Stop benzina e diesel 2035, l’Unione europea ora frena. Cosa sta succedendo

Il voto finale è congelato fino a data da destinarsi. Decisivo, più ancora del no italiano, quello della Germania, che spinge per gli e-fuel.

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Paolo Viganò

Giornalista di attualità politico-economica

Classe 1974, giornalista professionista dal 2003, si occupa prevalentemente di politica, geopolitica e attualità economica, con diverse divagazioni in ambito sportivo e musicale.

Quella di domani, martedì 7 marzo, sarebbe dovuta essere la giornata del voto definitivo sullo stop all’immatricolazione e alla vendita di auto a combustione dal 2035. Invece la presidenza svedese di turno del Consiglio Ue ha dovuto prendere atto della contrarietà di alcuni paesi importanti e rinviare a data da destinarsi il voto definitivo di un iter iniziato con la proposta della Commissione, il 14 luglio 2021.

Il blocco del No

Polonia e Italia hanno annunciato che voteranno contro, cosa ribadita anche ieri dal ministro delle Imprese Adolfo Urso, mentre la Bulgaria ha detto che si asterrà (l’astensione vale come voto contrario). Ma a rendere solido il fronte è ovviamente la Germania, il paese guida dell’Ue, che ha nell’alleanza di governo Socialisti-Verdi-Liberali la necessità di trovare una sintesi fra posizioni spesso non allineate. Dopo il ministro dei Trasporti Volker Wissing, liberale, è stato lo stesso leader dell’Fdp, Christian Lindner, a dire esplicitamente che il suo obiettivo è far sì che “auto con motore a combustione interna possano essere immatricolate in Germania dopo il 2035”, riporta l’Hamburger Abendblatt. Senza Italia, Polonia, Germania e Bulgaria è a favore solo circa il 58% della popolazione Ue, meno del 65% richiesto dalla maggioranza qualificata (l’altra condizione, almeno 15 Stati membri, è invece soddisfatta, perché i favorevoli sono 23).

Cosa può accadere

Una riapertura del testo, negoziato e concordato da tempo, è molto difficile da ipotizzare. La Germania ha fatto sapere di volere che la Commissione avanzi una proposta sull’uso degli e-fuels, diversi dai biocarburanti: gli e-combustibili, come l’e-metano, l’e-kerosene e l’e-metanolo, sono combustibili in forma gassosa o liquida prodotti da elettricità rinnovabile (energia solare o eolica, ad esempio) o decarbonizzata. La Commissione ha sottolineato, tramite i suoi portavoce, la “novità” delle preoccupazioni emerse tra gli Stati membri e ha detto che ora studierà il modo migliore per procedere.

La politica

Sul piano politico, è abbastanza evidente che la vittoria del centrodestra a trazione Fdi in Italia, che è un grande Paese Ue, modifica gli equilibri a Bruxelles, anche se è difficile pensare che il rinvio di oggi preluda ad una revisione profonda del testo. Ora tuttavia i Liberali tedeschi, in difficoltà come junior partner di una coalizione orientata a sinistra, hanno trovato una sponda, nel Consiglio, in due Paesi governati dall’Ecr, i Conservatori, che sono l’Italia di Giorgia Meloni e la Polonia di Mateusz Morawiecki.

Del resto le perplessità sul regolamento, almeno in Italia, non sono affatto un’esclusiva della destra e del centrodestra: l’ex presidente della Commissione Europea Romano Prodi, che conosce bene le imprese, ha spiegato anche di recente perché ritiene sbagliato puntare su un obiettivo così ambizioso, che rischia di menomare la filiera dell’automotive, specialmente in Italia, e di accentuare la dipendenza dell’Europa dalle materie prime e dalle forniture extra Ue.

E persino il commissario all’Economia Paolo Gentiloni, che per storia personale è tutt’altro che insensibile alle tematiche ambientali (ha diretto per 8 anni Nuova Ecologia, la rivista di Legambiente) ed è un grande sostenitore della validità del Green Deal, l’altra sera a Bruxelles, in occasione della presentazione dell’ultimo libro di Angela Mauro, ha notato, citando Giuliano Ferrara, che è bene essere cauti quando si vanno a toccare “la casa e l’auto”.

La filiera italiana

Il problema è, tra l’altro, che la filiera italiana dell’automotive è, almeno in parte, legata al motore a combustione interna e una transizione accelerata al full electric rischia di avere un impatto importante, anche in termini occupazionali, specie sulle pmi del Nord Italia. Oggi la Commissione, interrogata sul punto, ha dato una risposta vaga, senza fornire stime puntuali sui posti di lavoro che andrebbero persi (associazioni di settore hanno stimato perdite di circa 500mila posti a livello Ue).