La crescita italiana è troppo debole, Pil a +0,6% nel 2025 e restano fermi i consumi

Nel 2025 il Pil crescerà solo dello 0,6%, spinto dalla domanda interna. I consumi delle famiglie restano deboli, frenati dall’aumento del risparmio e dai salari ancora bassi

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

Pubblicato: 6 Giugno 2025 10:55

Il Pil italiano è atteso in crescita dello 0,6% nel 2025 e dello 0,8% nel 2026, dopo essere aumentato dello 0,7% nei due anni precedenti. Sono i numeri che l’Istat ha rilasciato oggi, presentando i dati sulle prospettive per l’economia italiana nel 2025 – 2026. L’aumento del Pil, nel biennio di previsione, verrebbe sostenuto interamente dalla domanda interna al netto delle scorte (+0,8 e +0,9 punti percentuali rispettivamente), mentre la domanda estera netta fornirebbe un contributo negativo in entrambi gli anni (-0,2 e -0,1 p.p.). Il saldo della bilancia commerciale si manterrebbe positivo anche nei prossimi due anni.

Guardando all’estero, si tiene conto di un’attenuazione nella seconda parte del 2025, visto il clima di incertezza della politica commerciale statunitense e un impatto negativo dei dazi sul commercio mondiale.

Crescita positiva ma cala la fiducia dei consumatori

Nel dettaglio, il primo trimestre del 2025 ha visto il Pil italiano crescere dello 0,3% rispetto al trimestre precedente, grazie al contributo positivo della domanda interna e di quella estera netta. Gli investimenti fissi lordi sono aumentati dell’1,6%, risultando la componente più dinamica, mentre i consumi delle famiglie sono cresciuti dello 0,2%. Dal lato dell’offerta:

  • l’industria ha mostrato una buona performance (+1,2%), in particolare le costruzioni (+1,4%);
  • i servizi hanno registrato un lieve calo (-0,1%), spinta da la forte espansione delle attività artistiche e di intrattenimento (+2,3%) e la contrazione di quelle finanziarie e assicurative (-1,4%) e immobiliari (-0,9%).

Tuttavia, nei primi quattro mesi del 2025, la fiducia di consumatori e imprese è peggiorata, complice l’incertezza legata all’imposizione di nuovi dazi commerciali. L’export ha comunque beneficiato di un “effetto anticipo”, crescendo del 2,8%.

Unc: “Consumi al palo!”

Il campanello d’allarme però è sui consumi degli italiani, che si prevede continuino a crescere a ritmi moderati (+0,7% in entrambi gli
anni) da un lato favoriti dalla prosecuzione della crescita delle retribuzioni e dell’occupazione, dall’altro frenati da un incremento della propensione al risparmio. Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, commentando le previsioni dell’Istat afferma che i consumi sono “al palo”:

“Fino a che i consumi delle famiglie, che rappresentano il 60% del Pil, non ripartiranno, il Paese continuerà ad arrancare e la crescita del Pil sarà sempre dello zero virgola: +0,6% nel 2025 e +0,8% nel 2026. Dati pessimi se si considera che stiamo pure spendendo i soldi del Pnrr che fanno da traino agli investimenti. Bisogna ridare capacità di spesa al 50% delle famiglie meno abbienti. Purtroppo la crescita delle retribuzioni e dell’occupazione non bastano per dare fiato a chi fatica ad arrivare alla fine del mese e ha buste paga da fame.

A maggio 2025, l’inflazione armonizzata si è attestata all’1,9%, in calo rispetto al 2,0% di aprile, allineandosi alla media dell’area euro. Una frenata dovuto dalla riduzione dei prezzi energetici, mentre crescono i prezzi dei beni alimentari (+0,8%).

Il mercato del lavoro cresce, ma rallentano le attese occupazionali

Più positivi i dati sul mercato del lavoro. Nel primo trimestre del 2025 il tasso di posti vacanti è diminuito al 2,0%, in calo nell’industria ma stabile nei servizi. Ad aprile, l’occupazione si è mantenuta stabile, con un tasso invariato al 62,7%, mentre la disoccupazione è scesa al 5,9% (-0,2 punti percentuali). Aumentano però gli inattivi (+0,3%).

Peggiorano però le attese sull’occupazione, specie nei settori come:

  • manifatturiero;
  • commercio al dettaglio;
  • costruzioni;

Migliorano esclusivamente nel settore dei servizi. Segnali che evidenziano una fase di rallentamento nella domanda di lavoro, soprattutto nei comparti produttivi, a fronte di una maggiore tenuta del settore terziario.