Il vento non si alza: cosa blocca il settore eolico in Italia?

Dalla burocrazia alle resistenze psicologiche delle comunità: le difficoltà del comparto sono espresse dai numerosi progetti stoppati. E da un piano da 60 Gigawatt che non decolla

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Pubblicato: 26 Maggio 2022 17:51

Il 2022 è stato annunciato come l’anno della svolta per la transizione ecologica, sulla scia dei nuovi assetti globali delineati dalla guerra in Ucraina (ne abbiamo parlato qui). Mario Draghi ha rassicurato il comparto, affermando che l’energia rinnovabile resta “l’unica strada per affrancarci dalle importazioni di combustibili fossili e per raggiungere un modello di crescita davvero sostenibile”. Il Governo, ha dichiarato, “continuerà in ogni sforzo per rendere questi investimenti più rapidi, per distruggere le barriere burocratiche che li impediscono. Oggi sono solo quelle a impedirli”.

Rinnovabili e burocrazia: un problema da risolvere

Quello delle autorizzazioni e delle lungaggini burocratiche resta l’ostacolo principale al decollo green. Soprattutto per l’Italia, che nel campo delle fonti “verdi” ha perso terreno rispetto al resto d’Europa. Se ad esempio si snellissero le norme sulle installazioni di nuovi impianti, la copertura energetica nazionale aumenterebbe di 4 volte per l’eolico e addirittura di 7 volte per il fotovoltaico rispetto ai dati attuali. Tradotto: l’Italia ha un potenziale eolico in grado di centrare i target di decarbonizzazione al 2030, aiutare a tagliare le bollette e ridurre la dipendenza dal gas russo. Ma la burocrazia ci allontana anni luce da questi obiettivi.

Negli ultimi 9 anni i “no” delle soprintendenze sono stati costanti e le autorizzazioni sono passate da 1.200 MW nel triennio 2012-2014 a 750 MW nel 2015-2017 (con un calo del 40%), fino ai “miseri” 125 MW nell’ultimo triennio 2018-2020 (per un calo dell’80%). Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima prevede, al 2030, il raddoppio della capacità eolica rispetto a quella installata oggi in Italia. Parliamo di un monte di 20 GW, che consentiranno una produzione di energia elettrica superiore ai 40 TWh (che aria tira davvero in Italia? Qui trovate un’analisi del settore eolico in Italia).

A mettersi di traverso, però, è sempre il sistema burocratico: occorrono infatti in media 5 anni e mezzo per autorizzare i nuovi impianti contro l’anno previsto. L’inizio dei lavori del primo impianto eolico offshore in Italia, a Taranto, “è la dimostrazione del fatto che abbiamo aziende all’avanguardia, ma devono essere messe in condizione di lavorare, senza ostacoli burocratici”, ha evidenziato Togni.

Le aziende pronte a investire ci sono, ma…

L’energia pulita, insomma, costa meno di quella “sporca”. Le resistenze, che 15 anni fa erano di stampo economico, sono ormai psicologiche e amministrative. Le aziende pronte a investire ci sono, ma sono di fatto “bloccate” dagli ostacoli che abbiamo descritto.

Un gruppo di imprenditori del settore sarebbe disponibile a fornire allo Stato decine e decine di Gigawatt a costo zero. Una soluzione ideale per far fronte alla crisi energetica, come spiega a Report Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura – Confindustria: “Noi chiediamo di poter fare 60 Gigawatt di nuovi impianti eolici, raddoppiando la quota di energia verde prodotta in Italia e al contempo dimezzando in questo modo le importazioni di gas russo”.

La “filiera del vento” è pronta a partire anche subito, da qui ai prossimi tre anni. Se solo le imprese ottenessero i permessi. Ma quanto costerebbe? “Non vogliamo soldi, anzi vogliamo investire 80 miliardi di euro nei prossimi tre anni“. Tutti contenti quindi, perché a guadagnarci sarebbero Stato, ambiente e anche contribuenti. Una volta attivati gli impianti, la bolletta media si ridurrebbe infatti dell’80%, visto che l’energia eolica costa 160 euro al Megawattora meno del gas (225 euro contro i 65 del prezzo fisso dei contratti FER stipulati con il GSE per 20 anni).

Il piano “sospeso” dei 60 Gigawatt di rinnovabili

Se tutto è pronto sulla linea di partenza, cosa impedisce davvero ai progetti green di decollare? Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, offre sempre a Report la sua versione: “Sulla carta possiamo anche realizzare 60 Gigawatt di rinnovabili in tre anni, che vuol dire installare gli impianti. Poi però non abbiamo la capacità di gestirla e di accumularla”.

La rete elettrica non è progettata per essere per la maggior parte non programmabile. Se noi adesso “mettessimo magicamente rinnovabili da tutte le parti, la nostra rete elettrica non sarebbe sufficientemente intelligente da gestire i flussi, che non sono disponibili 24 ore su 24. Siamo i primi ad accelerare, ma bisogna essere realisti. Macron ha fatto un piano da 100 Gigawatt in 10 anni, noi da 70 Gigawatt in 9 anni. Ora, ci sbagliamo tutti?”.

Il problema sarebbe dunque la mancanza di accumulatori, vale a dire di batterie per immagazzinare energia e di smart grid (insieme di reti di informazioni e di reti di distribuzione). C’è che dice che sbloccare i 60 Gigawatt della discordia potrebbe provocare addirittura il collasso della rete elettrica. E c’è quindi anche chi si domanda se il progetto sia effettivamente realizzabile (eppure il 2021 è stato un anno record per le rinnovabili: ne abbiamo parlato qui).

Altri, come Enel, danno invece risposte in controtendenza. Secondo Nicola Lanzetta, direttore generale di Enel Italia, il “piano 60 Gigawatt” tecnicamente potrebbe partire anche domani. “Noi in Italia abbiamo una rete che è tra la più avanzate al mondo e nei prossimi tre anni contiamo di investirci altri 10 miliardi di euro. Questi soldi, accoppiati a uno stato della rete più che adeguato, ci consentono di dire: ben vengano i 60 Gigawatt. Anche subito”.

“Non nel mio giardino”, i progetti eolici bloccati

A ostacolare la transizione veicolata dalle pale eoliche contribuiscono anche cittadini, associazioni e comunità. Sono decine i comitati Nimby (Not in my backyard, “non nel mio giardino”) che si oppongono alle installazioni di impianti in aree paesaggistiche e rurali, tenendo in scacco anche progetti green molto importanti sia su terra che in mare. Tra questi, ne spiccano dieci.

  1. Tra Rimini e Cattolica – Il progetto di Energia Wind 2020 prevede una cinquantina di pale nell’Adriatico che produrrebbero 330 Megawatt, sufficienti a garantire elettricità a 120mila famiglie. Contro si sono scagliati comitati come “Basta plastica in mare”, Italia nostra, associazioni di ornitologi, club nautici e assessori locali.
  2. Mugello – A due passi dal luogo di nascita di Giotto, la Regione ha autorizzato l’impianto più grande della Toscana: 10 pale eoliche da 170 metri e 30 MW di potenza. Il piano si è però arenato a causa del contenzioso tra Regione e Soprintendenza per il possibile impatto paesaggistico e ambientale. Cittadini e comitati hanno denunciato inoltre pericoli di frane e dissesto idrogeologico e la costruzione di strade per il trasporto materiali attraverso circa 6 ettari di bosco.
  3. Castel San Giorgio – Anche la vicina Umbria si conferma un tabù per l’eolico. Nella provincia di Terni c’è il progetto della Rwe Renewables a Castel San Giorgio. Sette aerogeneratori da 6 MW cadauno, osteggiato dal sindaco in persona, Andrea Garbini, sostenuto da comitati locali.
  4. San Martino e Rotello – In Molise si sono attivati comitati, residenti, amministratori e consiglieri regionali per dire “no” all’installazione di 12 grandi impianti negli uliveti di San Martino in Pensilis e di Rotello. Il progetto della Wind Energy, in fase di autorizzazione, garantirebbe una potenza di 48 MW.
  5. Carloforte – Tuffandoci nel Tirreno e arrivando in Sardegna, troviamo in cantiere sei progetti osteggiati da associazioni ecologiste come il Gruppo d’intervento Giuridico (GrlG). Il nodo sono le concessioni demaniali marittime.
  6. San Bartolomeo in Galdo – In Campania, diversi Comuni della provincia di Benevento hanno piantato la bandiera del “No eolico selvaggio” nella terra di San Bartolomeo in Galdo, considerata il cuore agricolo del territorio. La protesta è contro la possibile realizzazione di un parco da 7 aerogeneratori di Edelweiss Energia, alti 180 metri e capaci di 28 MW di potenza.
  7. Sant’Arcangelo – Forse non è cosa nota, ma la confinante Basilicata conta la più alta percentuale di impianti eolici di tutta Italia. Dopo anni di installazioni la Regione dice “no” a nuovi progetti, complice una legge che limita la potenza massima a 3 MW. Il caso simbolo è rappresentato dall’impianto di Sant’Arcangelo (Potenza) da 8 generatori e potenza di 19,2 MW, bloccato dopo aver ottenuto le autorizzazioni e superato la valutazione di impatto ambientale.
  8. Salento – La costa salentina che va da Porto Badisco a Santa Maria di Leuca potrebbe diventare la sede del più grande parco ecolico off-shore galleggiante italiano: 90 turbine alte 250 metri a circa 13 chilometri dal litorale, per una capacità da 1,3 Gigawatt e da 4 Terawattora all’anno (l’equivalente del consumo di oltre un milione di utenze domestiche). Potrebbe, perché il Comitato Tutela Costa Adriatica Salentina, composto da sindaci e cittadini di Comuni coinvolti, si oppone con decisione.
  9. Monterosso Calabro – In Calabria il progetto della discordia più in vista è quello relativo a un parco da tre pale eoliche per 20 MW, osteggiato dagli ambientalisti perché “potrebbe portare all’abbattimento di 4mila alberi”. Il progetto della tedesca Essen dovrebbe sorgere nella zona di Monterosso Calabro (Vibo Valentia).
  10. Isole Egadi – Sulla spinta dei comitati Nimby, la Regione Sicilia si è espressa contro la costruzione di uno dei parchi eolici più grandi d’Europa al largo delle Egadi, promosso da Medwind Italia e presentato da Renexia. L’energia elettrica prodotta da 190 turbine avrebbe provveduto al fabbisogno di 3 milioni e mezzo di famiglie. Il nodo sollevato da comitati e sindaci in questo caso è la pesca.