Privacy e lavoratori: è possibile realizzare video riprese dei dipendenti al lavoro?

Il datore di lavoro che decide di installare telecamere per riprendere i propri dipendenti rischia multe salate. Ecco la procedura legale da seguire

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Divieto assoluto per i datori di lavoro di riprendere i propri dipendenti. Inutile anche l’assenso dei lavoratori. Ecco la procedura da seguire per evitare sanzioni.

Telecamere al lavoro

Negli ultimi anni non sono mancati i casi scandalo in cui sono state svelate violenze all’interno di scuole, asili e case di riposo. Dai sospetti alle denunce, fino alle installazioni di telecamere da parte di Polizia e Carabinieri, al fine di incastrare i colpevoli. Da qui la domanda: cosa accadrebbe se i dipendenti venissero ‘spiati’ dal proprio titolare?

Una forma di controllo ulteriore, atta a tutelare gli stessi dipendenti e, nei tre casi indicati in precedenza, gli utilizzatori della struttura, quali bambini e anziani. Secondo quanto indicato dalla Cassazione però, i datori di lavori non potranno in alcun modo riprendere arbitrariamente i dipendenti al lavoro. Il rischio per loro è una condanna penale.

Riprese “giustificate”

Un divieto che vale anche in situazioni nelle quali le riprese video possano sembrare giustificate da esigenze di sicurezza e, in tal senso, non avrebbe alcun valore l’eventuale assenso scritto da parte dei dipendenti stessi. Questi sono infatti ‘soggetti deboli’ e influenzabili in ambito lavorativo, già in fase di assunzione. Procedure del genere potrebbero essere autorizzate soltanto in seguito a un eventuale accordo stipulato con le rappresentanze sindacali. In mancanza di questo, l’accordo dovrebbe essere stipulato con la Direzione Territoriale del Lavoro.

Tutto questo era precedentemente previsto dagli articoli 4 e 38 dello Statuto dei Lavoratori. Confermato in seguito dall’art. 23, c 2 D. lgs n. 151 del 2015, che garantisce la validità del divieto anche dopo l’entrata in vigore del Jobs Act.

A ribadire tali principi, che non vengono toccati dalla recente riforma, è la sentenza della Cassazione 38882/18, pubblicata il 24 agosto. Il provvedimento conferma l’ammenda emessa dal Tribunale di Chieti nei confronti del titolare di un bar. Aveva installato ben quattro telecamere nel proprio bar-gelateria, disponendole in svariati punti strategici, connesse a uno schermo, al fine d’avere pieno controllo su tutti i luoghi in cui i dipendenti svolgevano le proprie mansioni.

Il titolare aveva precisato come alla base dell’installazione ci fosse l’intenzione di tutelare il patrimonio aziendale, ma a nulla è servito. Le telecamere avevano inoltre lo scopo di garantire l’incolumità dei dipendenti dopo i furti subiti e un’aggressione a una dipendente da parte di ragazzi in evidente stato alterato dall’alcool.

Riprese al lavoro: sanzioni

Considerando quando spiegato, è naturale chiedersi a quanto ammontino eventuali sanzioni in caso di riprese illegittime sul luogo di lavoro. Un dipendente che scoprisse una condotta del genere da parte del datore di lavoro, potrebbe denunciare e ottenere risultati del genere:

  • sanzione penale, fino a un massimo quantitativo di 1.549 euro;
  • arresto da 15 giorni a un anno (salvo che il fatto non costituisca reato più grave).

Ecco i casi ritenuti più gravi:

  • installazione di telecamere fisse atte a inquadrare in modo diretto ed esclusivo l’attività dei dipendenti, oppure luoghi addetti alla pausa o alla consumazione dei pasti;
  • assenza delle finalità che legittimano l’installazione delle videocamere, ovvero esigenze organizzative, produttive, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale;
  • installazione di telecamere a insaputa del lavoratore, con eccezzione dei controlli difensivi, ovvero quelli diretti ad accertare specifiche condotte illecite del dipendente, differenti dall’inadempimento della prestazione richiesta.