Vivendi valuta l’uscita da Tim, Poste sarebbe pronta a salire al 24%

Vivendi prepara un'uscita graduale da Tim, mentre Poste studia come rafforzarsi restando sotto soglia Opa. Sullo sfondo, un'assemblea che può ridisegnare gli equilibri

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Pubblicato: 21 Marzo 2025 17:23

Vivendi sta preparando la sua ritirata da Tim, ma senza strappi: l’uscita è calibrata, in più fasi, come del resto è prassi con tutti i tipi di movimenti finanziari che richiedono molta cautela. A riportare questa indiscrezione è stato per primo Il Giornale, secondo cui il gruppo parigino, titolare di quasi un quarto delle azioni della società, starebbe pensando di smontare la propria partecipazione pezzo dopo pezzo. L’indiscrezione è stata poi confermata intorno alle 20 del 21 marzo 2025.

A presidiare l’ingresso ci sarebbe Poste Italiane, pronta a risalire la china dal suo attuale 10%, con l’intenzione di sfiorare la soglia simbolica del 25% restando appena al di sotto della soglia Opa. Intanto, si muove anche il fondo Cvc, con l’aria di chi non ha ancora chiuso la partita. Tutto si gioca prima dell’assemblea del 24 giugno, dove le poltrone contano ma contano di più i voti.

Vivendi vende il 5% di Tim

È notizia delle ultime ore che la società guidata da Arnaud de Puyfontaine ha ridimensionato la propria presenza nell’ex monopolista italiano delle reti telefoniche. Secondo quanto comunicato ufficialmente, è stata completata una cessione di oltre il 5% del capitale della compagnia.

Il pacchetto azionario detenuto dal conglomerato francese passa così dal 23,75% a una quota pari al 18,37%. Nella giornata del 18 marzo era già emersa una riduzione sotto la soglia del 20% del possesso di azioni con diritto di voto, attestandosi al 19,32%. Ora, la discesa si è ulteriormente consolidata.

Poste Italiane interessate all’acquisto di Tim

Poste Italiane, forte di una liquidità da 5,6 miliardi tra cassa e linee di credito, valuta l’acquisto di un ulteriore 14%, puntando al 24% del capitale. Una posizione che garantirebbe peso decisionale senza oltrepassare il confine che obbliga all’Opa. Il pacchetto arriverebbe in parte da Vivendi, con cui il dialogo è ancora aperto. Le trattative, che sarebbero condotte con discrezione, mirano a evitare un braccio di ferro inutile e a costruire una convivenza tattica fino all’assemblea.

Vivendi smonta, Cvc osserva

L’interesse di Cvc resta vivo. Il fondo londinese potrebbe rilevare un 10% delle quote messe in vendita da Vivendi. Se si tirasse indietro, quella parte resterebbe temporaneamente in mano ai francesi, in attesa di tempi migliori. In alternativa, non è escluso che lo stesso gruppo Tim possa valutarne l’acquisizione. Tutto, però, resta in fase esplorativa.

Labriola e il clima instabile

La posizione dell’amministratore delegato Pietro Labriola si complica. Vivendi, che lo aveva sostenuto, ha cambiato rotta dopo la vendita della rete fissa. Il contenzioso aperto dal gruppo francese è stato rigettato dal Tribunale di Milano, ma il ricorso in appello è in cantiere. Se Vivendi dovesse uscire davvero di scena, la posizione di Labriola potrebbe ritrovare stabilità. Ma finché resta anche solo con un piede dentro, le incognite restano.

Vivendi potrebbe opporsi all’approvazione del bilancio e ad altre iniziative in agenda, come la conversione delle azioni di risparmio o il raggruppamento del capitale. Tuttavia, con una quota ridotta, la sua capacità di blocco si affievolisce. È in questo spazio che si inserisce Poste, pronta a riequilibrare i pesi in consiglio e a favorire iniziative di rilancio industriale.

Una regia a tinte pubbliche

Il governo, attraverso Poste, guida l’orchestra. L’assemblea di giugno è stata rinviata proprio per concedere il tempo necessario a una soluzione negoziale. L’uscita progressiva di Vivendi sarebbe una boccata d’aria per la governance e potrebbe aprire la strada a un consolidamento di mercato. La rete di PosteMobile, oggi legata a Vodafone, potrebbe migrare su Tim, ma altre sinergie industriali si intravedono solo più avanti.

Il vero nodo resta economico: Vivendi ha pagato le azioni a 1,08 euro, oggi valgono meno di 30 centesimi. Una perdita da 2,5 miliardi che i francesi tentano di arginare anche con manovre di palazzo. Più che una questione finanziaria, ormai è diventata una questione d’orgoglio.