Bonus casa, nuova stretta: chi rischia di vederseli negati

Ancora novità per quanto riguarda il bonus casa, un emendamento al dl Ucraina bis ha introdotto una nuova certificazione per i lavori di edilizia e ristrutturazione

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

Nuova stretta per i bonus casa: un emendamento al decreto Ucraina bis ha esteso la certificazione SOA anche ai lavori di edilizia e ristrutturazione effettuati in ambito privato. Cambiano ancora le regole quindi per beneficiari e imprese, che potrebbero vedersi negate le agevolazioni se sprovvisti di documentazione necessaria (nei termini e nei modi previsti dalla legge).

Bonus casa, nuova stretta: quando scatta l’obbligo di certificazione SOA

L’emendamento al dl Ucraina bis, approvato dalle commissioni Industria e Finanze del Senato, ha esteso l’obbligo di certificazione SOA alle imprese che effettueranno lavori edilizi e di ristrutturazione – anche in ambito privato – dal valore complessivo superiore a 516 mila euro. Il riconoscimento delle agevolazioni previste dal bonus casa, pertanto, sarà subordinato al possedimento della stessa da parte della ditta che gestirà il cantiere.

Per dare la possibilità di regolarizzare la propria posizione, permettendo a chi è sprovvisto di certificazione SOA di richiederla, il nuovo sistema ha previsto due scadenze diverse. Nello specifico, le imprese, per gli interventi edilizi di valore superiore a 516, devono:

  • a partire dall’1 luglio 2023, essere in possesso di certificazione SOA;
  • a partire dall’1 gennaio 2023, dimostrare di aver almeno presentato domanda per ottenerla.

L’obbligo scatta quindi dal prossimo anno, e riguarderà tutti i lavori intrapresi o in corso nel 2023, ma ci sarà tempo fino a giugno per poter rimediare.  In caso contrario, i lavori non potranno essere portati a termine, con conseguente negazione dei bonus casa richiesti.

Certificazione SOA imprese richiesta anche per i bonus casa: cos’è e come funziona

Fino a ora la certificazione SOA è stata richiesta alle imprese per la partecipazione agli appalti pubblici. Si tratta di una sorta di attestato obbligatorio (rilasciato da Organismi di Attestazione autorizzati) che comprova la capacità economica e tecnica di un’impresa di qualificarsi per l’esecuzione di lavori pubblici di importo maggiore a 150 mila euro. Inoltre, conferma che il soggetto certificato sia in possesso di tutti i requisiti necessari alla contrattazione.

Una volta ottenuta, la certificazione SOA vale cinque anni (previa conferma di validità al terzo anno) e viene emessa da Organismi SOA appositamente autorizzati, al termine di un’approfondita valutazione di specifici requisiti (indicatori di qualità e affidabilità) riscontrabili negli ultimi dieci esercizi di attività dell’impresa interessata. In particolare, vengono presi in considerazione i lavori eseguiti negli ultimi dieci anni e i cinque migliori documenti di reddito tra gli ultimi dieci approvati e depositati.

Per quanto riguarda i lavori nel settore pubblico, la certificazione SOA può cambiare a seconda del tipo di opere di riferimento e del valore dei lavori. Si distinguono, in particolare, opere di carattere generale e opere specializzate, nonché otto classifiche di importo (una ditta quindi può essere abilitata per l’esecuzione di determinati interventi, di preciso importo e tipo di produzione, ma non di altri).

Per legge, per ottenere la certificazione SOA in classifiche di importi maggiori a 516 mila euro è obbligatorio disporre di un Sistema di Qualità aziendale, che sia certificato secondo la vigente norma (UNI EN ISO 9001). Saranno poi gli enti autorizzati al controllo a verificare veridicità dei documenti e attendibilità dell’impresa.

Le decisione di estendere questo obbligo alle imprese nel settore privato, però, non è piaciuta a Confartigianato, che ha riformulare il provvedimento, che lasciato così di fatto andrebbe a danneggiare le piccole e medie imprese che rappresentano l’80% della filiera, “introducendo nuove e incomprensibili barriere burocratiche”.