Nei giorni in cui ad andare in pezzi sembra essere la Russia di Vladimir Putin (per via della rivolta del Gruppo Wagner, di cui abbiamo parlato qui), c’è qualcuno che rivede anche i conti a danno di un’Ucraina invasa, occupata e devastata da oltre un anno di guerra. Perché, al netto delle atroci tragedie umane, i conflitti tra nazioni sono una terribile questione di numeri e di denaro. Denaro per fare la guerra e denaro per finirla.
Diciamolo subito fuori dai denti: non sarà la Russia a ricostruire l’Ucraina. Non è una punizione, ma un affare per chi riuscirà ad accaparrarselo. Cinico, ma reale. L’Occidente ha già speso miliardi di dollari per armare la resistenza ucraina, coi contractor e le aziende statunitensi che hanno fatto letteralmente affari d’oro, dalle munizioni ai sistemi di difesa. Si parla di oltre 100 miliardi di dollari in appena un anno, da febbraio 2022 a febbraio 2023, senza contare donazioni e investimenti privati. E senza contare i costi dell’accoglienza e degli aiuti umanitari ai rifugiati ucraini. Quanto costerà rimettere in piedi il Paese invaso dai russi, quando e se finalmente scoppierà la pace?
Pessime notizie per chi ha investito in Russia.
I danni della guerra all’economia ucraina
Fin dalla sua indipendenza, nel 1991, l’Ucraina ha sempre puntato forte sull’export verso l’estero, soprattutto di prodotti agricoli, cereali in primis. Lo si è visto chiaramente con gli effetti della crisi innescata dal conflitto e ancor di più dal blocco dei traffici commerciali attraverso il Mar Nero: dall’83% del Pil, l’esportazione verso gli altri Paesi è passata al 48%. L’interscambio con Ue e Moldavia, gli unici due partner attualmente accessibili al Paese invaso, è invece salito dal 40% al 70%. La devastazione bellica dei terreni coltivati e coltivabili ha poi inferto il colpo di grazia a questa importantissima voce di entrata nel bilancio statale ucraino.
La guerra ha colpito duramente anche un altro elemento cruciale per l’ex Repubblica sovietica: le infrastrutture. Come riferisce Limes, i danni materiali a queste ultime sfiorano i 140 miliardi di dollari, così suddivisi: abitazioni (38%), reti di trasporto (26%), ospedali e scuole (9%), centrali energetiche (8%), impianti industriali e commerciali (8%), sistemi agricoli (6%), acquedotti e fogne (3%). I territori con le ferite più gravi sono ovviamente quelli in cui si concentrano la maggior parte dei combattimenti: Donetsk, Lugansk, Kharkiv, Kherson e Zaporizhzhia. A incidere sui costi della ricostruzione incideranno in modo decisivo fattori destinati ad aumentare: rimozione delle macerie, sminamento e bonifica dei terreni , inflazione e prezzi delle materie prime, aumento dei premi assicurativi, povertà e disuguaglianze sociali.
Quanto costa la ricostruzione ucraina
Secondo un report congiunto elaborato da Banca Mondiale, Nazioni Unite e Commissione Ue, ad aprile 2023 il costo totale della ricostruzione ucraina supera i 411 miliardi di dollari. si tratta di calcoli al ribasso, che si aggravano e aumentano giorno dopo giorno col proseguire dei combattimenti e della contrazione di debiti da parte del governo Zelensky con Paesi esteri. A tutto questo vanno aggiunti gli oneri derivanti dalle spese di guerra e il crollo degli investimenti. Numeri pazzeschi, pari a quasi 3 volte il Pil dell’Ucraina nelle condizioni (ormai lontanissime) di prima della guerra. Da parte sua, Kiev ha invece stimato la propria ricostruzione post-bellica in oltre 750 miliardi di dollari, prevedendo 850 progetti per rimettere in sesto la nazione.
La parte più consistente di risorse, oltre 92 miliardi di dollari, dovrà essere destinata al ripristino di trasporti e relative infrastrutture. Seguono a ruota la ricostruzione di edifici e alloggi (70 miliardi), di impianti energetici ed estrattivi (47 miliardi) e il settore della protezione sociale e dei mezzi di sussistenza (42 miliardi). Circa 30 miliardi di dollari serviranno poi a rimettere in sesto il disastrato comparto dell’agricoltura, mentre il commercio e l’industria necessitano di investimenti di oltre 23 miliardi. In mezzo si posizionano gli oneri relativi alla gestione dei rischi legati a mine ed esplosivi, pari a oltre 38 miliardi. Ricostruire il settore della sanità costerà invece 16 miliardi, quello dell’istruzione 11 miliardi e quello delle risorse idriche 9 miliardi. Chiudono l’elenco i 7 miliardi necessari al ripristino di varie branche: servizi igienici, banche e finanza, cultura e turismo. I singoli servizi erogati da oblast e municipi sono “sotto” di 6 miliardi di dollari, mentre le telecomunicazioni e il digitale di 5 miliardi complessivi.
Chi ricostruirà l’Ucraina?
Lo abbiamo accennato: non sarà l’aggressore, e cioè la Russia, ad accollarsi l’onere (e l’affare) di ricostruire l’Ucraina. Alla porta c’è ovviamente l’Occidente a guida americana, che supporta Kiev fin dall’inizio dell’invasione, e anche la Cina, che è tutt’ora il maggior partner commerciale del Paese invaso a livello globale. Già nel settembre 2022, a sei mesi dall’invasione, Washington aveva elaborato un primo progetto di ricostruzione ucraina: un Piano Marshall a tutti gli effetti, molto simile a quello che rimise in piedi l’Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il German Marshall Fund statunitense pubblicò il cosiddetto “Designing Ukraine’s Recovery in the Spirit of the Marshall Plan” con un’enfasi da propaganda, ponendo l’accento sul “grande successo” di un’iniziativa che “ha cambiato il corso del XX secolo”. E che, oltreoceano non hanno dubbi, si ripeterà anche nel Nuovo Millennio e nella “nuova” Europa.
Ma sarà davvero così? Secondo gli analisti no. Intanto perché il mondo è cambiato in maniera impressionante in oltre tre quarti di secolo. E poi perché anche gli Usa non sono più quella potenza in ascesa che sembrava poter risolvere i problemi di ogni parte del globo, con in tasca la loro metà del Pil mondiale e di fronte potenziali competitor stesi ansimanti a terra (tra cui Russia e Cina, all’epoca ridotte in frammenti ancora da ricucire). Oggi perfino la grande America appare indebolita, indebitata e frammentata, alle prese con un mondo sempre più multicentrico e con la grande minaccia del cambiamento climatico. In altre parole: la concorrenza internazionale e l’industrializzazione avanzata implicano un investimento quasi insostenibile per “ripartire da zero”. Anche per un colosso come gli Stati Uniti. Bastino un confronto per rendere l’idea: nel 1949 gli Usa stanziarono 13,3 miliardi di dollari per ricostruire l’Europa occidentale lacerata dal conflitto mondiale, pari a circa 160 miliardi di oggi.
E l’Italia? Anche Roma attende alla porta, con 600 aziende nostrane pronte a partecipare alla ricostruzione ucraina. Negli ambienti istituzionali sono già circolati piani e progetti nei settori di Infrastrutture e Trasporti, Energia e Ambiente, Agroindustria, Salute e Riabilitazione e Digitale e Servizi. Con due focus dedicati a Spazio e Avionica e a Industria metallurgica.