Sono giornate di terrore quelle che stanno vivendo i cittadini ucraini di Bakhmut, snodo territoriale di estrema importanza negli equilibri bellici fra Kiev e Mosca. Varco geografico tra oriente e occidente, polo logistico in continua espansione fino allo scorso anno, oggi è sull’orlo del crollo sociale ed infrastrutturale a causa dei bombardamenti russi che da oltre una settimana piovono incessanti, soprattutto di notte. Una situazione così drammatica che perfino i più alti rappresentanti del governo di Volodymyr Zelensky – già scosso dal fiume di dimissioni delle scorse settimane per le accuse di corruzione rivolte a diversi suoi componenti – hanno ammesso di non sapere più cosa fare per difenderla.
Il conflitto pare essere arrivato ad un punto di svolta. In dodici mesi i rapporti fra i due belligeranti sono addirittura peggiorati, il mondo pare sempre più spaccato fra chi giura sostegno incondizionato all’Ucraina (il blocco occidentale), chi è da sempre schierato con Vladimir Putin (i suoi alleati orientali) e chi viene dipinto come possibile mediatore, pur senza aver raggiunto alcun risultato concreto sul fronte diplomatico (fra tutti la Turchia e la Cina). In tutto questo, l’Unione europea si appresta a varare il decimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino, con i Paesi membri che dovrebbero approvarlo entro l’inizio della primavera.
Sanzioni alla Russia e negozi chiusi a Mosca: la strategia dell’Occidente sta funzionando?
A dispetto delle analisi che vedono il blocco dell’economia russa come un traguardo irraggiungibile nel breve periodo, tutti sanno che l’unico ambito in cui Bruxelles può incidere in maniera forte per contrastare Mosca è quello commerciale. Lo dimostra, ad esempio, il crollo delle esportazioni di gas metano (da sempre una delle fonti di guadagno più grandi per la Russia) dopo gli innumerevoli accordi raggiunti fra il Vecchio Continente e diversi Stati africani e mediorientali negli scorsi mesi.
Anche l’Italia ha fatto la sua parte, ponendosi come protagonista delle trattative sia con il governo presieduto da Mario Draghi – che ha siglato un’intesa strategica in particolare con Algeria e Azerbaijan – sia con quello di Giorgia Meloni, che proprio in queste ore ha svolto un tour internazionale che l’ha portata prima in India e poi negli Emirati Arabi Uniti proprio per discutere di questi temi. E poi c’è la questione delle grandi multinazionali, con molte aziende leader a livello mondiale che hanno deciso di lasciare Mosca dopo l’inizio della guerra. Ma è qui che la questione diventa più complicata.
Ecco i grandi marchi che ancora oggi hanno i negozi aperti in Russia
A scoperchiare un vaso pieno di contraddizioni ci ha pensato Rubargo (nome frutto dell’unione fra Russia e embargo), l’applicazione scaricabile su smartphone e tablet che da alcuni giorni compare negli store dei dispositivi di tutta Italia. Grazie al sistema di lettura del codice a barre dei prodotti acquistati, il sistema informa l’utente indicando se l’azienda produttrice rientra fra quelle che hanno chiuso i propri stabilimenti in Russia oppure se sta continuando a fare affari nell’ex Unione sovietica. In particolare, l’app si concentra sul settore della moda, fornendo le indicazioni che riguardano i grandi marchi nostrani conosciuti e apprezzati in tutto il mondo.
E così si scopre che tantissime imprese leader del comparto continuano ad operare all’ombra del Cremlino. Inquadrando le loro etichette, sul display del telefonino compare la luce rossa con la scritta “è presente in Russia“, accompagnata da alcuni dettagli sui negozi presenti tutt’oggi nel Paese. Mentre alcuni brand come Prada e Louis Vuitton possono vantare un allontanamento che non è mai venuto meno fin dal marzo 2022, la stessa cosa non si può dire, ad esempio, per Lacoste, Calzedonia e Benetton. I loro store sono regolarmente aperti nella città della Duma, così come quelli Geox, Versace, Armani e Luxottica.