Wishcycling, i danni dei rifiuti che non sono realmente riciclabili

Il wishcycling è la pratica di buttare in uno dei bidoni per la raccolta differenziata oggetti senza avere la certezza che il conferimento sia quello giusto

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Matteo Paolini

Giornalista green

Nel 2012 ottiene l’iscrizione all’Albo dei giornalisti pubblicisti. Dal 2015 lavora come giornalista freelance occupandosi di tematiche ambientali.

In 25 anni l’Italia è passata dall’affrontare un’urgenza rifiuti a diventare uno dei Paesi più virtuosi al mondo e il primo in Europa per il riciclaggio dei rifiuti. Nel 2020, la Penisola ha raggiunto una percentuale del 72% di riciclo dei rifiuti, inclusi quelli urbani e industriali speciali, superando di gran lunga la media dell’Unione Europea che si attesta al 53%.

Il notevole miglioramento ha avuto un impatto positivo sull’industria del riciclo, generando la creazione di oltre 4.800 imprese e 236.000 posti di lavoro, generando un giro d’affari di 10,5 miliardi di euro.

Tuttavia, negli ultimi anni, si è riscontrato un problema crescente riguardo al cosiddetto “wishcycling”, ovvero la tendenza a gettare oggetti e materiali nei contenitori del riciclo che non possono essere effettivamente recuperati.

Il pericolo del wishcycling

Se non si è sicuri che un oggetto sia riciclabile, è meglio gettarlo nel cestino del non recuperabile anziché rischiare di incorrere nella pratica del wishcycling. Questa tendenza a gettare nei bidoni del riciclo materiali che non possono essere recuperati rallenta le operazioni degli impianti di separazione e riciclaggio, aumenta i costi e gonfia le statistiche. Spesso, ci comportiamo in questo modo perché speriamo che gli oggetti siano riciclabili, ma questo può causare problemi.

Wishcycling: quando la buona intenzione porta al riciclo sbagliato

Secondo le prove raccolte dalla sociologa Rebecca Altman, la storia del termine “wishcyclinginizia nel 2015, quando l’industria ha coniato questo concetto per definire quei consumatori che, seppur molto sensibili, erano poco educati alla raccolta differenziata e sceglievano di gettare nei bidoni del riciclo materiali che in realtà non erano riciclabili.

Questo accade spesso a causa di un meccanismo psicologico per cui le persone scelgono di credere che se differenziano un oggetto, diventerà un nuovo prodotto anziché essere sepolto in una discarica o bruciato. Tuttavia, questo atteggiamento può comportare problemi per l’efficacia del processo di riciclaggio e per l’ambiente.

Per evitare di cadere nella trappola del wishcycling, è importante conoscere i materiali riciclabili nella propria zona e verificare le etichette degli oggetti per capire se possono essere riciclati. Inoltre, è fondamentale educarsi alla raccolta differenziata e informarsi sui programmi di riciclaggio specifici della propria comunità. Solo così possiamo fare la nostra parte per proteggere l’ambiente e fare del riciclaggio un’efficace pratica di sostenibilità.

Il dilemma del codice di identificazione del materiale

Questo fenomeno si è acuito negli anni, man mano che le campagne a favore del riciclo da parte di governi, aziende e ambientalisti si sono intensificate. Sembra che il wishcycling affligga particolarmente le materie plastiche che riportano i codici di identificazione del materiale all’interno dell’ormai celebre triangolo composto dalle tre “frecce che si rincorrono”. Il problema è proprio qui: spesso questo segno ci induce a credere che l’articolo sia riciclabile, mentre invece è falso. Solo polietilene, PET e polietilene ad alta densità (HDPE) sono relativamente facili da riciclare e hanno un mercato della materia prima seconda. Gli altri richiedono procedimenti molto più complessi, quindi spesso finiscono in discarica o nell’inceneritore.

Anche il settore privato ha responsabilità nella contaminazione dei rifiuti

Di fronte a questo inganno, il wishcycling è dunque tutta colpa nostra? Non è pensabile che i consumatori conoscano in dettaglio i processi di riciclo, la struttura industriale e le dinamiche del mercato. Per questo il dibattito sta cambiando, e inizia ad affibbiare anche al settore privato le giuste responsabilità di questa contaminazione del flusso di rifiuti con materiale che non è effettivamente riciclabile.

La crisi globale dei rifiuti: cause e responsabilità

La crisi globale dei rifiuti non è un problema causato esclusivamente dai consumatori che non lavano i barattoli di maionese prima di gettarli. I maggiori driver di questa crisi sono di natura globale e includono la sovrapproduzione di imballaggi, gli incentivi al commercio internazionale dei rifiuti e la mancanza di politiche di riciclo standardizzate, investimenti pubblici e normative stringenti.

Tutto ciò ha permesso alle imprese di confondere i consumatori con informazioni fuorvianti, come l’uso di simboli che possono far pensare che il prodotto sia riciclabile, ma che in realtà potrebbero essere solo un espediente di marketing. Di conseguenza, la responsabilità della crisi dei rifiuti va condivisa tra consumatori, imprese e governi, che devono lavorare insieme per trovare soluzioni sostenibili.

Il “wishcycling”: una battaglia educativa per il riciclo consapevole

Nel tentativo di combattere il problema del wishcycling, molte grandi aziende di gestione dei rifiuti, città e paesi hanno lanciato campagne educative per sensibilizzare i consumatori sull’importanza di smaltire correttamente i rifiuti. Lo slogan “Se hai un dubbio, buttalo via” è diventato un mantra per incoraggiare le persone a mettere solo i materiali riciclabili nel bidone della plastica.

Questa iniziativa mira a ridurre i costi sostenuti dagli impianti di riciclaggio e dalle amministrazioni locali. Tuttavia, per fare ulteriori progressi, i governi devono imporre alle imprese di progettare packaging pienamente riciclabili e riutilizzabili, tenendo conto di tutto il ciclo di vita dei prodotti, riducendo la produzione di imballaggi monouso e investendo pesantemente nelle infrastrutture del riciclo.