Zelensky in esilio in Francia e favori a Putin, cosa c’è di vero nei piani di Trump

In un'Ucraina riaperta alle elezioni politiche e costretta a una pace scomoda, il presidente Zelensky troverebbe rifugio in Francia. Il progetto trapelato dall'amministrazione Trump è però una questione di propaganda. E rivela i veri obiettivi strategici degli Usa

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Pubblicato: 21 Febbraio 2025 16:22

Nelle ultime ore ha preso piede una clamorosa indiscrezione da Washington secondo cui Trump starebbe considerando l’idea di mandare Zelensky in esilio in Francia. Al di là della fattibilità della cosa, le dichiarazioni del presidente americano rivelano la proclamata rottura tra Washington e Kiev, almeno a parole.

Che l’Ucraina fosse il capro espiatorio di una contesa tra Russia e Stati Uniti, era chiaro fin dal primo giorno di conflitto. L’ultima settimana ha però accelerato l’isolamento del Paese invaso dai protettori americani, che vogliono scaricare il peso del supporto militare ed economico sui Paesi europei. Perché la guerra non finirà con l’armistizio annunciato e neanche coi “favori” che Trump rivela di voler concedere a Mosca.

Cos’è questa storia dell’esilio di Zelensky

La storia dell’esilio di Volodymyr Zelensky in Francia, da organizzare contestualmente alla tregua e alle elezioni in Ucraina, va letta nel solco della propaganda. Negli ultimi giorni Donald Trump ne ha sparate di grosse contro l’omologo ucraino, definendolo “un comico mediocre” e “un dittatore non eletto” che “ha provocato” la guerra contro la Russia. Non solo: il tycoon si è spinto anche oltre, colpendo Zelensky su un terreno sensibilissimo agli elettori americani in questo momento storico. E cioè affermando che il leader ucraino abbia “fatto sparire” la metà dei fondi stanziati dagli statunitensi. Il messaggio sottinteso è in realtà esplicito e ormai ridondante: non solo approfittano dei nostri soldi, adesso i politici ucraini se li intascano pure invece di aiutare il loro Paese in guerra.

Il comune denominatore di tutte queste dichiarazioni, dall’assenza di elezioni alla retorica sull’inizio della guerra, è uno: sono uguali a quelle diffuse dal Cremlino. Fin dal primo giorno di conflitto aperto, Mosca ha sostenuto che Zelensky ha studiato da tempo il piano di fuga, utilizzando soldi occidentali per giunta. La linea di Trump si è clamorosamente allineata a quella di Vladimir Putin, compresa la pista del possibile esilio del Capo dello Stato ucraino. “Il caso migliore per Zelensky e per il mondo è che parta immediatamente per la Francia“, ha detto una fonte al New York Post. Un tema ricorrente e più propagandistico che fattibile. L’anno scorso si era parlato di un esilio a Londra, mentre in Ucraina si sarebbero tenute le elezioni precedentemente bloccate per effetto della legge marziale. Intendiamoci: Zelensky verrà estromesso dal governo ucraino e “protetto” dall’Occidente in qualche modo e in un dato luogo, adattandone il ruolo e le capacità. Ma da qui a dare per certo un suo “esilio” in Francia ce ne passa, anche perché se fosse già deciso non sarebbe trapelato. O almeno non in questo modalità.

Trump contro Zelensky, cosa c’è dietro

Un’altra fonte ha poi negato che tutto questo sia il risultato degli screzi col tycoon, ma anzi l’ultima manifestazione di un sentimento anti-Zelensky comune da mesi a molti decisori occidentali. Un altro esempio è fornito dalle parole pronunciate da un alto funzionario della Casa Bianca, il quale ha confidato sempre al New York Post di nutrire opinioni molto divergenti da quelle di Zelensky. “Come il Papa, non sono un fan di chi mette al bando la religione“, ha detto riferendosi alla legge ucraina che ad agosto 2024 ha messo fuori legge la Chiesa che guarda al patriarcato ortodosso russo. Le esternazioni di Trump c’è anche il calcolato assist agli avversari politici di Zelensky in patria, a cominciare dal generale Valery Zaluzhny silurato un anno fa dalle Forze armate del Paese proprio perché “scomodo” a livello di consenso elettorale.

Dietro tutta questa struttura retorica c’è la volontà degli apparati statunitensi (Cia, Pentagono e il Congresso) di voler aprire alla Russia. Risulta dunque funzionale la propaganda trumpiana, di chiara ispirazione putiniana. E poco importa se, al momento, questa retorica può allontanare o disorientare le province Ue dell’impero a stelle e strisce. Si tratta di un “male” necessario almeno finché non si giunge a una tregua delle armi, per poi raffreddare toni e tattiche come avvenuto in passato. Questo perché, lo ribadiamo ancora una volta, il presidente americano non ha poteri esecutivi, ma è ingranaggio e parafulmine politico di un’amministrazione burocratica e tecnocratica molto più potente di lui.

Russia europea e contesa con la Cina

La volontà dello Stato profondo statunitense è quello di sottrarre la Russia alle grinfie della Cina, che ne sta mangiando a buonissimo mercato risorse, idrocarburi e grano, facendone il socio di minoranza di un’alleanza di comodo in ottica anti-americana. Dividere il campo dei nemici isolandone il più debole, magari aprendolo nuovamente al mercato europeo. Una parziale integrazione della Russia che su QuiFinanza avevamo previsto in tempi non sospetti, coadiuvati dalla lezione di Henry Kissinger. Il tutto allo scopo di congelare l’ormai sfiancante guerra d’Ucraina e concentrarsi sul contenimento della Cina attorno a Taiwan e nell’Indo-Pacifico.