Dopo mesi di divergenze sui dazi, Stati Uniti e Unione Europea trovano un terreno comune: quello delle sanzioni alla Russia.
Il diciannovesimo pacchetto varato da Bruxelles arriva in parallelo con le nuove misure annunciate da Donald Trump contro le compagnie petrolifere Rosneft e Lukoil, accusate di “finanziare la macchina bellica del Cremlino”. Un segnale politico forte, ma anche un test economico di importanza capitale: servirà a capire se, a quasi quattro anni dall’invasione dell’Ucraina, l’arma delle sanzioni stia davvero erodendo le fondamenta dell’economia russa o se invece Mosca abbia ormai imparato a neutralizzarne gli effetti, forte di un’economia di guerra e della leggendaria tenacia del popolo russo.
Sanzioni Ue alla Russia
Il nuovo pacchetto europeo, approvato da 26 Stati membri con la sola eccezione dell’Ungheria di Viktor Orban, colpisce il cuore del sistema energetico russo. Si punta a rendere più difficile per Mosca aggirare i divieti attraverso triangolazioni e intermediari.
Viene introdotto un divieto graduale di importazione di Gnl, il gas naturale liquefatto: i contratti a breve termine andranno rescissi entro sei mesi, mentre dal 1° gennaio 2027 scatterà lo stop totale.
E altre 117 petroliere sospettate di trasportare illegalmente greggio russo finiscono sotto sanzione, portando il totale a oltre 550 unità.
Sul fronte finanziario, cinque banche russe vengono escluse da ogni transazione internazionale, insieme a istituti di Bielorussia e Kazakistan.
Bruxelles impone anche un divieto per le imprese europee di operare con nove zone economiche speciali russe e vieta le riassicurazioni su aerei e navi venduti a Paesi terzi nei cinque anni successivi alla cessione.

Sanzioni Usa alla Russia
Dall’altra parte dell’Atlantico, Donald Trump sembra avere archiviato ogni leziosità verso il Cremlino per prendere di petto la Russia, dopo aver annullato un incontro con Vladimir Putin a Budapest.
“Era il momento giusto per nuove sanzioni”, ha dichiarato il presidente americano, motivando la decisione con la “mancanza di un serio impegno di Mosca per la pace” in Ucraina.
Il Dipartimento del Tesoro Usa ha così imposto restrizioni dirette a Rosneft e Lukoil, le due maggiori compagnie petrolifere russe. Le imprese non potranno più utilizzare il dollaro nelle transazioni internazionali, un colpo potenzialmente pesante nel mercato del greggio, in cui la valuta statunitense resta la principale moneta di regolamento.
A caldo, l’effetto immediato si è visto sul petrolio: dopo le sanzioni contro la Russia il Brent è salito oltre i 65 dollari al barile, mentre il Wti ha toccato quota 60,6 dollari, segnando un rialzo di oltre il 3%.
Gli effetti delle sanzioni contro Mosca
Usa e Ue, come è evidente, intendono ridurre la capacità del Cremlino di finanziare la guerra in Ucraina. Tuttavia, gli effetti concreti restano da verificare. Le precedenti misure contro Gazprom Neft e Surgutneftegas, varate sotto l’amministrazione Biden, non avevano prodotto il crollo sperato delle esportazioni russe. L’elemento di originalità nelle nuove sanzioni è la sincronia tra Washington e Bruxelles, che potrebbe rendere più difficile per Mosca aggirare i divieti usando intermediari asiatici.
Pechino rimane il principale acquirente del petrolio russo, con oltre il 50% delle esportazioni totali dirette verso la Cina nel solo mese di settembre, per un valore stimato di 3,3 miliardi di dollari. Oggi le compagnie statali cinesi avrebbero però temporaneamente sospeso gli acquisti via mare. Per Xi Jinping la prosecuzione della guerra Russia-Ucraina è utile su più fronti: consente importazioni di materie prime a prezzi ribassati, distrae l’attenzione di Washington dalla questione Taiwan e fornisce informazioni militari e tecnologiche preziose.
Dopo la Cina, l’India resta il secondo grande acquirente di petrolio russo, con una quota del 35% dell’export.
Ma le sanzioni contro la Russia non possono rappresentare una cesura totale: si pensi, ad esempio, che Lukoil continua a operare in Europa forte di raffinerie in Romania, Bulgaria e Olanda, nonché di reti di distributori in Belgio e nei Paesi Bassi e di partnership con industrie petrolifere occidentali.
Quali effetti sul mercato dell’energia in Europa
Non è possibile escludere che il prezzo dell’energia in Europa possa aumentare, anche in modo significativo. Al di là della reazione immediata nel mercato del petrolio, sul medio-lungo periodo una riduzione delle importazioni genera meno offerta, il che tende a spingere i prezzi verso l’alto.
Aumentano inoltre i costi per l’Europa per la riduzione della dipendenza dalle forniture russe e nella diversificazione verso Gnl e fonti rinnovabili. Si tratta di investimenti che possono tradursi in costi aggiuntivi che, almeno in parte, potrebbero riflettersi nelle bollette energetiche. Se il clima invernale è più rigido o se ci sono problemi logistici, l’impatto può amplificarsi.
C’è da dire, però, che alcuni Paesi europei hanno già accumulato scorte o diversificato fortemente le fonti, il che può ridurre l’impatto immediato di un aumento dei prezzi.