Cervelli in fuga, meno tasse per chi torna in Italia soltanto se ha la laurea: le nuove regole

Le ultime novità sul regime fiscale agevolato per coloro che rientrano in Italia, con l'ulteriore stretta del Governo meloni che decide di avvantaggiare famiglie e professionalità

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Claudio Carollo

Giornalista politico-economico

Classe ’88, è giornalista professionista dal 2017. Scrive di attualità economico-politica, cronaca e sport.

Non sono bastate le proteste e le petizioni da parte degli expat che contavano sulle agevolazioni fiscali per fare rientro in Italia. Lo sconto sulle tasse per i rimpatriati sarà destinato soltanto a coloro che sono in possesso di una laurea triennale e anche in questo caso il taglio sarà del 50 per cento anziché il precedente 70. Un requisito che esclude migliaia di italiani tornati nel loro Paese con la promessa di incentivi e che avevano chiesto senza successo un passo indietro al Governo.

La normativa

Il decreto legislativo di attuazione della delega fiscale, dedicato alla fiscalità internazionale, approvato in Cdm il 19 dicembre, stabilisce che i laureati che rientrano in Italia potranno pagare per quattro anni la metà delle imposte, su redditi non superiori ai 600 mila euro.

Secondo quanto riferito da Il Sole 24 ore, i lavoratori possono beneficiare degli sgravi per cinque anni solo se non sono stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il trasferimento (e non più due). Inoltre si devono impegnare a risiedere fiscalmente in Italia per almeno cinque anni.

A risultare più avvantaggiati dalla nuova normativa sono i rimpatriati che hanno figli a carico, per i quali lo sconto sale dal 50 al 60 per cento e che possono beneficiare del prolungamento del periodo di agevolazione da quattro a sette anni se hanno già comprato una casa in Italia quest’anno e vi si trasferiranno entro 12 mesi. Lo stesso taglio alle tasse sarà rivolto anche a coloro che diventeranno genitori o che adotteranno un minore durante il periodo di fruizione del regime impatriati.

Rispetto ai criteri iniziali previsti nella prima bozza di decreto, il Governo ha fatto un passo indietro sulla decisione di negare l’agevolazione a coloro che tornavano in Italia rimanendo però dipendenti dell’azienda straniera nella quale lavorava: adesso anche gli italiani che ottengono dalle proprie aziende di trasferirsi nel nostro Paese, pure con uno spostamento all’interno dello stesso gruppo, potranno approfittare dell’agevolazione, a patto che mantengano la residenza per almeno 6 anni, che diventano 7 se lavoravano già in quella azienda prima di trasferirsi all’estero.

Il nuovo regime verrà applicato a coloro che trasferiscono la residenza fiscale in Italia nel 2024. Coloro che trasferiscono la residenza anagrafica entro il 31 dicembre 2023 rientreranno nelle norme in vigore fino a fine anno (qui avevamo parlato delle proteste per lo stop alle agevolazioni per i “cervelli in fuga” di rientro).

I dati

Secondo i dati Eurostat, gli italiani tra i 20 e 39 anni andati a vivere all’Estero tra il 2013 e il 2023 sono circa 1,3 milioni, un flusso che stando a uno studio del forum economico ‘Fondazione Nord-Est’ “è paragonabile a quello degli anni 50”, con la differenza che in quest’epoca è costituito per il 30% da persone laureate.

Dall’indagine di un altro think-thank, il ‘The European House-Ambrosetti’, risulta come tra i 337mila, con più di 25 e meno di 34 anni, che hanno deciso di andare a vivere all’estero, oltre 120mila (il 35,6%) abbiano una laurea, mentre tra il 2013 e il 2021 sono stati 94mila le persone della stessa fascia di età che sono rimpatriati, di questi il 43,6% ha completato il percorso di studi universitario, circa 41mila (qui per sapere quali sono le città italiane e europee dove i neolaureati guadagnano di più).