C’è chi giura di averlo visto adirato come mai prima, quasi trasfigurato. A suon di urla e pugni battuti sul tavolo, la rabbia del ministro Giancarlo Giorgetti è esplosa tutta d’un colpo, esattamente sette giorni fa, nel suo ufficio di via XX Settembre. Che la sua poltrona sia la più scomoda di tutto il governo, lo si sa da tempo: dopo una legge di Bilancio – quella dello scorso anno – scritta in fretta e furia subito dopo l’insediamento, in condizioni obiettivamente difficili, quest’anno l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni si trova alle prese con la scrittura della sua prima vera Manovra. Non che il quadro dei conti sia migliorato rispetto a dodici mesi fa, ma questa volta la premier e i ministri hanno avuto un anno intero per lavorarci.
Già stressato dalle continue richieste dei colleghi, dai diktat imposti da Bruxelles e dai mille dossier che ogni giorno approdano sulla sua scrivania, la scorsa settimana Giorgetti è letteralmente sbottato davanti agli occhi increduli dei suoi collaboratori. Il motivo? Ebbene, in quelle stesse ore, poco prima che il numero due della Lega si presentasse in Consiglio dei ministri per presentare la Nadef, l’agenzia statistica europea (da tutti conosciuta come Eurostat) comunicava la decisione di voler cambiare il proprio “giudizio” sul Superbonus. Una scelta che avrà ripercussioni serie sulla disponibilità monetaria presente e futura del nostro Paese.
Eurostat cambia idea sul Superbonus: cosa significa e quali saranno le conseguenze
Per comprendere a pieno cosa stia succedendo e da cosa derivino i timori del ministro italiano, occorre fare un passo indietro e riavvolgere il nastro fino alla scorsa primavera. Nel febbraio scorso Eurostat aveva classificato i crediti legati al Bonus 110% come spesa pubblica, intestandoli tutti al primo anno di attivazione. Stiamo parlando di circa 90 miliardi di euro che dunque sarebbero stati messi “sul groppone” del periodo compreso tra il 2020 e il 2022, senza ripercussioni sugli anni successivi. Il meccanismo è semplice. Tu Stato hai approvato una misura che crea debito? Allora io Eurostat devo capire in quale periodo fartelo “scontare”.
La decisione dell’ente con sede in Lussemburgo era stata presa in virtù del fatto che la cedibilità e lo sconto in fattura facevano sì che i crediti del Superbonus sarebbero stati incassati di sicuro. Quindi andavano iscritti nel deficit degli anni in cui erano stati approvati. Oggi però, vista l’entità dei crediti incagliati e non ancora goduti dai beneficiari, lo stato dell’arte è radicalmente cambiato e l’agenzia statistica europea ha dovuto ricalibrare le proprie valutazioni. Ecco, Giorgetti non l’ha presa proprio bene.
Governo in crisi sulla Manovra: la questione del Superbonus e le altre spine nel fianco di Giorgetti
Ora il rischio che tutti temono – a partire da migliaia di aziende edili e imprese di costruzioni che si sono accollate i crediti del Bonus – è che parte di questi soldi vadano persi, non riuscendo ad arrivare nelle casse del Tesoro. Uno scenario che riporterebbe l’Italia ad una prospettiva più estesa nel tempo: se non posso incassare quanto previsto, dovrò stringere la cinghia per un periodo più lungo. Quindi, l’impatto del Superbonus sull’erario pubblico va calcolato anche per il 2023 e le annate a venire, almeno fino a quando la vicenda non potrà ritenersi plausibilmente conclusa.
Una mazzata senza precedenti per il governo, già alle prese con un taglia e cuci assai complicato per trovare i fondi da inserire nella Manovra 2024. Tra i continui rincari del prezzo del carburante (con conseguente obbligo di stanziare nuovi fondi per calmierare i costi di diesel e benzina), l’inflazione galoppante che ci ha tenuto compagnia per tutta l’estate e il peggioramento del quadro complessivo in termini di crescita del Pil (che non andrà oltre il +1%, come certificato dall’Ufficio parlamentare di bilancio), Palazzo Chigi sta facendo i salti mortali per non dare l’idea di brancolare nel buio. Cosa che però è sotto gli occhi di tutti.
Crediti incagliati e stallo nelle cessioni: ecco quale sarà l’impatto del Superbonus sulla Manovra
Ma, calcolatrice alla mano, quando inciderà l’eredità del Bonus 110% sui conti di quest’anno e del prossimo futuro? Ai 90 miliardi citati prima ne vanno aggiunti circa una trentina, per un totale di quasi 120 miliardi di euro che, con ogni probabilità, andranno spalmati fino al 2027. Ossia, per tutta la durata in carica dell’attuale governo, che si ritroverebbe così le mani legate per mettere in atto quel programma di “rivoluzione economica e fiscale” con cui la coalizione di centrodestra ha vinto le elezioni politiche nel settembre del 2022.
Inoltre, ad aggravare la situazione, c’è lo spettro del ritorno alle regole di rigore europeo in vigore fino al 2020, poi sospese per il diffondersi della pandemia da Covid-19. L’Italia sta trattando con gli altri Stati membri dell’Unione per avere più flessibilità, soprattutto per quanto riguarda le spese militari e quelle correlate al PNRR, che Roma vorrebbe escludere dal calcolo del proprio debito annuo. Ma il raggiungimento del risultato voluto pare cosa per nulla scontata, vista l’intransigenza che da sempre contraddistingue l’atteggiamento dei cosiddetti “Paesi frugali”, con in testa la Germania, seguita a ruota da Olanda e Belgio.
La mazzata del Superbonus sui conti pubblici: come ne uscirà il governo?
Dati alla mano, l’obiettivo di Giorgetti diventa dunque quello di limitare i danni. Come farlo? L’ipotesi più gettonata al momento è quella di un accordo con le banche che, su base volontaria, potrebbero cedere i crediti d’imposta al Tesoro ricevendo in cambio titoli di Stato di nuova emissione (BTP) di valore comparabile. Un escamotage che non porterebbe al governo grandi somme, ma che libererebbe spazio in pancia agli istituti di credito, che potrebbero così comprare i crediti fiscali incagliati e aiutare così a scongiurare lo scenario tracciato da Eurostat. Se le nuove emissioni di BTP avvenissero entro il prossimo 31 dicembre, le si potrebbe conteggiare nel bilancio di quest’anno, alleggerendo così il peso per il 2024.
Un rompicapo davvero complesso, che Giorgetti sa bene di non poter risolvere da solo. Le trattative con i vertici comunitari e gli altri ministri dell’Unione europea sono proprio volte a questo: assicurare condizioni più agevoli all’Italia per risolvere i problemi interni e impostare un piano di riforme strutturali. Tutto, con la speranza di riuscire a ridurre (almeno in piccola parte) il mastodontico debito pubblico che ci portiamo appresso come una palla al piede. Le condizioni, al momento, non sembrano esserci: se poi ci si mette anche l’Eurostat, è chiaro che i nervi rischiano di saltare da un momento all’altro.