Acqua gassata quasi introvabile, ma rischia anche la birra: perché

I produttori di anidride carbonica spengono gli impianti perché non è più conveniente a causa del costo delle materie prime

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Claudio Carollo

Giornalista politico-economico

Classe ’88, è giornalista professionista dal 2017. Scrive di attualità economico-politica, cronaca e sport.

L’acqua gassata sugli scaffali diventa sempre più un miraggio. I produttori di anidride carbonica spengono i macchinari e i supermercati sono costretti a razionare sempre di più le forniture. La causa di questa penuria che da settimane sta mettendo in ginocchio tutto il settore è data dalla scarsità di CO2: per produrre il gas necessario a fare le bollicine nelle bevande serve una grande quantità di energia, ma i costi raggiunti dalle materie prime rendono questa attività quasi proibitiva. E a lungo andare potrebbero entrare in crisi anche le fabbriche di tutte le altre bibite gassate, compresa la birra industriale.

Acqua gassata introvabile, i motivi della crisi

Come riportato da Repubblica, a monte della crisi del settore c’è lo spegnimento dell’impianto della Yara International di Ferrara, azienda specializzata nella produzione di ammoniaca, urea e fertilizzanti, ma anche di anidride carbonica con la quale riforniva oltre il 30 per cento delle aziende italiane.

La galoppata senza freni dei prezzi di gas naturale e elettricità per alimentare l’impianto ha convinto il gruppo norvegese proprietario della fabbrica a spegnere la produzione che, sottocosto, non conviene più.

Stando ai dati di Mineracqua, la federazione dei produttori di acque minerali, nel 2021 sono stati messi in commercio 8 miliardi di litri, di cui oltre 1 miliardo con l’aggiunta di anidride carbonica: quantità che rischia di prosciugarsi sempre più velocemente.

A lanciare l’allarme a inizio agosto era stato il presidente e ad di Acqua Sant’anna, Alberto Bertone, costretto anche lui a chiudere il 30% della produzione costituita dall’acqua gassata, come avevamo riportato qui.

Assobibe, l’associazione dei produttori di bevande analcoliche interna a Confindustria, lo scorso mese di luglio aveva avvertito: “Le aziende che operano in Italia nel settore delle bevande analcoliche sono in un momento di estrema difficoltà”, spiegando che la scarsa disponibilità di questa materia prima “è un ulteriore effetto dell’aumento dei costi dell’energia e delle difficoltà di trasporto”.

Crisi anidride carbonica, gli effetti sulle bevande gassate e sulla birra

A pagare le conseguenze della mancanza di CO2 non sarà dunque solo l’acqua frizzate, ma anche le più note bibite gassate come Coca-Cola, Fanta o Sprite. Per accaparrarsi la poca anidride carbonica in circolazione il comparto delle bevande deve infatti competere con altri settori per il quale l’uso di questo gas è essenziale:

  • Gli agricoltori sfruttano la CO2 nelle serre, per stimolare la crescita di ortaggi, fiori e frutta.
  • L’industria alimentare la usa per prevenire i batteri e prolungare la durata di conservazione di prodotti come carni confezionate, prodotti da forno e alimenti per l’infanzia.
  • L’anidride carbonica serve a erogare bevande in bar e ristoranti.
  • I produttori di vino la utilizzando nella sua forma congelata (ghiaccio secco) per proteggere l’uva raccolta e rallentare la fermentazione.
  • Inoltre la CO2 alimenta gli impianti medicali, le acciaierie e la refrigerazione su grande scala

Tra queste attività ci sono anche i produttori di birra, che per la scarsità di anidride carbonica registrano diverse difficoltà già da qualche anno in Gran Bretagna.

Come ha sottolineato il presidente di Assobirra, Alfredo Pratolongo, i rincari delle materie prime e dei costi energetici destano preoccupazione tra i piccoli produttori: “Nel 2022, il mercato sembra in ripresa sul fronte dei volumi. La realtà effettiva, però, è più complessa. L’attuale tempesta dei costi non sembra essere episodica e può generare effetti inflattivi, perdite di competitività, compromettere la ripresa e fermare gli investimenti da parte dei birrifici, nella distribuzione e nei canali di vendita, cioè lungo tutta la filiera brassicola”.