Cosa ha scoperto di così rivoluzionario la Premio Nobel Claudia Goldin sul lavoro delle donne

Il Premio Nobel per l'Economia 2023 è andato a Claudia Goldin, docente ad Harvard, “per aver migliorato la nostra comprensione dei risultati del mercato del lavoro femminile”

Foto di Miriam Carraretto

Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Il Premio Nobel per l’Economia 2023, che vale alla vincitrice da solo quasi 1 milione di euro, esattamente 0,95, cioè 11 milioni di corone svedesi, è andato a Claudia Goldin, docente dell’Università di Harvard, Cambridge, Massachusetts, “per aver migliorato la nostra comprensione dei risultati del mercato del lavoro femminile”.

Dopo l’edizione 2022, l’Accademia reale svedese delle scienze ha deciso quest’anno di assegnare il Premio Sveriges Riksbank per le scienze economiche in memoria di Alfred Nobel 2023 a lei, Claudia Goldin, nata nel 1946 a New York, con in tasca un dottorato di ricerca nel 1972 conseguito all’Università di Chicago. A Goldin dobbiamo la scoperta dei fattori chiave delle differenze di genere nel mercato del lavoro: Goldin ha fornito il primo resoconto completo dei guadagni delle donne e della partecipazione al mercato del lavoro nel corso dei secoli. La sua ricerca rivela le cause del cambiamento cui abbiamo assistito nel mercato del lavoro e le ragioni più profonde del gender gap.

Ma proviamo a capire bene perché il suo contributo è così importante. Sappiamo tutte, tutti, troppo bene che le donne sono ampiamente sottorappresentate nel mercato del lavoro, e questo accade in tutto il mondo; in più, quando lavorano, guadagnano meno degli uomini.

Goldin ha raccolto oltre 200 anni di dati provenienti dagli Stati Uniti, dimostrando come e perché le differenze di genere nei guadagni e nei tassi di occupazione sono cambiate nel tempo. Giusto per dare un numero, oggi i dati ci dicono che in Italia ci vorranno 257 anni prima che venga raggiunta la parità di genere: 95 anni “solo” per colmare il divario di genere nella rappresentanza politica, con le donne nel 2019 che detengono appena il 25,2% dei seggi parlamentari e il 21,2% delle posizioni ministeriali (qui la posizione delle donne nel mondo, e quella in Italia).

Nel corso degli ultimi secoli, la società ha vissuto significativi cambiamenti politici, sociali e tecnologici. I Paesi industrializzati hanno goduto di una crescita economica costante a partire dalla rivoluzione industriale, dunque verrebbe da pensare che la partecipazione delle donne al lavoro abbia seguito in qualche modo lo stesso trend. La ricerca di Goldin invece ha dimostrato che non è così.

Dati errati sul lavoro delle donne

Prima che il suo più celebre libro, assolutamente pionieristico, venisse pubblicato nel 1990, altri ricercatori avevano studiato i dati del XX secolo concludendo che esisteva una chiara correlazione tra crescita economica e numero di donne con un lavoro retribuito. In altre parole, man mano che l’economia cresceva, più donne lavoravano. Andando a fondo, invece, Goldin scoprì che la realtà era molto diversa.

La sua prima osservazione è stata che i tassi di occupazione femminile erano spesso stati indicati in modo errato nei dati esistenti. Ad esempio, una volta era normale che il lavoro delle donne fosse indicato come “moglie” nei censimenti e nei registri pubblici. Ma la verità è che, anche se queste donne erano sposate, non per forza erano soltanto casalinghe. Spesso lavoravano nei campi con i mariti o in varie forme di impresa familiare, nell’artigianato o nelle piccole produzioni domestiche, come nel tessile o nei latticini.

Goldin ha corretto i dati sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro, arrivando a dimostrare che alla fine dell’800 la percentuale di donne che lavorava negli Usa era considerevolmente maggiore di quanto risultasse ufficialmente. Il tasso di occupazione delle donne sposate era quasi 3 volte superiore a quello registrato nei censimenti.

Più crescita economica non equivale a più lavoro per le donne

Scoprendo dati risalenti alla fine del ‘700, fu anche in grado di rivelare un nuovo fatto storico sorprendente: prima dell’avvento dell’industrializzazione nell’800, le donne avevano maggiori probabilità di partecipare alla forza lavoro.

Uno dei motivi è che l’industrializzazione ha reso più difficile per molte donne sposate lavorare da casa e quindi conciliare lavoro e famiglia. Goldin lo ha documentato in modo innovativo, utilizzando i dati di oltre 10mila donne capofamiglia nella Filadelfia del 18° secolo.

Goldin ha dimostrato che la partecipazione storica delle donne alla forza lavoro Usa poteva essere descritta utilizzando una curva a forma di U per un periodo di 200 anni dalla fine del ‘700. Poiché la crescita economica è stata costante durante tutto questo periodo, la curva di Goldin ha dimostrato che non esiste una relazione proporzionale tra la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la crescita economica.

La curva a U di Goldin

Ora sappiamo anche che questa forma a U non è per nulla esclusiva solo degli Stati Uniti, ma è vera in molti altri Paesi occidentali. La conclusione è che non è per nulla automatico che la crescita economica riduca le differenze di genere nel mercato del lavoro. Anzi, storicamente è stato il contrario.

C’è poi un altro dato fondamentale da tenere in considerazione. All’inizio del XX secolo si registrava una differenza significativa nei tassi di occupazione delle donne sposate e di quelle non sposate. Circa il 20% delle donne lavorava, di queste appena il 5% era sposata.

Ma poi è arrivato il momento storico in cui la curva a U inizia a virare verso l’alto: Goldin ha dimostrato che il progresso tecnologico, la crescita del settore dei servizi e l’aumento dei livelli di istruzione hanno portato ad una crescente domanda di lavoro femminile.

Nel corso dell’ultimo secolo, la percentuale di donne che svolge lavori retribuiti è triplicata in molti Paesi ad alto reddito. Si tratta di uno dei maggiori cambiamenti sociali ed economici nel mercato del lavoro dei tempi moderni, ma permangono significative differenze di genere. La sua ricerca ci ha fornito spunti nuovi e spesso sorprendenti.

A livello globale, circa il 50% delle donne ha un lavoro retribuito, mentre la percentuale equivalente per gli uomini è pari all’80%. Quando le donne lavorano, di solito guadagnano meno. Comprendere come e perché i livelli di occupazione e di reddito differiscono tra donne e uomini è importante per ragioni socioeconomiche, sia a breve che a lungo termine, perché la questione riguarda l’uso più efficiente delle risorse della società.

Se le donne non hanno le stesse opportunità di partecipazione al mercato del lavoro, o partecipano in condizioni diseguali, lavoro e competenze vengono sprecati. In pratica, dimostra Goldin, “è economicamente inefficiente che i lavori non vadano alla persona più qualificata e, se la retribuzione differisce per svolgere lo stesso lavoro, le donne potrebbero essere disincentivate a lavorare e ad avere una carriera”.

Il matrimonio è una causa essenziale dello scarso accesso al lavoro delle donne

Ma allora perché l’uguaglianza procede così lentamente? I pregiudizi, la legislazione e altre barriere istituzionali hanno limitato il lavoro delle donne. Ma non solo. Goldin ha anche stabilito che il matrimonio è un elemento determinante. Vigeva allora infatti una legge nota come “interdizione al matrimonio” che spesso impediva alle donne sposate di continuare il loro lavoro come insegnanti o impiegate. Nonostante la crescente domanda di manodopera, le donne sposate sono state escluse da alcune parti del mercato del lavoro.

Questo tipo di legislazione raggiunse il suo apice durante la Grande Depressione degli anni ’30 e negli anni successivi, ma non fu l’unica ragione. Goldin ha anche dimostrato che c’era un altro fattore importante nella lenta riduzione del divario tra il tasso di occupazione degli uomini e quello delle donne: le aspettative delle donne.

Agli inizi del ‘900 ci si aspettava che la maggior parte delle donne lavorasse solo per pochi anni prima del matrimonio e poi uscisse dal mercato del lavoro dopo le nozze, il che influenzava le loro scelte educative. Goldin ha dimostrato che nei periodi di rapido sviluppo, le donne possono prendere decisioni basate su aspettative che poi non si realizzano.

Perché le aspettative giocano un ruolo determinante

Goldin ha dimostrato che diversi fattori hanno storicamente influenzato, e continuano a influenzare, l’offerta e la domanda di lavoro delle donne: le opportunità di conciliare lavoro retribuito e famiglia, decisioni relative all’istruzione e alla crescita dei figli, innovazioni tecnologiche, leggi e norme e la trasformazione strutturale dell’economia.

Nella seconda metà del XX secolo, i cambiamenti sociali hanno fatto sì che le donne sposate spesso tornassero al lavoro una volta che i loro figli erano cresciuti. Le opportunità di lavoro che avevano però si basavano su scelte educative fatte circa 25 anni prima, in un’epoca in cui, secondo le norme sociali contemporanee, non ci si aspettava che avessero una carriera.

Molte ragazze negli anni ’50 avevano madri casalinghe e, quando le madri rientrarono nel mercato del lavoro, le figlie avevano già scelto il loro percorso educativo. In altre parole, le figlie non si aspettavano di fare carriera: e solo molto più tardi si resero conto che avrebbero potuto averne una. Per gran parte del ‘900, le donne hanno sottovalutato quanto avrebbero lavorato.

Solo dopo gli anni ’70, grazie anche al contributo dato dalla rivoluzione del Sessantotto, le donne più giovani hanno iniziato a investire di più sulla propria istruzione. Negli ultimi decenni, le donne sono diventate sempre più propense a studiare. Oggi, nei Paesi ad alto reddito, le donne hanno generalmente un livello di istruzione più elevato rispetto agli uomini.

Il fatto poi che le donne spesso abbandonino il lavoro per un lungo periodo dopo il matrimonio spiega anche perché il livello medio di occupazione femminile è aumentato così poco, nonostante il massiccio afflusso di donne nel mercato del lavoro nella seconda metà del XX secolo.

Come la pillola anticoncezionale ha rivoluzionato il lavoro delle donne

Tuttavia, il cambiamento delle norme sociali, i nuovi modelli nel mercato del lavoro e i crescenti livelli di istruzione hanno influenzato il livello di occupazione delle donne, e le innovazioni più recenti hanno cambiato radicalmente le loro opportunità sia per la pianificazione che per la carriera. Una di queste innovazioni è stata la pillola anticoncenzionale, scrive Goldin.

Le aspettative delle donne sul mercato del lavoro cambiarono alla fine degli anni ’60 quando fu introdotta la pillola: un metodo di pianificazione familiare e contraccettivo facile da usare che le donne potevano controllare in modo indipendente. La pillola portava le donne a ritardare il matrimonio e il parto, e via via le ha portate anche a fare scelte professionali diverse, per cui una percentuale crescente di donne iniziò a studiare Economia, Diritto e Medicina.

Il problema è che, se anche la pillola ha influenzato sia le scelte di studio che professionali, non ha portato a una vera riduzione del gap di genere a livello retributivo. Il divario retributivo si è ridotto significativamente durante la rivoluzione industriale (1820-1850) e quando è aumentata la domanda di servizi amministrativi e d’ufficio (1890-1930). Ma nonostante la crescita economica, l’aumento del livello di istruzione tra le donne e il raddoppio della percentuale di donne che lavorano, il gender gap salariale è rimasto sostanzialmente lo stesso tra il 1930 e il 1980.

Il gender gap è aumentato con i servizi

Goldin è stata anche in grado di dimostrare che la discriminazione salariale che colpiva le donne è aumentata significativamente con la crescita del settore dei servizi nel ‘900.

Prima di allora, le donne lavoravano solitamente in settori in cui la retribuzione era basata sul lavoro a cottimo: i lavoratori nelle fabbriche, uomini o donne che fossero, venivano pagati in relazione alla loro produttività. Tra la fine dell’800 e il 1940, la differenza retributiva tra uomini e donne attribuibile a discriminazione aumentò dal 20 al 45% nell’industria manifatturiera. Goldin ha dimostrato che, in associazione con l’introduzione di moderni sistemi retributivi, i datori di lavoro tendevano a favorire i dipendenti con carriere lunghe e ininterrotte.

Perché oggi rimane un divario salariale di genere alto: l'”effetto maternità”

Oggi, il divario salariale tra donne e uomini nei Paesi ad alto reddito è compreso tra il 10 e il 20%, anche se molti di questi Paesi hanno una legislazione sulla parità salariale e le donne sono spesso più istruite degli uomini. Perché? Tutta “colpa” dei figli, dice.

Studiando come le differenze di reddito tra uomini e donne sono cambiate nel tempo, Goldin e i suoi coautori, Marianne Bertrand e Lawrence Katz, hanno dimostrato in un articolo del 2010 che le differenze di reddito iniziali sono piccole. Ma appena arriva il primo figlio, la tendenza cambia: i guadagni diminuiscono immediatamente e non aumentano allo stesso ritmo per le donne che hanno figli come per gli uomini, anche se hanno la stessa istruzione e professione.

Goldin ha dimostrato che questo “effetto maternità” può essere in parte spiegato dalla natura dei mercati del lavoro contemporanei, dove molti settori si aspettano che i dipendenti siano costantemente disponibili e flessibili di fronte alle richieste del datore di lavoro.

Visto che le donne spesso si assumono maggiori responsabilità rispetto agli uomini nella cura dei figli, questo rende più difficile l’avanzamento di carriera e l’aumento del reddito. Compiti che sono difficili da conciliare con il lavoro a tempo parziale e rendono inoltre più difficile il mantenimento della carriera per la persona del nucleo familiare – solitamente la donna – che sceglie di ridurre il proprio orario di lavoro. Tutti questi fattori hanno conseguenze evidenti e di vasta portata sui guadagni delle donne.

Servono politiche di aiuto per il ritorno al lavoro delle donne e flessibilità

E il futuro? Per immaginare il futuro, dobbiamo aver capito bene la storia, e il presente. Gli investimenti in formazione e istruzione, o la legislazione che rimuove le barriere istituzionali, possono avere un effetto significativo, soprattutto se le aspettative di carriera e i livelli di istruzione delle donne sono inferiori a quelli degli uomini.

Tuttavia, gli stessi investimenti hanno probabilmente un effetto limitato nelle società in cui le donne hanno già livelli elevati di occupazione e sono forse più istruite degli uomini.

Sappiamo, ad esempio, che non basta che le donne ricevano un’istruzione pari a quella degli uomini; il divario retributivo tra uomini e donne permane. Bisognerebbe invece favorire e finanziare il ritorno al mondo del lavoro dopo aver avuto figli, o agevolare tutte le forme possibili di flessibilità oraria, e, dove possibile, smart working.