Strato di ozono, secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale ci sono segnali di ripresa

Grazie al Protocollo di Montreal, cloro e bromo sono in diminuzione e si registrano segnali concreti di ripristino dell'ozono in alcune aree dell'atmosfera

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Matteo Paolini

Giornalista green

Nel 2012 ottiene l’iscrizione all’Albo dei giornalisti pubblicisti. Dal 2015 lavora come giornalista freelance occupandosi di tematiche ambientali.

Il recente incontro dei Responsabili della Ricerca sull’Ozono ha rilevato che, grazie al successo del Protocollo di Montreal sulle sostanze che riducono lo strato di ozono, le abbondanze atmosferiche di cloro e bromo troposferico provenienti da sostanze a lunga vita che riducono lo strato di ozono hanno continuato a diminuire e che le prove si sono rafforzate per il recupero dell’ozono in alcune parti dell’atmosfera.

Fin dalla sua creazione, uno dei pilastri del Protocollo di Montreal è stato il suo solido fondamento su scienza di altissima qualità. Il programma Wmo Global Atmosphere Watch (Gaw) continua a svolgere un ruolo essenziale nel sostenere la scienza dell’ozono attraverso osservazioni, analisi, modellazione, gestione dei dati e sviluppo delle capacità. È fondamentale che le osservazioni dell’ozono, delle sostanze che riducono lo strato di ozono e delle radiazioni ultraviolette (UV) siano mantenute con la qualità, la risoluzione e la copertura globale necessarie per tenere conto dei cambiamenti nell’ozono nei prossimi decenni. Molti fattori influenzeranno il previsto recupero dell’ozono, che deve essere completamente misurato e compreso.

Questa seconda edizione del bollettino Wmo Ozone and UV presenta notizie e informazioni globali sullo stato dello strato di ozono e il buco dell’ozono antartico nel 2023. Inoltre, illustra le misure per proteggere la salute umana e l’ambiente dalle dannose radiazioni UV, nonché una recente importante attività per ripristinare le osservazioni di Brewer in Sud America, sostenuta dal Fondo fiduciario generale per il finanziamento delle attività di ricerca e osservazione sistematica relative alla Convenzione di Vienna (di seguito, il Fondo fiduciario).

Le variazioni dei livelli di ozono nel 2023: una dinamica globale complessa

Nel 2023, la distribuzione dell’ozono è stata simile a quella osservata nel 2022 (Wmo, 2023). Tuttavia, i valori di ozono rilevati in Antartide e nelle medie latitudini settentrionali sono stati inferiori rispetto alla media climatologica registrata nel periodo 2003-2021. Al contrario, i valori di ozono sono risultati superiori alla media in un’ampia fascia latitudinale che va dai 30° N ai 60° S e nella regione del Polo Nord.

Questo schema, caratterizzato da una maggiore concentrazione di ozono alle basse latitudini e da una minore concentrazione alle alte latitudini, è legato all’intensità della circolazione meridionale media Brewer-Dobson (Bdc), che redistribuisce l’ozono dalle latitudini basse a quelle alte. Soprattutto nei mesi invernali, una Bdc debole trasporta meno aria ricca di ozono dalle latitudini basse a quelle alte, causando così elevate colonne totali di ozono nei tropici e valori bassi alle alte latitudini.

Nel primo semestre del 2023, la debolezza della Bdc è stata attribuita alla fase occidentale dell’Oscillazione quasi biennale (Qbo), una variazione periodica dei venti equatoriali. Questa fase occidentale della Qbo ha prevalso durante l’inverno e la primavera dell’emisfero settentrionale 2022/2023, inducendo una circolazione residua che ha ulteriormente indebolito la Bdc nell’emisfero settentrionale.

Anomalie positive nell’emisfero meridionale

In contrasto, nell’emisfero meridionale si sono osservate anomalie positive più diffuse, dovute a una combinazione tra la fase orientale della Qbo, verificatasi dopo giugno 2023, e l’emergente fenomeno del forte El Niño a partire dalla metà del 2023. Entrambi questi fattori hanno rafforzato la BDC durante l’inverno nell’emisfero meridionale (Baldwin et al., 2001; Benito-Barca et al., 2022), determinando un aumento delle colonne di ozono nelle medie latitudini meridionali, in particolare dopo agosto 2023. Ciò ha portato a larghe anomalie positive, su gran parte dell’emisfero meridionale, ad eccezione dell’Antartide (si veda la sezione sullo stato del buco dell’ozono antartico nel 2023 nel presente Bollettino).

Il ruolo degli eventi naturali

I valori totali di ozono registrati nel 2023 si collocano nel range osservato negli anni precedenti e sono coerenti con le aspettative, grazie all’inizio della riduzione del cloro e del bromo ozono-depletanti presenti nella stratosfera (Wmo, 2022). Nell’emisfero meridionale, i valori più elevati nelle medie latitudini del 2023 hanno segnato la fine di diversi anni caratterizzati da basse colonne totali di ozono, causate in parte dai grandi incendi australiani del 2020/2021 e dai cambiamenti nel trasporto di ozono indotti dall’eccesso di vapore acqueo provocato dall’eruzione vulcanica Hunga Tonga-Hunga Ha’apai del 2022.

Infine, il buco dell’ozono antartico del 2023 si è formato in anticipo rispetto agli anni precedenti ed è durato fino a metà dicembre, causando una anomala riduzione annuale dell’ozono sopra l’Antartide.

I dati del 2023 confermano l’importanza di monitorare e comprendere le dinamiche globali che influenzano i livelli di ozono. Eventi come l’El Niño e la Qbo, insieme ai fenomeni naturali straordinari come incendi o eruzioni vulcaniche, hanno un impatto significativo su questo delicato equilibrio.

Le Sostanze Ozono Lesive (Ods) e i loro effetti sulla salute e sull’ambiente

Le Sostanze Ozono Lesive (Ozone Depleting Substances, Ods) sono così chiamate perché hanno la capacità di distruggere le molecole di ozono, trasformandole in semplice ossigeno. Questo processo porta all’assottigliamento dello strato di ozono stratosferico. Quando lo strato di ozono si riduce, i pericolosi raggi ultravioletti riescono a penetrare e raggiungere la superficie terrestre, causando danni significativi agli esseri umani, agli animali e alle piante. I raggi ultravioletti possono provocare cancro alla pelle, malattie oculari come le cataratte, mutazioni genetiche e, di conseguenza, squilibri negli ecosistemi.

Le Ods condividono la caratteristica di contenere almeno un atomo di cloro o di bromo nella loro molecola e sono suddivise in nove gruppi principali:

  1. Clorofluorocarburi (Cfc)
  2. Altri clorofluorocarburi
  3. Halon
  4. Tetracloruro di carbonio (Ctc)
  5. Tricloroetano (Tca)
  6. Bromuro di metile (Mb)
  7. Idrobromofluorocarburi (Hbfc)
  8. Idroclorofluorocarburi (Hcfc)
  9. Bromoclorometano (Bcm)

Queste sostanze sono state utilizzate per lungo tempo in vari settori. I Cfc sono ora impiegati solo per usi critici, come nel campo medico o nell’industria aerospaziale, previa approvazione del Protocollo di Montreal. Fino alla metà degli anni ’90, i Cfc erano ampiamente utilizzati nel settore della refrigerazione (frigoriferi, condizionatori d’aria), nelle schiume poliuretaniche come agenti espandenti e come propellenti per prodotti spray. Nonostante il loro bando a livello mondiale, molti Cfc sono ancora presenti in vecchi apparecchi e impianti isolanti, rilasciando lentamente queste sostanze nell’ambiente.

Gli Halon erano utilizzati come agenti estinguenti nei sistemi antincendio, ma oggi il loro uso è limitato a settori critici come l’aviazione e il militare. Gli Hcfc trovano impiego in tutti i campi descritti per i Cfc e gli Halon. Il bromuro di metile è utilizzato in agricoltura e per la sterilizzazione delle derrate alimentari e del legname. Le altre sostanze ozono lesive erano o sono utilizzate come materie prime nell’industria chimica.

L’uso di queste sostanze ha avuto un impatto significativo sull’ambiente, rendendo essenziale la ricerca di alternative più sicure e sostenibili per proteggere lo strato di ozono e, di conseguenza, la salute del nostro pianeta.

La crescita della produzione di plastica e la sua degradazione per i raggi UV

La produzione globale di plastica è aumentata di 200 volte dagli anni ’50 e si è raddoppiata negli ultimi due decenni senza segni di rallentamento. Grazie alla sua malleabilità e durabilità, la plastica spesso supera i materiali alternativi, diventando parte integrante di molti beni di consumo quotidiani, dai packaging alimentari alle abitazioni stampate in 3D. Questo ha fatto sì che la plastica venga utilizzata praticamente ovunque.

Tuttavia, parallelamente alla crescita della produzione, anche la quantità di rifiuti plastici mal gestiti è aumentata rapidamente. Quando questi rifiuti migrano nell’ambiente, i detriti di plastica di grandi dimensioni subiscono un processo di degrado, frammentandosi in pezzi più piccoli. La radiazione UV solare è il principale fattore che innesca la fotodegradazione superficiale della plastica nell’ambiente. Il deterioramento continuo, causato dalla radiazione UV insieme ad altri agenti stressanti come il calore, l’umidità e le forze meccaniche, porta alla formazione di frammenti di diverse dimensioni: microplastiche con dimensioni inferiori a 5 mm e nanoplastiche inferiori a 0,1 µm. Di conseguenza, le variazioni nella radiazione UV influenzano direttamente l’abbondanza di questi composti plastici nell’ambiente.

Il protocollo di Montreal, un trattato globale contro il deterioramento della plastica

Il Protocollo di Montreal è riconosciuto come il trattato ambientale globale più efficace di tutti i tempi. Ha prevenuto con successo l’aumento su scala globale delle radiazioni solari UV-B che raggiungono la superficie terrestre. In relazione alla degradazione della plastica, il Protocollo ha contribuito a limitare la formazione incontrollata di micro e nanoplastiche, frenando i processi di frammentazione della plastica dovuti agli agenti atmosferici. Inoltre, come effetto collaterale positivo, il Protocollo ha contribuito a mitigare il riscaldamento globale, riducendo le sostanze che riducono l’ozono e che funzionano anche come gas serra. Questo ha rallentato la produzione di frammenti di plastica riducendo l’efficacia dei processi di invecchiamento all’aperto.

Le microplastiche e nanoplastiche, una minaccia globale

Oggi, le microplastiche e nanoplastiche si trovano ovunque sul pianeta: nei corpi idrici, dal fondo degli oceani ai ghiacci del Mar Glaciale Artico, così come nel suolo e nell’aria. Purtroppo, sono state rilevate anche in organismi di tutte le dimensioni, compresi gli esseri umani. Negli ecosistemi, le micro e nanoplastiche hanno numerosi effetti diretti e indiretti, molti dei quali sono difficili da quantificare. La situazione è ulteriormente complicata dal rilascio di sostanze potenzialmente tossiche utilizzate come additivi per migliorare la durabilità e/o le prestazioni della plastica.

Il ruolo della radiazione solare UV e del cambiamento climatico nella degradazione della plastica

Nel Rapporto di Valutazione 2023 dell’Environmental Effects Assessment Panel del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, si è valutato lo stato attuale della comprensione degli effetti interattivi della radiazione solare UV e del cambiamento climatico sulla produzione di inquinamento da plastica. Nonostante le lacune nella conoscenza, il Panel conclude che le micro e nanoplastiche rappresentano una delle preoccupazioni ambientali più allarmanti di oggi. Per garantire un pianeta sano e sostenibile, è essenziale considerare gli impatti della radiazione UV solare e delle influenze climatiche sulla frammentazione della plastica.

Radiazioni UV, rischi per la salute e strumenti innovativi per la prevenzione del cancro alla pelle

Le radiazioni UV sono cancerogene  e rappresentano la principale causa di tumori della pelle. Esse possono inoltre provocare gravi malattie a carico della pelle e degli occhi, sia immediatamente che in età avanzata. Il cancro alla pelle è il tumore più comune tra le persone con pelle chiara a livello mondiale  e la sua incidenza è in costante aumento in tutte le popolazioni del pianeta. La situazione potrebbe peggiorare ulteriormente a livello regionale a causa dei cambiamenti climatici, rendendo urgenti misure preventive più efficaci. Tra queste, è cruciale ripensare la progettazione degli spazi urbani, l’infrastruttura e l’architettura del paesaggio per ridurre l’esposizione alle radiazioni UV.

Pianificazione urbana e riduzione dell’esposizione ai raggi UV

La progettazione delle città deve tener conto delle aree in cui l’esposizione ai raggi UV potrebbe essere elevata e prevedere misure strutturali-tecniche per mitigarla, come l’uso di vegetazione e la pianificazione di strutture architettoniche capaci di generare ombre naturali. Strumenti per individuare queste aree a rischio devono essere integrati fin dalle prime fasi della pianificazione edilizia.

Modello di radiazione UV urbana, una soluzione innovativa

Nel contesto di un progetto di ricerca promosso dal Ufficio Federale Tedesco per la Protezione dalle Radiazioni (BfS), è stato implementato con successo un modello di radiazione UV urbana all’interno del modello atmosferico di turbolenza a scala microscopica PALM. Questo modello è in grado di quantificare, in base all’ora del giorno, l’irradianza UV eritematosa nelle aree urbanizzate con una risoluzione della griglia inferiore a 0,5 metri.

Il modello considera l’ombreggiatura delle radiazioni UV causata da alberi, edifici e dispositivi di protezione solare, come tende da sole o vele ombreggianti, e include anche il passaggio della radiazione UV attraverso la vegetazione e le riflessioni multiple delle radiazioni UV sulle superfici urbane. Il modello di base è stato testato utilizzando un software di trasferimento radiativo che simula diversi angoli zenitali solari. Le comparazioni con i dati misurati hanno mostrato una buona corrispondenza in aree non ombreggiate.

L’importanza di dati ambientali microscopici

Il modello ha evidenziato che una comprensione precisa delle condizioni ambientali microscopiche è essenziale per una modellazione accurata della radiazione UV. In particolare, è emerso che dettagli sull’altezza e la densità degli alberi sono fondamentali per rappresentare correttamente la variabilità spaziale e temporale della radiazione UV nelle aree urbane.

SunSmart Global UV, un’app per la protezione dai raggi solari

A supporto di queste misure, è disponibile l’app gratuita SunSmart Global UV, che fornisce consigli pratici per la protezione dal sole, permettendo di conoscere i livelli di radiazione UV dannosi per la pelle in qualsiasi parte del mondo. L’app, supportata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale in collaborazione con il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, è uno strumento efficace per prevenire i danni causati dalle radiazioni UV e ridurre il rischio di sviluppare tumori cutanei. Recentemente aggiornata, l’app ora include l’aggiunta della lingua araba insieme ad altre otto lingue tra cui italiano, francese, inglese, russo, cinese, olandese, spagnolo e tedesco.

Le radiazioni UV rappresentano un serio pericolo per la salute umana, in particolare per il rischio crescente di cancro della pelle e malattie oculari. È fondamentale implementare strumenti efficaci per la prevenzione e sviluppare tecnologie innovative come il modello di radiazione UV urbana per proteggere le persone dall’eccessiva esposizione ai raggi solari. L’integrazione di queste soluzioni nei progetti di pianificazione urbana e l’utilizzo di app come SunSmart Global UV possono contribuire a migliorare la qualità della vita e a prevenire rischi futuri legati alle radiazioni solari.