La nostra attività inquinante ha avuto e sta avendo conseguenze disastrose sul nostro pianeta: solo lo 0,18% della superficie terrestre gode di livelli “sicuri” di particolato sottile PM 2.5, ovvero le minuscole particelle di smog con un diametro di 2,5 micrometri o inferiore. In termini di popolazione umana, solo lo 0,001% degli individui, ovvero 80.000 su 8 miliardi, respira aria veramente pulita. Secondo l’OMS, la soglia di sicurezza per la media annuale di PM 2.5 è di soli 5 microgrammi per metro cubo di aria e non dovrebbe superare i 15 µg/m3 per più di 3-4 giorni all’anno. Questi numeri spiegano perché solo in Europa muoiono 240.000 persone all’anno a causa dello smog (24.000 in Italia), mentre a livello globale il numero di decessi annui stimati si aggira tra i 7 e gli 8 milioni. Inoltre, il nostro inquinamento comporta l’emissione di gas a effetto serra nell’atmosfera, contribuendo ai cambiamenti climatici, la principale minaccia esistenziale per l’umanità.
Indice
Cambiamenti climatici: il ruolo delle città nel contrasto delle emissioni
Una ricerca internazionale guidata da scienziati dell’Università Monash di Melbourne e dei centri di ricerca dell’Università delle Scienze e Tecnologie di Nanchino e dell’Accademia Cinese delle Scienze Meteorologiche ha rivelato che solo un’esigua percentuale dello 0,18% della Terra non è esposta ai livelli dannosi di PM 2.5, e solo 80mila persone respirano aria pulita. Per giungere a questa conclusione, i ricercatori hanno utilizzato un sofisticato modello di modellazione, la deep ensemble machine learning (DEML), che ha analizzato i dati sulle concentrazioni di particolato sottile nell’aria raccolti tra il 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2019 da circa 5.500 stazioni di monitoraggio di 65 Paesi, includendo anche le aree non coperte dalle stazioni di rilevamento. Il professor Yuming Guo ha coordinato il team di ricerca, che ha lavorato alla Air Quality Research Unit dell’Università Monash.
La concentrazione media di PM 2.5 nel mondo supera la soglia di sicurezza dell’OMS
Secondo un’analisi condotta su 175 paesi nel periodo 2000-2019, la concentrazione media annuale di PM 2.5 è stata stimata in 32,8 microgrammi per metro cubo, ben oltre la soglia di sicurezza stabilita dall’OMS. Solo lo 0,18 percento della superficie terrestre e lo 0,001 percento della popolazione mondiale sono stati esposti a concentrazioni inferiori a 5 microgrammi per metro cubo. Il professor Guo e colleghi hanno notato una riduzione del particolato sottile in Europa e Nord America, ma un significativo aumento in Asia Meridionale, Australia, Nuova Zelanda, America Latina e Caraibi. In oltre il 70 percento dei giorni la concentrazione media giornaliera è stata superiore a 15 µg/m3.
La qualità dell’aria nel mondo: le concentrazioni di PM 2.5 più elevate in Asia
Secondo gli studi condotti, l’Asia meridionale e orientale rappresentano le zone del mondo con la qualità dell’aria peggiore, in cui il 90% dei giorni le concentrazioni giornaliere di PM 2.5 superano i 15 microgrammi per metro cubo. In particolare, l’Asia orientale ha registrato le concentrazioni medie annue più elevate di PM 2.5 pari a 50,0 µg/m3, seguita dall’Asia meridionale con 37,2 µg/m3 e dall’Africa settentrionale con 30,1 µg/m3.
Tuttavia, ci sono anche alcune regioni del mondo che godono di aria più pulita, come Australia e Nuova Zelanda con solo 8,5 µg/m3, altre regioni dell’Oceania con 12,6 µg/m3 e dell’America Meridionale con 15,6 µg/m3, nonostante alcune segnalazioni di peggioramento.
Inoltre, le concentrazioni di particolato sottile PM 2.5 variano stagionalmente a seconda della regione considerata. Ad esempio, in Nord America il particolato sottile è più elevato durante il periodo estivo, mentre in Cina e in India lo è tra dicembre e febbraio.
L’importanza dello studio sull’inquinamento dell’aria e sui suoi effetti sulla salute umana
Il professor Guo afferma che lo studio sull’inquinamento dell’aria esterna è di grande importanza poiché fornisce una profonda comprensione dello stato attuale dell’inquinamento dell’aria esterna e dei suoi impatti sulla salute umana. Grazie a queste informazioni, i responsabili politici, i funzionari della sanità pubblica e i ricercatori possono valutare meglio gli effetti sulla salute a breve e lungo termine dell’inquinamento atmosferico e sviluppare strategie di mitigazione dell’inquinamento atmosferico. Questo tipo di studio è fondamentale per garantire un futuro più sano per tutti noi.
Gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute umana e fetale
Il particolato sottile 2.5 è considerato il più pericoloso in assoluto a causa delle ridotte dimensioni delle particelle, in grado di penetrare in profondità nei polmoni e scatenare gravi patologie respiratorie e cardiovascolari, dalla broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) al cancro al polmone, passando per ictus e infarto. Un recente studio scozzese ha inoltre rilevato particelle di smog anche nel sangue, nel cervello e in altri organi dei feti, dimostrando quanto è pervasivo e pericoloso l’inquinamento atmosferico. I dettagli della ricerca “Global estimates of daily ambient fine particulate matter concentrations and unequal spatiotemporal distribution of population exposure: a machine learning modelling study” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica The Lancet Planetary Health.
Il legame tra asma infantile e smog
Un nuovo studio pubblicato sulla rivista The Lancet Planetary Health ha approfondito il legame tra l’asma infantile e l’inquinamento atmosferico esterno. In particolare, gli autori hanno esaminato gli effetti dell’esposizione all’ozono e al particolato fine sui potenziali cambiamenti molecolari che si verificano nelle vie aeree dei piccoli pazienti soggetti agli attacchi d’asma non virali. L’asma è una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree caratterizzata dall’ostruzione reversibile dei bronchi. In Italia, questa patologia colpisce in media il 10% dei soggetti pediatrici e il 5% della popolazione generale. Secondo diverse ricerche, la componente ereditaria può incidere per il 30-60% sul rischio di sviluppare l’asma. Il gruppo di ricerca, guidato da Matthew C. Altman, Daniel Jackson e Hugh Auchincloss e composto da studiosi del National Institutes of Health, dell’University of Washington School of Medicine, dell’Università del Wisconsin-Madison e dell’Inner City Asthma Consortium, ha condotto lo studio.
I risultati dello studio
Durante un attacco di asma, le vie aeree si restringono, i muscoli si contraggono e si produce più muco, riducendo così il flusso d’aria. I minori che vivono in quartieri urbani a basso reddito hanno un maggior rischio di attacchi d’asma. In uno studio recente, i ricercatori hanno analizzato 208 partecipanti di età compresa tra 6 e 17 anni provenienti da quartieri a basso reddito e una coorte indipendente di 189 bambini e ragazzi di età compresa tra 6 e 20 anni con asma persistente. Scopriranno che il 30% della coorte era associato a una problematica non virale, con una percentuale più elevata per i residenti dei quartieri urbani. Inoltre, gli scienziati hanno valutato i livelli di ozono e particolato nelle varie località esaminate in relazione agli episodi di crisi asmatiche. Utilizzando campioni di cellule nasali, i ricercatori hanno identificato specifici percorsi biologici correlati agli attacchi d’asma non virali. Gli autori dello studio sostengono l’importanza di ridurre i livelli di inquinamento atmosferico per migliorare la salute umana e sperano di sviluppare e testare diverse strategie per prevenire o ridurre il rischio di attacchi d’asma.