“Nascosti tesori dei nazisti”: le accuse al colosso bancario

Il Senato Usa ha diffuso un rapporto secondo il quale Credit Suisse avrebbe ostacolato le ricerche sui conti correnti riconducibili ai gerarchi del Terzo Reich

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Claudio Carollo

Giornalista politico-economico

Classe ’88, è giornalista professionista dal 2017. Scrive di attualità economico-politica, cronaca e sport.

I guai per Credit Suisse non sembrano essere finiti. Dopo essere stato salvato lo scorso marzo dal fallimento per l’intervento del Governo svizzero, il colosso bancario deve ora difendersi dalle accuse da parte del Senato Usa di aver nascosto i capitali dei nazisti scappati in Argentina negli anni ’30. La Commissione bilancio della Camera alta del Congresso degli Stati Uniti ha diffuso un rapporto dove si sostiene che l’istituto di credito elvetico abbia ostacolato le ricerche indipendenti sui conti correnti riconducibili ai gerarchi del Terzo Reich.

Le accuse del Senato Usa a Credit Suisse

Credit Suisse è sopravvissuta al crack totale lo scorso 19 marzo grazie agli oltre 100 miliardi di euro versati dalla Confederazione elvetica e all’acquisizione del concorrente storico Ubs, come avevamo raccontato qui, nonostante le polemiche sui bonus milionari e dello sperpero di denaro dei suoi vertici (qui avevamo spiegato cosa succede ai risparmi dei correntisti in caso di fallimento di una banca, mentre qui avevamo riportato le condizioni delle banche italiane) Ma oggi il colosso bancario torna nella bufera per una questione completamente diversa.

Il Senato degli Stati Uniti imputa alla banca svizzera, infatti, di impedire le ricerche sui conti collegati a gerarchi nazisti fuggiti in Argentina, alcuni attivi fino al 2020, dopo che lo stesso istituto ha dichiarato di non avere prove concrete della loro esistenza.

Accuse che sono sostenute anche dal Centro Simon Wiesenthal, organizzazione impegnata nella conservazione della memoria dell’Olocausto. Nel marzo del 2020, l’Ong ha presentato richiesta al Credit Suisse di informazioni sulla presenza di conti correnti riconducibili a nazisti finora rimasti ignoti, anche durante le numerose indagini degli anni ’90 relative alla Shoah.

In seguito alla sollecitazione, il colosso svizzero aveva avviato un’indagine interna terminata con un nulla di fatto. Stando a quanto riportato da ‘Repubblica’, Credit Suisse avrebbe dichiarato di aver trovato soltanto un conto chiuso nel marzo del 1933 e 12 conti aperti negli anni ’50 e ’60, legati a gerarchi nazisti.

Esito che non ha convinto il presidente della Commissione bilancio del Senato degli Stati Uniti, che ha definito “incompleta” l’indagine della banca.

Credit Suisse e la vicenda dei conti nazisti

Secondo il rapporto della Commissione bilancio del Senato Usa, all’interno della Credit Suisse sarebbero stati aperti conti di 99 individui, la maggior parte dei quali non resi noti in precedenza, di alti funzionari nazisti in Germania o membri di gruppi affiliati ai nazisti in Argentina.

Settanta conti argentini con collegamenti plausibili ai nazisti argentini sarebbero stati aperti presso l’istituto svizzero dopo il 1945, e almeno 14 di questi conti sono rimasti aperti nel 21° secolo, alcuni fino al 2020.

Le contestazioni alla banca svizzera hanno origine dall’attività di indagine dell’investigatore argentino Pedro Filipuzzi, che nel 1984 scoprì dei documenti, trovati in uno stabile di Buenos Aires, che riportavano le donazioni di 12 mila simpatizzanti argentini del Terzo Reich, poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, alla banca elvetica Schweizerische Kreditanstalt, diventata poi Credit Suisse.

Secondo le accuse del Centro Simon Wiesenthal, tra quei soldi detenuti alla Schweizerische Kreditanstalt, come ha scritto nel giugno del 2022 il quotidiano Blick di Zurigo, ci sarebbe stato anche un miliardo di franchi svizzeri sottratto agli ebrei durante la spoliazione.