Il pensiero economico di Emiliano Brancaccio

Analisi approfondita di quello che è una delle teorie economiche chiave del pensiero di Emiliano Brancanno: la regola di solvibilità dei banchieri centrali

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Emiliano Brancaccio è un noto economista, professore e saggista, nato a Napoli nel 1971. Svariate le sue collaborazioni, pubblicando analisi su differenti riviste e quotidiani, da L’Espresso a Il Sole 24 ore, fino al Financial Times. Molto interessante analizzare quello che è il suo pensiero economico, che generalmente viene annoverato all’interno della scuola cosiddetta critica o eterodossa.

Il pensiero dell’economista Brancaccio

Nello sviluppo del suo pensiero economico, Emiliano Brancaccio si è avvicinato particolarmente a quello di Karl Marx. Ha infatti sviluppato quella che è la sua tesi della tendenza alla centralizzazione dei capitali. Il suo non è però un mero sguardo al passato, tutt’altro. Ha infatti proceduto a contestualizzare il tutto, convertendo i postulati e ampliandoli, prendendo in considerazione lo scenario mondiale odierno, caratterizzato dalla globalizzazione economica.

Un complesso processo d’analisi, che lo ha visto giungere a un’interpretazione originale, strettamente interconnessa a quello che è l’operato delle banche centrali, che nel corso dei decenni hanno assunto sempre di più il ruolo di enti regolatori del ritmo centralizzante.

La regola di solvibilità dei banchieri centrali

Il tema del ruolo delle banche centrali nell’economia globalizzata odierna è molto rilevante per il pensiero economico del prof. Emiliano Brancaccio. A lui dobbiamo infatti quella che viene definita la regola di solvibilità dei banchieri centrali.

Questa interpretazione della politica monetaria è in chiara contrapposizione con la regola di Taylor, che possiamo definire ormai convenzionale e largamente condivisa e accettata. Quest’ultima deve il nome all’economista John B. Taylor. Si tratta di una relazione matematica che va a legare delle variabili economiche, quali PIL e inflazione, a uno strumento di politica monetaria.

È così possibile rappresentare quello che è il comportamento ampiamente condiviso da parte della maggior parte delle banche centrali, con BCE e Federal Reserve in vetta. John B. Taylor indica, con la sua regola, il livello al quale dovrebbe essere il tasso di interesse nominale di breve periodo. Questo dovrebbe essere pari al tasso di interesse reale di equilibrio.

In cosa differisce, dunque, la regola di solvibilità di Brancaccio? Poggia le proprie base sull’idea che la banca centrale non sia in grado di governare il ciclo economico e l’inflazione. All’atto pratico, il ruolo non sarebbe altro che quello di gestione della politica monetaria, al fine di stabilizzare la condizione finanziaria generale e la regolazione del rapporto tra capitali solvibili e liquidazioni.

Il celebre testo “Anti-Blanchard”

Questo non è di certo l’unico punto di contrasto del noto economista con quelle che sono le “regole” largamente accettate. È infatti autore del testo “Anti-Blanchard”, che si scaglia contro il famoso manuale redatto da Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale. L'”Anti-Blanchard” ha anche suscitato un celebre dibattito tra Blanchard e Brancaccio tenutosi a Milano nel dicembre 2018 e pubblicato sulla rivista Review of Political Economy.

Nel suo testo, il prof. Emiliano Brancaccio offre un approccio molto critico al modello macroeconomico accettato dalla comunità. Opinioni, le sue, che sono ovviamente molto divisive. Lo dimostra il fatto che l’economista Francesco Giavazzi sostenga come il solo fatto che Brancaccio si ritrovi a usare Blanchard come base per la sua critica al sistema “mainstream”, evidenzia la duttilità del modello stesso. Per altri invece, come Marcello Messori, le critiche mosse hanno il gran merito di gettare luce sul fatto che non ci sia una rappresentazione analitica univoca della realtà economica.