Rimpatriare in Italia o reinvestire gli utili all’estero? Una domanda cruciale, la cui risposta determina in modo netto e preciso come vengono tassati i proventi degli investimenti effettuati oltre confine.
La giurisdizione fiscale italiana va ad impattare direttamente con i regimi esteri, le direttive Ue e gli standard Ocse Beps. Parole di difficile comprensione, ma che ci fanno capire fin da subito come la realizzazione dei guadagni all’estero debba essere pianificata con precisione, per riuscire a massimizzare al massimo i vari proventi.
Indice
Utili, l’importanza di una scelta
Scegliere se rimpatriare gli utili o reinvestirli all’estero – possibilmente nella stessa giurisdizione dove sono maturati – è una scelta che va ad impattare direttamente sui flussi di cassa, sul costo medio del capitale e sulla governance fiscale. Ma non solo: è necessario prestare la massima attenzione al rischio reputazionale.
In Europa e in Italia ci sono una serie di regole che permettono di accedere a delle eccezioni quando si parla di dividendi intra-Ue, che permettono di neutralizzare la doppia imposizione sulle plusvalenze. E la tassazione può avvenire sulla trasparenza dei profitti quando si è investito in giurisdizioni a fiscalità privilegiata.
Cosa prevedono le norme nazionali
Quando a effettuare investimenti sono società residenti in Italia, l’imposta principale è l’Ires, attualmente fissata al 24% in via ordinaria. Per il solo 2025 è prevista un’aliquota agevolata al 20% in casi specifici: questa misura temporanea potrebbe rendere più conveniente il rimpatrio di capitali per scopi di investimento.
Per quanto riguarda l’Irap – l’imposta regionale collegata al valore della produzione – viene applicata una aliquota base pari al 3,9%: sono previste delle modulazioni territoriali e settoriali che possono portare a degli scostamenti che si avvicinano allo 0,92%. Anche questo è un fattore da valutare attentamente per le società che hanno una stabile organizzazione nel nostro Paese e delle basi imponibili regionali.
A quanto abbiamo visto fino a questo momento si aggiunge la Direttiva 2011/96/Ue, grazie alla quale vengono attenuati gli oneri sui dividendi e le distribuzioni tra le società madri e figlie che hanno sede in nazioni diverse. Il legislatore europeo, in questo caso, riduce l’applicazione delle ritenute e delle doppie imposizioni.
L’impatto della Pex
Tra le norme da considerare c’è la Participation Exemption (PEX), che esenta il 95% delle plusvalenze derivanti da partecipazioni qualificate, riducendo la doppia imposizione a valle del ciclo societario. Un’agevolazione che può incentivare le strategie di rimpatrio dei capitali investiti all’estero.
In questo caso, però, i requisiti sono particolarmente stringenti. Per poter aderire alla Pex è necessario aver posseduto i titoli per un periodo minimo continuativo. Ma non solo: sono escluse le società immobiliari e alcuni ambiti che sono soggetti a dei presidi antiabuso.
Come funziona la direttiva madre-figlia
La direttiva 2011/96/UE, conosciuta come direttiva Madre-Figlia, ha l’obiettivo di evitare la doppia imposizione sui dividendi all’interno delle catene partecipative dell’Unione Europea. Prevede esenzioni e riduzioni basate su requisiti di forma, residenza e imposizione, oltre a clausole antiabuso recepite a livello nazionale.
Applicare in modo corretto queste disposizioni comporta l’accettare delle verifiche sulla qualifica soggettiva, sulla partecipazione minima, sulla residenza fiscale effettiva ed è necessario che non siano presenti delle strutture artificiali.
Distribuire i dividendi o decidere di reinvestirli nell’Unione europea richiede che vengano bilanciate in modo corretto queste regole con le esigenze di sostanza e governance.
Quale vantaggio ha rimpatriare gli utili
Fatte queste premesse di massima, rimpatriare gli utili appare una scelta conveniente nel momento in cui si ha intenzione di finanziare dei progetti nel nostro Paese. O anche quando si vuole ridurre il debito o distribuire i profitti agli azionisti attraverso i dividendi.
Nel caso in cui si avesse la necessità di liquidità per migliorare la propria posizione finanziaria, il rimpatrio del capitale permette di fornire le risorse economiche per portare a termine questo progetto. Ma non solo: se si sta operando in un paese nel quale l’economia è stagnante o con delle prospettive di crescita ridotte al minimo, trasferire i profitti in Italia potrebbe essere una delle scelte migliori.
Quale vantaggio ha reinvestire gli utili
Decidere di reinvestire gli utili all’estero permette di sfruttare le normative fiscali internazionali favorevoli e sfruttare le agevolazioni a cui si può accedere nel paese in cui si opera.
Solo per fare un esempio, decidere di reinvestire i profitti in un paese nel quale c’è un regime fiscale privilegiato – come l’Irlanda – per promuovere l’espansione commerciale potrebbe essere una valida opzione. Sono molte le aziende europee che operano in mercati emergenti, che hanno dei potenziali di crescita importanti. In questo caso si sceglie di reinvestire gli utili in nuovi progetti locali: si sfruttano gli incentivi fiscali offerti dai governi locali e, allo stesso tempo, vengono ridotti i costi operativi e viene rafforzata la presenza in quel determinato Paese.
I parametri da prendere in considerazione
Quindi è meglio riportare gli utili in Italia o mantenerli all’estero? Per prendere una decisione in uno o in un altro senso è necessario valutare la stabilità economica del Paese nel quale è stato effettuato l’investimento, la normativa Cfc ed analizzare quali possano essere le potenzialità di crescita del mercato locale.
Grazie ai trattamenti fiscali bilaterali gli investitori riescono ad avere una protezione contro la doppia imposizione. Ma soprattutto vengono stabilite delle regole chiare per la tassazione dei dividendi esteri. Questi trattati, soprattutto per le multinazionali, sono importanti per una corretta pianificazione fiscale internazionale: viene definito in quale modo i profitti reinvestiti verranno tassati nel paese d’origine e in quello estero.
Il successo dell’operazione è condizionato dalla capacità dell’azienda di bilanciare le varie normative fiscali, cercando di trarre vantaggio dalle opportunità che vengono offerte dalle varie giurisprudenze. Ma rispettando, allo stesso tempo, le leggi nazionali.