Mentre le regioni del Centro Italia sono sommerse dall’acqua a causa delle nuove alluvioni che stanno interessando soprattutto parte della Toscana e dell’Emilia-Romagna, al Nord fa freddo e il tempo, sia per le temperature che per i colori, sembra tutt’altro che primaverile. Anche se gennaio, a guardar bene le medie, è stato un mese caldissimo: infatti, ha segnato un nuovo record storico come mese più caldo di sempre, dopo che il 2024 è stato l’anno più bollente mai registrato.
Arrivati a metà marzo, e guardandosi indietro all’inverno, viene da chiedersi dove sia finita la neve quest’anno. Con la crisi climatica e l’aumento delle temperature, la montagna sta cambiando volto. Nevica sempre meno, o non nevica proprio, aumentano gli impianti sciistici dismessi e l’innevamento artificiale. Con conseguenze sul turismo di montagna e sulle comunità che ci vivono sempre più impattanti. Nelle Alpi, le temperature stanno crescendo a una velocità doppia rispetto alla media globale.
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Importate deficit idrico nevoso: i dati
Leggendo con attenzione il nuovo report di Legambiente “Nevediversa 2025“, è evidente come, nonostante le piogge di questi giorni, complessivamente anche nell’inverno 2024-2025 le nevicate sono sotto la media, confermando il trend degli ultimi anni, dettato in particolare dal cambiamento climatico.
Dopo un novembre freddo, che aveva fatto ben sperare rispetto a una stagione invernale ricca di neve, la mancanza di precipitazioni ha poi invece deluso tutti. Soprattutto sulle Alpi, il risultato è stato un importante deficit idrico nevoso, come denuncia la Fondazione Cima.
Giusto per dare qualche numero, a dicembre 2024 il bacino del Po registrava un deficit del -67%, mentre quello dell’Adige era pari al -66%. Nel bacino del Po c’era solo un terzo della neve rispetto alla media dell’ultimo decennio; non molto diversa la situazione nel bacino dell’Adige.
Sempre secondo la Fondazione Cima, in Italia in quel periodo si registrava un deficit del -63% di neve. All’11 dicembre quello dell’intera penisola ammontava a 1,17 miliardi di metri cubi, mentre l’anno prima era quasi il doppio (2,08 miliardi di metri cubi). Le nevicate di gennaio hanno migliorato la situazione, ma il deficit di neve nella Penisola resta significativo, attestandosi al -58%:
- nella fascia tra i 1.000 e i 2mila metri, la riduzione della neve è del 71% sulle Alpi e persino del 94% sugli Appennini;
- tra i 2mila e i 3mila metri, il deficit è del 43% sulle Alpi e del 78% sugli Appennini.
Sulle Alpi -50% di neve rispetto a 100 anni fa
C’è da dire che quando si parla di neve non è solo questione di quantità, ma anche di qualità. Uno studio pubblicato a dicembre 2024 sull’International Journal of Climatology, condotto da ricercatori dell’Università di Trento e dell’Eurac Research di Bolzano, mette in guardia sul fatto che sulle Alpi italiane la quantità di neve è diminuita del 50% rispetto a 100 anni fa.
In particolare, tra il 1920 e il 2020, la neve si è ridotta del 34%, con differenze marcate tra le Alpi settentrionali e quelle sudoccidentali: rispettivamente -23% e quasi -50%.
Ma anche il manto nevoso non è mai stato così debole negli ultimi 600 anni. Nell’ultimo secolo, poi, la durata della neve si è accorciata in media di un mese a causa del riscaldamento climatico di circa 2°C.
Impianti dismessi, bacini artificiali e progetti assurdi
Tutto questo ha come conseguenza palese, e diretta, gravi danni per l’industria della neve e degli sport invernali. In questo notevole lavoro fatto da Legambiente, sono stati anche mappati gli impianti sciistici dismessi in tutta Italia, e i numeri fanno un po’ venire i brividi. Nel Belpaese le stazioni abbandonate ad oggi sono 265, nel 2020, cioè 5 anni prima, erano “appena” 132.
Poi c’è il problema dei bacini artificiali che continuano a spuntare e che servono proprio a portare neve dove non ce n’è più. Il problema è che, mentre questi continuano ad aumentare, di acqua non ce n’è abbastanza per tutti. Oggi ci sono 165 bacini per una superficie totale pari a 1.896.317 metri quadri.
Negli ultimi anni, la scarsità di neve ha spinto alcune stazioni sciistiche a escogitare nuove strategie di adattamento al cambiamento climatico, anche a diversificare l’offerta, ma gli investimenti nella tecnologia per la neve artificiale e in nuove cabinovie non sono diminuiti. Anzi: viste le possibili conseguenze negative sui territori, fa davvero strano notare – evidenzia Legambiente – come i finanziamenti pubblici in un settore dal futuro veramente incerto, a partire da quelli del Ministero del Turismo, crescano invece sempre di più.
Olimpiadi invernali, che spreco
Il riferimento naturalmente va dritto alle Olimpiadi invernali e in particolare a Milano-Cortina 2026, cui il report dedicata un’analisi approfondita su costi e sprechi.
Basti qui dire che negli ultimi anni, le varie città ospitanti dei Giochi Olimpici invernali hanno adottato misure sempre più estreme (e assurde) per garantire la riuscita delle gare: elicotteri per trasportare neve (Vancouver 2010), conservazione della neve (Sochi 2014) e utilizzo quasi totale di neve artificiale (Pechino 2022).
Mentre le preoccupazioni di sostenibilità ambientale sembrano del tutto inesistenti, intanto però il Cio-Comitato Olimpico Internazionale ha detto chiaramente che lo scenario è certo: entro il 2040, solo 10 Paesi saranno in grado di ospitare le Olimpiadi invernali rispettando i criteri basati sull’utilizzo di strutture esistenti.
Quali scenari: come sarà la montagna?
Di fronte a questo quadro, possibile fare previsioni? Cosa ci riserverà il futuro? Purtroppo nulla di buono dal punto di vista climatico. Dobbiamo aspettarci piogge abbondanti durante episodi di raffreddamento temporaneo, che potrebbero aumentare la neve, in particolare nelle Alpi. Ma la neve tenderà a sciogliersi subito a causa delle ormai frequenti ondate di calore anche d’inverno.
Come spiega Legambiente, l’intero territorio italiano è al centro di un’area considerata dagli scienziati un “hot spot” del cambiamento climatico, e va ancora peggio per le nostre montagne. Bisogna ripensare il turismo invernale in una chiave più green replicando le buone pratiche di turismo dolce.
Come possono sopravvivere quindi le montagne che vivono di turismo? “Si può vivere la neve anche senza impattare in modo devastante sul territorio praticando un turismo sostenibile, lontano dagli impianti di risalita e dalle piste innevate artificialmente. Niente motoslitte ma ciaspole e sci di fondo, passeggiate distensive e rigeneranti tra paesaggi unici, degustazioni di prodotti tipici al caldo dei rifugi e gite fra borghi incantevoli” conclude Legambiente.