattere il greenwashing e rafforzare i diritti dei consumatori.

Le nuove regole, ultima tappa del processo decisionale, modificano la direttiva sulle pratiche commerciali sleali (UCPD) e la direttiva sui diritti dei consumatori (CRD), adattandole alla transizione verde e all’economia circolare.

Informazioni chiare, pertinenti e affidabili

Al fine di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno, sulla base di un livello elevato di protezione dei consumatori e dell’ambiente, e di compiere progressi nella transizione verde, è essenziale che i consumatori possano prendere decisioni di acquisto informate e contribuire in tal modo a modelli di consumo più sostenibili.

Gli operatori economici hanno, quindi, la responsabilità di fornire informazioni chiare, pertinenti e affidabili. Ciò ha spinto i legislatori europei ad introdurre norme specifiche volte a contrastare le pratiche commerciali sleali che ingannano i consumatori e impediscono loro di compiere scelte di consumo sostenibili, quali le pratiche associate all’obsolescenza precoce dei beni, le asserzioni ambientali ingannevoli (“greenwashing”), le informazioni ingannevoli sulle caratteristiche sociali dei prodotti o delle imprese degli operatori economici o i marchi di sostenibilità non trasparenti e non credibili.
Queste norme consentiranno agli organi nazionali competenti di far fronte efficacemente a tali pratiche. La garanzia che le asserzioni ambientali sono eque, comprensibili e affidabili consentirà agli operatori economici di operare su un piano di parità e permetterà ai consumatori di scegliere prodotti che siano effettivamente migliori per l’ambiente rispetto ai prodotti concorrenti.
Sarà così incoraggiata la concorrenza conducendo a prodotti più ecosostenibili, con conseguente riduzione dell’impatto negativo sull’ambiente.

Le informazioni fornite dagli operatori economici

Affinché possano prendere decisioni più informate e stimolare in tal modo la domanda e l’offerta di beni più sostenibili, i consumatori non dovrebbero essere ingannati sulle caratteristiche ambientali o sociali di un prodotto o sugli aspetti relativi alla circolarità, quali la durabilità, la riparabilità o la riciclabilità, mediante la presentazione generale di un prodotto.
È stato, pertanto, opportuno modificare l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29/CE aggiungendo le caratteristiche ambientali e sociali e gli aspetti relativi alla circolarità all’elenco delle caratteristiche principali di un prodotto rispetto alle quali le pratiche di un operatore economico possono essere considerate ingannevoli in base a una valutazione caso per caso.
Le informazioni  fornite dagli operatori economici sulle caratteristiche sociali di un prodotto lungo tutta la sua catena del valore possono riguardare, ad esempio, la qualità e l’equità delle condizioni di lavoro della forza lavoro interessata, quali salari adeguati, protezione sociale, sicurezza dell’ambiente di lavoro e dialogo sociale. Tali informazioni possono, altresì, riguardare il rispetto dei diritti umani, la parità di trattamento e di opportunità per tutti, compresi la parità di genere, l’inclusione e la diversità, i contributi alle iniziative sociali o gli impegni etici, quali il benessere degli animali. Le caratteristiche ambientali e sociali di un prodotto possono essere intese in senso ampio, che comprenda gli aspetti, l’impatto e le prestazioni ambientali e sociali di un prodotto.

Le asserzioni ambientali

Le asserzioni ambientali, in particolare quelle relative al clima, fanno sempre più spesso riferimento alle prestazioni future ai fini della transizione alla neutralità in termini di emissioni di carbonio o alla neutralità climatica, oppure di un obiettivo analogo, entro una determinata data.
Con tali asserzioni gli operatori economici danno l’impressione che acquistando i loro prodotti i consumatori contribuiscano a un‘economia a basse emissioni di carbonio. Ai fini dell’equità e della credibilità di tali asserzioni, è opportuno vietare quelle che, in base a una valutazione caso per caso, non risultano corroborate da impegni e obiettivi chiari, oggettivi, pubblicamente disponibili e verificabili fissati dall’operatore economico, e definiti in un piano di attuazione dettagliato e realistico che indichi in quale modo tali impegni e obiettivi saranno conseguiti e che stanzi risorse a tal fine.
Tale piano di attuazione dovrebbe includere tutti gli elementi pertinenti necessari per adempiere agli impegni, quali le risorse di bilancio e gli sviluppi tecnologici, se del caso e in conformità del diritto dell’Unione. Tali asserzioni dovrebbero, inoltre, essere verificate da un esperto terzo, che dovrebbe essere indipendente dall’operatore economico, esente da conflitti di interessi e dotato di esperienza e competenze in materia ambientale, il quale dovrebbe poter verificare periodicamente i progressi compiuti dall’operatore economico rispetto a tali impegni e obiettivi, comprese le tappe fondamentali per conseguirli. Gli operatori economici dovrebbero garantire che i risultati periodici dell’esperto terzo siano a disposizione dei consumatori.

Un’altra pratica commerciale potenzialmente ingannevole è quella di pubblicizzare come vantaggi per i consumatori caratteristiche che sono irrilevanti e non direttamente connesse ad alcuna caratteristica del prodotto specifico o dell’impresa in questione e che potrebbero indurre i consumatori a credere che siano più vantaggiosi per i consumatori, l’ambiente o la società rispetto ad altri prodotti o imprese di operatori economici dello stesso tipo, ad esempio asserendo che una particolare marca di acqua in bottiglia è priva di glutine o che i fogli di carta non contengono plastica.

Il raffronto dei prodotti in base alle rispettive caratteristiche ambientali o sociali o agli aspetti relativi alla circolarità, quali la durabilità, la riparabilità o la riciclabilità, è una tecnica di marketing sempre più diffusa che potrebbe essere ingannevole per i consumatori, che non sempre sono in grado di valutare l’affidabilità di tali informazioni.
Affinché tali raffronti non ingannino il consumatore, è opportuno imporre agli operatori economici di fornire ai consumatori informazioni sul metodo di raffronto, sui prodotti raffrontati e sui fornitori di tali prodotti, così come sulle misure predisposte per tenere aggiornate le informazioni.
I consumatori dovrebbero così essere messi in grado di prendere decisioni di natura commerciale più consapevoli quando si basano su tali raffronti. È opportuno garantire che tali raffronti siano oggettivi, in particolare grazie al raffronto di prodotti che svolgono la medesima funzione, all’impiego di un metodo comune e di assunti comuni e al raffronto fra caratteristiche rilevanti e verificabili dei prodotti in questione.

I marchi di sostenibilità

I marchi di sostenibilità possono riguardare molte caratteristiche di un prodotto, di un processo o di un’impresa, ed è essenziale garantirne la trasparenza e la credibilità.
E’ opportuno vietare l’esibizione di marchi di sostenibilità che non sono basati su un sistema di certificazione o che non sono stati stabiliti da autorità pubbliche.
Prima di esibire un marchio di sostenibilità, l’operatore economico dovrebbe garantire che, secondo i termini del sistema di certificazione disponibili al pubblico, tale marchio soddisfi condizioni minime di trasparenza e credibilità, compresa l’esistenza di un controllo obiettivo della conformità ai requisiti del sistema. Tale monitoraggio dovrebbe essere effettuato da un terzo la cui competenza e indipendenza sia dal titolare del sistema che dall’operatore economico siano garantite sulla base delle norme e delle procedure internazionali.
L’esibizione di marchi di sostenibilità è possibile in assenza di un sistema di certificazione quando il marchio è stabilito da un’autorità pubblica o in caso di forme di espressione e presentazione supplementari degli alimenti utilizzate in conformità dell’articolo 35 del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio .
Alcuni marchi di certificazione possono fungere anche da marchi di sostenibilità se promuovono un prodotto, un processo o un’impresa con riferimento, ad esempio, alle sue caratteristiche ambientali o sociali o a entrambe. L’operatore economico dovrebbe poter esibire tali marchi di certificazione solo se sono stabiliti da autorità pubbliche o basati su un sistema di certificazione.

La norma vieta di asserire che un operatore economico, le sue pratiche commerciali o un prodotto sono stati approvati, accettati o autorizzati da un organismo pubblico o privato quando ciò non sia avvenuto o senza rispettare le condizioni dell’approvazione, dell’accettazione o dell’autorizzazione ricevuta. Le norme volontarie pubbliche e le norme volontarie basate sul mercato per le obbligazioni verdi e sostenibili non si rivolgono principalmente agli investitori al dettaglio e sono soggette a discipline legislative specifiche. Per tali motivi, tali norme non dovrebbero essere considerate marchi di sostenibilità a norma della presente direttiva. È importante che le autorità pubbliche promuovano, per quanto possibile e nel rispetto del diritto dell’Unione, misure volte ad agevolare l’accesso ai marchi di sostenibilità per le piccole e medie imprese.
Nei casi in cui l’esibizione di un marchio di sostenibilità comporti una comunicazione commerciale che suggerisce o dà l’impressione che il prodotto abbia un impatto positivo o nullo sull’ambiente oppure sia meno dannoso per l’ambiente rispetto ai prodotti concorrenti, tale marchio di sostenibilità dovrebbe inoltre essere considerato come un’asserzione ambientale.

Le asserzioni ambientali generiche

È opportuno vietare la formulazione di un’asserzione ambientale generica in assenza di un’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti all’asserzione.
Esempi di asserzioni ambientali generiche comprendono: “rispettoso dell’ambiente”, “ecocompatibile”, “verde”, “amico della natura”, “ecologico”, “rispettoso dal punto di vista ambientale”, “rispettoso dal punto di vista del clima”, “che salvaguarda l’ambiente”, “rispettoso in termini di emissioni di carbonio”, “efficiente sotto il profilo energetico”, “biodegradabile”, “a base biologica” o asserzioni analoghe, che suggeriscono o danno l’impressione di un’eccellenza delle prestazioni ambientali.

Le asserzioni ambientali generiche dovrebbero essere vietate se non può essere dimostrata un’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali. Se la specificazione dell’asserzione ambientale è fornita in termini chiari ed evidenti tramite lo stesso mezzo, quale il medesimo annuncio pubblicitario, la confezione del prodotto o l’interfaccia di vendita online, l’asserzione ambientale non è considerata un’asserzione ambientale generica.
Ad esempio l’asserzione “imballaggio rispettoso dal punto di vista del clima” sarebbe una asserzione generica, mentre affermare che “il 100 % dell’energia utilizzata per produrre questo imballaggio proviene da fonti rinnovabili” sarebbe una asserzione specifica che non sarebbe soggetta a questo divieto.
Inoltre, un’asserzione presentata in forma scritta o oralmente combinata con dichiarazioni implicite mediante colori o immagini potrebbe costituire un’asserzione ambientale generica.

È particolarmente importante vietare la formulazione di asserzioni, basate sulla compensazione delle emissioni di gas a effetto serra, che sostengono che un prodotto, sia esso un bene o un servizio, ha un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di gas a effetto serra.

Queste asserzioni dovrebbero essere vietate in tutte le circostanze in quanto inducono i consumatori a credere che tali asserzioni si riferiscano al prodotto stesso o alla fornitura e alla produzione di tale prodotto, o perché danno ai consumatori la falsa impressione che il consumo di tale prodotto non abbia alcun impatto ambientale.

Tra gli esempi di tali asserzioni figurano “neutrale dal punto di vista climatico”, “certificato neutrale in termini di emissioni di CO2”, “positivo in termini di emissioni di carbonio”, “a zero emissioni nette per il clima”, “compensazione climatica”, “impatto climatico ridotto” e “impronta di CO2 ridotta”. È opportuno che tali asserzioni siano consentite solo se si basano sull’impatto effettivo del ciclo di vita del prodotto in questione e non sulla compensazione delle emissioni di gas a effetto serra al di fuori della catena del valore del prodotto, in quanto i primi e le seconde non sono equivalenti. Tale divieto non dovrebbe impedire alle imprese di pubblicizzare i loro investimenti in iniziative ambientali, compresi i progetti sui crediti di carbonio, purché forniscano tali informazioni in modo non ingannevole e conforme ai requisiti stabiliti dal diritto dell’Unione.

Gli aggiornamenti del software

Dovrebbe, inoltre, essere vietato non comunicare ai consumatori che un dato aggiornamento del software inciderà negativamente sul funzionamento di beni che comprendono elementi digitali o sull’uso di contenuti digitali o servizi digitali. In generale, gli operatori economici responsabili dello sviluppo di aggiornamenti del software dovrebbero disporre di tali informazioni, mentre in altri casi gli operatori economici possono basarsi su informazioni attendibili fornite, ad esempio, dagli sviluppatori di software, dai fornitori o dalle autorità nazionali competenti.

Ad esempio quando invita il consumatore ad aggiornare il sistema operativo dello smartphone, l’operatore economico non dovrebbe omettere di comunicargli che tale aggiornamento avrà un impatto negativo sul funzionamento di una qualsiasi delle caratteristiche dello smartphone, come la batteria, le prestazioni di determinate applicazioni o causerà un rallentamento generale del dispositivo. È opportuno che il divieto si applichi a qualsiasi aggiornamento, compresi gli aggiornamenti di sicurezza e delle funzionalità.

Gli aggiornamenti del software che sono aggiornamenti di sicurezza sono necessari per l’utilizzo sicuro del prodotto, mentre gli aggiornamenti relativi al miglioramento delle funzionalità non lo sono. Di conseguenza, la direttiva 2005/29/CE dovrebbe vietare la presentazione di un aggiornamento del software come necessario per mantenere la conformità del prodotto se tale aggiornamento migliora soltanto alcune caratteristiche di funzionalità.

Le comunicazioni commerciali

Le comunicazioni commerciali relative a beni che contengono una caratteristica introdotta per limitarne la durabilità sono una pratica commerciale dannosa per i consumatori e l’ambiente, in quanto incoraggiano la vendita di tali beni, il che comporta costi più elevati per i consumatori e un uso non necessario di risorse, la produzione di rifiuti e l’emissione di gas a effetto serra.
Le comunicazioni commerciali dovrebbero, pertanto, essere vietate quando l’operatore economico disponga di informazioni sulla caratteristica e i suoi effetti sulla durabilità del bene.

Esempi di tali caratteristiche potrebbero essere un software che interrompe o degrada la funzionalità del bene dopo un determinato periodo o un componente hardware progettato per smettere di funzionare dopo un determinato periodo. Potrebbe anche trattarsi di un difetto di progettazione o di fabbricazione che, pur non essendo stato introdotto come caratteristica a tal fine, determina un guasto prematuro del bene se non viene corretto una volta che l’operatore economico disponga di informazioni sull’esistenza e sull’effetto della caratteristica. Nel contesto di tale divieto, le comunicazioni commerciali comprendono le comunicazioni destinate a promuovere, direttamente o indirettamente, i beni.

La fabbricazione di beni e la loro messa a disposizione sul mercato non costituiscono comunicazioni commerciali. Tale divieto dovrebbe avere l’obiettivo di essere applicabile principalmente agli operatori economici che sono anche i produttori dei beni, in quanto sono loro a determinarne la durabilità. Pertanto, in generale, quando un bene è identificato come contenente una caratteristica che ne limita la durabilità, il produttore di tale bene dovrebbe essere a conoscenza di tale caratteristica e del suo effetto sulla durabilità di tale bene. Tuttavia, gli operatori economici che non sono i produttori dei beni, come i venditori, dovrebbero essere soggetti a tale divieto qualora dispongano di informazioni attendibili sulla caratteristica e i suoi effetti sulla durabilità, come una dichiarazione di un’autorità nazionale competente o informazioni fornite dal produttore.

L’introduzione di caratteristiche che limitano la durabilità del bene dovrebbe essere distinta dalle pratiche di fabbricazione che impiegano materiali o processi di qualità generalmente bassa e che quindi limitano la durabilità del bene. La non conformità di un bene risultante dall’impiego di materiali o processi di bassa qualità dovrebbe continuare a essere disciplinato dalle norme sulla conformità dei beni di cui alla direttiva (UE) 2019/771.

Affinché i consumatori possano prendere decisioni più consapevoli e al fine di stimolare la domanda e l’offerta di beni più durevoli, è opportuno fornire prima della conclusione del contratto, per tutti i tipi di beni, informazioni specifiche sulla durabilità e sulla riparabilità del prodotto. Un buon indicatore della durabilità del bene è la garanzia commerciale di durabilità del produttore ai sensi dell’articolo 17 della direttiva (UE) 2019/771. Tale garanzia costituisce un impegno del produttore nei confronti del consumatore sulla durabilità di un bene. Più specificamente, costituisce l’impegno che un bene manterrà le funzioni e le prestazioni richieste in condizioni d’uso normali. Affinché i consumatori siano informati dell’offerta di una garanzia di durabilità per un determinato bene, tale informazione dovrebbe essere fornita al consumatore mediante un’etichetta armonizzata.

L’etichetta armonizzata

L’etichetta armonizzata dovrebbe essere esposta in modo visibile e utilizzata in modo da permettere ai consumatori di identificare facilmente il bene specifico che beneficia di una garanzia commerciale di durabilità offerta dal produttore senza costi aggiuntivi, che copre il bene nel suo complesso ed ha una durata superiore a due anni, ad esempio apponendo l’etichetta direttamente sull’imballaggio di un bene specifico, esponendo l’etichetta in modo visibile sullo scaffale in cui sono collocati i beni coperti da tale garanzia, o collocandola direttamente accanto all’immagine del bene in caso di vendita online.
I produttori che offrono tali garanzie commerciali di durabilità possono essi stessi apporre l’etichetta armonizzata direttamente sul prodotto specifico o sul suo imballaggio al fine di beneficiare di un vantaggio commerciale.
Gli operatori economici dovrebbero garantire che l’etichetta armonizzata sia chiaramente visibile. L’avviso armonizzato dovrebbe nel frattempo fornire un promemoria generale ai consumatori in merito alla garanzia legale di conformità applicabile a tutti i beni a norma della direttiva (UE) 2019/771.
L’avviso armonizzato dovrebbe essere esposto in modo visibile, ad esempio su un cartellone affisso in modo da attirare lo sguardo su una parete del negozio, accanto alla cassa o, in caso di vendita online, come promemoria generale sul sito web dell’operatore economico che vende beni.

Gli operatori economici dovrebbero fornire ai consumatori l’etichetta armonizzata, informazioni circa il periodo minimo per gli aggiornamenti e le informazioni sulla riparazione diverse dall’indice di riparabilità, laddove il produttore o il fornitore del contenuto digitale o del servizio digitale, se diverso dall’operatore economico, metta a disposizione le informazioni pertinenti.

Per quanto concerne i beni, l’operatore economico dovrebbe in particolare trasmettere ai consumatori le informazioni che il produttore gli ha fornito o ha altrimenti inteso rendere prontamente disponibili al consumatore prima della conclusione del contratto, riportandole sul prodotto stesso, sull’imballaggio o su cartellini ed etichette che di norma il consumatore consulterebbe prima della conclusione del contratto.

L’operatore economico non dovrebbe essere tenuto a cercare attivamente di ottenere tali informazioni presso il produttore, ad esempio effettuando ricerche su siti web specifici del prodotto. Allo stesso tempo, sarebbe nell’interesse dei produttori fornire proattivamente tali informazioni per beneficiare di un vantaggio commerciale.
Gli operatori economici dovrebbero, se del caso, informare i consumatori in merito alla disponibilità di opzioni di consegna rispettose dell’ambiente, quali la consegna di beni mediante biciclette da trasporto o veicoli elettrici o la possibilità di raggruppare le spedizioni. Se un contratto a distanza che deve essere concluso con mezzi elettronici impone al consumatore l’obbligo di pagare, l’operatore economico lo dovrebbe informare in modo chiaro ed evidente riguardo all’etichetta armonizzata, laddove disponibile, immediatamente prima che il consumatore inoltri un ordine, al fine di assicurare che il consumatore prenda in considerazione tali informazioni.

Il progetto di relazione verrà sottoposto al voto della plenaria dell’Europarlamento in una delle prossime sessioni programmate, molto probabilmente a marzo e costituirà la posizione del Parlamento in prima lettura. Il dossier sarà seguito dal nuovo Parlamento dopo le elezioni europee del 6-9 giugno.