Truffe solidali sui social, come riconoscere le finte raccolte fondi

I social italiani diventano terreno per truffe solidali: finte raccolte fondi ingannano utenti generosi. Scopri come difenderti e riconoscerle

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

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In un’epoca in cui un like può sembrare un gesto d’aiuto e un hashtag un’onda di cambiamento, i social network italiani sono diventati il terreno fertile per un fenomeno sempre più preoccupante: le truffe solidali. Sfruttando la genuina generosità delle persone, criminali senza scrupoli mettono in scena drammi emotivi per intascare soldi destinati a chi soffre veramente.

Come avvengono le truffe

Il meccanismo è sempre lo stesso, ma si evolve continuamente negli scenari. Si va dalle raccolte fondi per cure mediche inesistenti per bambini gravemente malati (complete di foto rubate dal web e cartelle cliniche falsificate), alle donazioni per aiutare le vittime di disastri naturali appena accaduti (terremoti, alluvioni), dove la fretta di aiutare offusca la capacità di verificare le informazioni. Fino alle storie strappalacrime di animali bisognosi di interventi chirurgici costosi o di famiglie in difficoltà economica a causa di eventi tragici inventati.

Questi criminali creano pagine Facebook o profili Instagram dedicati. Spesso scelgono nomi che richiamano la solidarietà, come “Aiutiamo [Nome Inesistente]” o “Un cuore per [Causa Finta]”. Usano immagini toccanti, a volte rubate da profili reali, e costruiscono una narrazione coinvolgente e dettagliata.

I pagamenti vengono richiesti quasi esclusivamente tramite metodi tracciabili ma immediati e difficilmente reversibili come bonifici bancari su conti intestati a prestanome, o, ancor peggio, tramite ricariche PostePay o carte regalo. Una volta raggiunta una somma significativa, la pagina sparisce nel nulla, lasciando solo donatori amareggiati e un danno alla fiducia collettiva.

Quanto è diffuso il fenomeno

Difficile avere dati precisi, poiché molte vittime, per vergogna, non denunciano. I pochi dati che ci sono arrivano da uno studio della Cornell University chiamato “Pirates of Charity: Exploring Donation-based Abuses in Social Media Platforms”, che ha analizzato le truffe che avvengono sui social.

Lo studio ha analizzato tra marzo e maggio 2024 oltre 151mila account e circa 3 milioni di post relativi a raccolte fondi su piattaforme come X (ex Twitter), Instagram, Facebook, YouTube e Telegram. Di questi, 832 account sono stati identificati come truffatori, utilizzando tecniche comuni come la creazione di siti web falsi, campagne di crowdfunding fraudolente e comunicazioni tramite email o telefono.

In Italia, il reato di truffa è disciplinato dall’articolo 640 del Codice Penale, che prevede pene da sei mesi a tre anni di reclusione e multe da 51 a 1.032 euro. Se la truffa riguarda contributi, sovvenzioni o finanziamenti pubblici, si applica l’articolo 640-bis, con pene da due a sette anni di reclusione e procedibilità d’ufficio .

Come possiamo difenderci

La difesa numero uno è la diffidenza sana. L’emozione non deve sostituire la razionalità. Ecco alcuni consigli pratici per donare in sicurezza:

  • verificare la fonte, analizzando se la raccolta è promossa da un’associazione riconosciuta o no;
  • diffidare delle storie troppo perfette (o troppo tragiche);
  • controllare la tracciabilità delle donazioni, che dovrebbero passare verso associazioni serie o bonifici intestati chiaramente all’associazione stessa, non a privati;
  • rifiutare sempre di donare tramite ricariche PostePay, carte regalo, money transfer o criptovalute se non conosci personalmente il beneficiario.;
  • fare una veloce ricerca su Google delle parole chiave della storia per controllare se esistono truffe identiche già denunciate da altri utenti;;
  • in generale, se si ha qualche dubbio è sempre meglio non donare.