Gas, petrolio, grano, armi: quanto valgono gli assi nella manica di Putin

Gas, greggio, ma non solo. La Russia rifornisce il mondo anche in altri mercati estremamente strategici, che possono innescare una crisi senza precedenti

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Potremmo trovarci all’alba di una delle crisi più gravi di tutti i tempi. Per quanto la Russia stia lentamente perdendo terreno in Ucraina, tanto da far immaginare ad alcuni analisti una possibile fine del conflitto, la guerra ha devastato tutto, da entrambe le parti. E questo non può che avere ripercussioni pesantissime anche sul nostro modo di vivere. Proviamo a capire di cosa stiamo parlando esattamente, di quali numeri, e cosa potremmo perdere nei prossimi anni.

Come sappiamo bene, Russia e Ucraina sono entrambe ricche di petrolio e gas. La Russia ha le riserve di gas più grandi al mondo, con 48.938 miliardi di metri cubi. Più del 70% di queste sono detenute da Gazprom, il gigante energetico di proprietà statale.

Il gas

L’Ucraina possiede 349 miliardi di metri cubi di gas. Ma la Russia fornisce all’Europa circa un terzo del gas naturale di cui ha bisogno. L’Italia prende ben il 40% delle sue risorse da Mosca.

Lo scorso 22 febbraio, la Germania ha sospeso il Nord Stream 2, il progetto di gasdotto russo da 11,6 miliardi di dollari progettato per spostare 151 milioni di metri cubi di gas al giorno in Europa. Mossa che, unita alle sanzioni inflitte dall’Occidente, potrebbero interrompere del tutto le fornitura, scatenando una crisi energetica in Europa mai vista prima. E con effetti ben più nefasti di ciò che vediamo oggi, alla vigilia dell’autunno.

Guardando i dati economi, osserviamo come, negli ultimi due anni, il costo del gas sia salito alle stelle. Nei primi mesi del 2020, in piena pandemia, il prezzo del gas a Mwh era inferiore ai 10 euro. Attualmente, il valore è cresciuto di oltre il 4.000%. La soglia dei 200 euro è stata superata decine di volte.

Un primo picco si è segnato il 7 marzo di quest’anno, a poche settimane dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina: il prezzo era arrivato su base settimanale a 227,2 euro. Nelle successive settimane si è registrato un calo, anche sotto i 100 euro, a cui è seguita una nuova crescita a giugno. Nella settimana del 20 giugno il prezzo è salito a 120,63 euro e, di nuovo, il 1° agosto, è arrivato addirittura a 200,79 euro.

Nelle ultime settimane, con l’annuncio della Russia di tagliare il gas all’Europa attraverso Nord Stream, il prezzo è salito ancora, arrivando a picchi mai raggiunti in precedenza e, più in generale, stabilizzandosi oltre i 260 euro.

Il petrolio

Ma non c’è solo il fronte gas a preoccupare l’Europa, e l’Italia. Un’altra settimana turbolenta l’abbiamo vista anche sui mercati petroliferi: i prezzi del greggio hanno toccato il punto più basso da gennaio, con scambi deboli e prospettive che gli analisti hanno definito “confusi” per domanda e offerta, e che hanno determinato un calo del 30% rispetto ai massimi di quest’anno.

La Russia possiede alcune delle più grandi riserve di petrolio accertate, con 80 miliardi di barili, ovvero il 5% del totale di tutto il mondo. Anche l’Ucraina ha una consistente riserva di petrolio, pari  395 milioni di barili.

Nel 2019, i principali esportatori mondiali di greggio sono stati Arabia Saudita, 145 miliardi di dollari, Russia con 123 miliardi, Iraq con 73,8 miliardi, Canada con 67,8 e Stati Uniti con 61,9.

La Cina ha acquistato circa un quarto  delle esportazioni totali di petrolio della Russia, il 27% per l’esattezza, per un valore di 34 miliardi di dollari. Tuttavia, dato l’enorme fabbisogno energetico della Cina, questo rappresentava solo il 16% delle importazioni di petrolio del Paese.

Almeno 48 Paesi hanno importato petrolio russo nel 2019. I Paesi che dipendono maggiormente dal greggio russo sono Bielorussia, Cuba, Kazakistan, Lettonia, ciascuno dei quali importa oltre il 99% del proprio fabbisogno proprio da Mosca.

Cosa potrebbe accadere al petrolio

La segretaria del Tesoro Usa Janet Yellen ha affermato che gli americani potrebbero subire un aumento dei prezzi del gas in inverno quando l’Unione Europea taglierà in modo significativo l’acquisto di petrolio russo, aggiungendo che una proposta di massimale dei prezzi da parte dell’Occidente sulle esportazioni di petrolio della Russia – il cosiddetto price cap di cui si sta discutendo animatamente a Bruxelles – è stata progettata per tenere sotto controllo i prezzi.

“È un rischio, ed è un rischio il fatto che stiamo lavorando sul tetto massimo per cercare di affrontarlo”, ha detto Yellen alla CNN. Il possibile aumento dei prezzi potrebbe arrivare perché l’UE “cesserà per la maggior parte di acquistare petrolio russo” e imporrà il divieto ai servizi che consentono alla Russia di spedire petrolio tramite petroliera, ha affermato.

Il piano del price cap concordato dai Paesi del G7 prevede che i membri neghino l’assicurazione, la finanza, l’intermediazione, la navigazione e altri servizi ai carichi petroliferi con un prezzo superiore a un prezzo massimo, ancora da determinare, fissato per il petrolio e per tutti i prodotti petroliferi.

Yellen ha affermato che il tetto al prezzo mira a ridurre le entrate che la Russia potrebbe utilizzare per proseguire la sua guerra in Ucraina (guerra che Mosca in questo momento sta perdendo, e che potrebbe finire presto), mantenendo al contempo le forniture di petrolio russo per mantenere bassi i prezzi globali.

Un momento complicatissimo per le riserve di petrolio, se si considera poi che, in Africa, la Nigerian Upstream Petroleum Regulatory Commission, nel suo rapporto sullo stato della produzione di petrolio per agosto 2022, ha rivelato che la produzione della Nigeria è scesa a 972.394 barili al giorno, in calo del 30,22% rispetto alla produzione di gennaio. Si tratta di una diminuzione del 10% rispetto agli 1,08 milioni registrati a luglio 2022.

Una situazione che sta degenerando anche nel Paese africano, con scioperi, blocchi della produzione, incendi e un aumento dei furti di greggio.

Il grano

La Russia però ha ancora in mano almeno due potentissime armi. La prima è rappresentata dal grano. Nel 2019 la Russia ha esportato 407 miliardi di dollari di prodotti e l’Ucraina 49 miliardi.

Più di un quarto delle esportazioni mondiali di grano proviene proprio da Mosca e Kiev. Le sanzioni economiche o l’azione militare stanno già generando un effetto significativo sul costo del cibo poiché gli importatori cercano di trovare alternative. E lo stiamo vedendo anche noi, in Europa e in Italia, con il prezzo del pane schizzato alle stelle (qui l’allarme lanciato, quanto è arrivato a costare nel nostro Paese e cosa ci attende).

Le armi

La seconda arma, è un’arma vera e propria. La Russia di Putin è il secondo esportatore di armi al mondo, dopo gli Stati Uniti, e rappresenta circa il 20% delle vendite globali di armi. Tra il 2016 e il 2020, Mosca ha venduto armi per 28 miliardi di dollari a 45 Paesi.

Il Cremlino esporta quasi il 90% delle sue armi in 10 Paesi. Il suo principale acquirente è l’India, che ha acquistato il 23% delle armi russe per circa 6,5 ​​miliardi di dollari negli ultimi cinque anni.

La Cina è il secondo compratore di armi russe, con 5,1 miliardi di dollari nello stesso periodo, seguita da Algeria con 4,2 miliardi di dollari, Egitto con 3,3 miliardi di dollari e Vietnam con 1,7 miliardi di dollari.