Giugno è il mese del Pride, periodo in cui si concentra la maggior parte delle manifestazioni a supporto dell’inclusione e della comunità Lgbtqia+. Per le aziende realmente inclusive si tratta di un’occasione per mostrare le proprie politiche. Altre, invece, mettono in atto semplici pratiche di rainbow washing.
Perché giugno è il mese del Pride
Tutto ebbe inizio nel giugno del 1969 a New York, e per la precisione al bar Stonewall Inn in Christopher Street nel quartiere Greenwich Village. Lo Stonewall Inn era uno storico ritrovo per la comunità Lgbtqia+. Il 27 giugno 1969 la polizia fece un’irruzione con arresti, cosa che fece scoppiare la guerriglia urbana per le strade del Village.
In realtà l’irruzione fu solo la goccia che fece traboccare il vaso, dal momento che i gestori e i frequentatori del bar erano da tempo vittime delle provocazioni della polizia.
Per 6 giorni poliziotti e persone Lgbtqia+ si diedero battaglia in quelli che passarono alla storia come I moti di Stonewall. Da allora quel tratto di Christopher Street è diventato simbolo della lotta per la libertà, il riconoscimento e l’inclusione. E giugno è diventato il Pride month.
Il rainbow washing
Sono molte le aziende che utilizzano il Pride month per ideare campagne marketing a beneficio della comunità Lgbtqia+. Ma, è il caso di dirlo, anche a beneficio dei clienti etero e della società in generale perché essere realmente e sinceramente inclusivi non può che essere considerato un passo in avanti verso civiltà e giustizia.
Giugno diventa quindi un fiorire di loghi arcobaleno e spot con famiglie omoaffettive. Il rischio è però che alcune aziende facciano con i diritti Lgbtqia+ quello che sono solite fare con l’ambiente (greenwashing), ovvero sfruttare un trend unicamente a scopo di profitto.
Scoprire quali aziende facciano rainbow washing è estremamente semplice: se la comunità Lgbtqia+ viene supportata esclusivamente a giugno per poi venire ignorata nei rimanenti 11 mesi dell’anno, potremmo trovarci in presenza di un indizio di rainbow washing.
Un altri indizio, è la mancanza di pratiche aziendali volte a una reale inclusione, sia all’interno dell’organizzazione, sia per quanto riguarda il dialogo con i rappresentanti della comunità Lgbtqia+.
Go woke, go broke
Negli Stati Uniti, e non solo, è in corso una battaglia ideologica.
Dagli ambienti progressisti si invita ad abbracciare le politiche woke, riappropriandosi di un termine diventato un dispregiativo negli ultimi anni (al grido di stay woke, rimani sveglio) mentre dagli ambienti conservatori si intona la cantilena go woke, go broke, ovvero abbraccia la cultura woke e vai in bancarotta.
In generale, le aziende che hanno come clientela prevalente un target composto da maschi o da conservatori hanno imparato sulla loro pelle che l’inclusione non spiegata e proposta un passo alla volta, ma al contrario “imposta” dall’alto come fosse ineluttabile porta solo a disastri commerciali.
Bud Light
Un caso emblematico è quello della birra Bud Light, che dopo il coinvolgimento nella pubblicità della influencer Dylan Mulvaney, famosa per aver mostrato la propria transizione di genere su YouTube, ha visto crollare le vendite nel 2023 con perdite superiori al miliardo di dollari.
Oltre a non incontrare il favore del pubblico, la Bud Light fu oggetto di una campagna di boicottaggio da parte dei conservatori.
Target
Nel maggio 2023, Target lanciò una collezione per il Pride Month, inclusi articoli per bambini e costumi da bagno pensati per persone transgender. L’iniziativa scatenò la reazione dei gruppi conservatori, con proteste, minacce ai dipendenti e atti vandalici in alcuni negozi.
Sotto la guida del Ceo Brian Cornell, Target ha puntato tutto sulla Dei (Diversity, Equity and Inclusion), in modo particolarmente evidente nelle celebrazioni del Pride, con un’iniziativa aziendale di marketing e vendite rivolta alla comunità Lgbtqia+.
Target fu costretta a rimuovere alcuni prodotti dagli scaffali. Nel secondo trimestre del 2023, registrò un calo delle vendite del -5,4%, segnando la prima flessione in 6 anni. Le vendite online diminuirono del -10,5% e le azioni scesero del -15%.
Disney
Nel 2022, Disney venne criticata per la sua iniziale mancanza di opposizione pubblica alla legge Don’t Say Gay della Florida, che limita l’insegnamento dell’identità di genere nelle scuole. Dopo proteste interne, l’azienda prese posizione contro la legge.
Parallelamente, il film Lightyear, spin-off Disney Pixar della fortunata saga di Toy Story, includeva una scena di un bacio tra due donne, inizialmente rimossa e successivamente reintegrata dopo le proteste dei dipendenti.
Lightyear fu uno dei peggiori disastri al box office, incassando poco meno di 220 milioni di dollari, contro un costo di produzione di circa 200 milioni.