Imprese: in arrivo crisi finanziaria. Ecco perché

Nel 2023 le imprese dovranno restituire interessi per oltre 35 miliardi di euro all’anno, +15 miliardi sul 2022

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Redazione

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Se da un lato l’emergenza dei costi energetici sembra essere rientrata, anche grazie ad un inverno mite, dall’altro, le aziende si trovano a dover affrontare un’altra difficoltà: l’aumento dei tassi di interesse della BCE per combattere l’inflazione. È quanto emerge dall’analisi di Studio Temporary Manager (STM). Un fattore, quello dell’inflazione, che secondo l’ultimo Osservatorio MECSPE in questi mesi fa sempre più paura agli imprenditori (la teme il 18%, + 13 p.p. vs ‘22).

Nel 2023 il tasso medio di sconto europeo ha raggiunto circa il 3,5% (+2 p.p. sul 2022), e considerando un’esposizione debitoria delle imprese italiane che sfiora 749,2 miliardi di euro, questo aumento significa che gli imprenditori si troveranno nel 2023 a dover pagare interessi per finanziamenti, mutui e leasing per un valore totale di oltre 35 miliardi di euro all’anno, +15 miliardi  rispetto al 2022.

L’impatto sulle aziende italiane

“L’aumento dei tassi, soprattutto l’ultimo di 50 punti base effettuato a marzo 2023, è assolutamente ingiustificato visto il calo dell’inflazione su base mensile nei primi mesi del 2023. Con molta probabilità – afferma Roberto La Caria, socio e amministratore delegato di Studio Temporary Manager – avrà un forte impatto sugli oneri finanziari, anche triplicandoli su base annua, con un effetto particolarmente pesante sia per le aziende italiane, contraddistinte da una dimensione ridotta, da una scarsa capitalizzazione e da un forte ricorso al debito, sia per i consumatori e per tutto il sistema finanziario”.

Le regioni più penalizzate dall’aumento dei tassi

 Nel 2023 le regioni più penalizzate da questo aumento dei tassi saranno quelle dove sono maggiormente concentrate le attività produttive che si avvalgono dell’aiuto degli istituti di credito, vale a dire la Lombardia (interessi totali 10,2 miliardi di euro; +4,33 miliardi di euro sul 2022), il Lazio (interessi 3,71 miliardi di euro; +1,58 miliardi di euro sul 2022), l’Emilia-Romagna (interessi 3,7 miliardi di euro; +1,58 miliardi di euro sul 2022), il Veneto (interessi 3,57 miliardi di euro; +1,52 miliardi di euro), il Piemonte (interessi 2,52 miliardi di euro; + 1,07 miliardi di euro).

L’andamento dell’inflazione

Nonostante nel I trim. 2023 l’inflazione su base annua sia ancora significativa (7,7%), se misurata su base mensile si vede come nei primi mesi del 2023 si stia attenuando (0,1% di gennaio, 0,2% di febbraio e addirittura -0,3% stima di marzo). “Con questi dati l’inflazione tendenziale su base annua – sottolinea La Caria – potrebbe attestarsi tra il 5% e il 6%% nel 2023. Nel corso dell’anno il tasso dovrebbe registrare una marcata riduzione, per poi collocarsi in media al 3,4% nel 2024 e al 2,3% nel 2025. Per questo, l’ulteriore aumento dei tassi della BCE di 50 punti base a marzo, che ha portato il tasso di sconto europeo al 3,5%, ipoteticamente ad un valore superiore all’inflazione tendenziale, avrà molte conseguenze per le aziende ‘virtuose’ che negli ultimi anni hanno fatto un ampio ricorso al debito per effettuare investimenti”. Investimenti spinti anche dalle agevolazioni Industria 4.0. e dai prestiti contratti durante il Covid garantiti dallo Stato tramite il Mediocredito Centrale (MCC). Tali agevolazioni hanno da una parte permesso un significativo rinnovo tecnologico delle aziende, ma hanno dall’altro aumentato l’esposizione debitoria in termini di finanziamenti, mutui e leasing.

Le alternative per le imprese

“Le aziende per compensare i maggiori oneri finanziari – prosegue La Caria – hanno due strade: aumentare i prezzi del prodotto finito, ma il mercato in questa fase non è propenso ad accettare nuovi aumenti; o ridurre in modo significativo i propri costi di produzione intervenendo in modo significativo sull’organizzazione e l’efficientamento. Gli imprenditori devono reagire per evitare una erosione dei margini, e quindi dei flussi di cassa, tale da compromettere non solo la normale profittabilità, ma in alcuni casi addirittura la continuità aziendale. Oltre a dover gestire i fattori esogeni, le aziende devono intervenire sui fattori endogeni, controllando in modo assiduo ed attento i propri costi ed intervenendo con rapidità sulla riduzione dei costi generali e soprattutto su quelli di produzione attraverso azioni di ottimizzazione ed efficientamento”.