Il mese di ottobre rappresenta una fase estremamente complessa per il rating sovrano dell’Italia, un’incertezza che non si verificava dal lontano 2011. In quel periodo, tra il 3 e il 4 novembre di dodici anni fa, assistemmo al completo deterioramento della credibilità dell’Italia durante il G20 di Cannes. Gli esperti finanziari, con giusta motivazione, sottolineano che le similitudini tra allora e adesso sono limitate. Tuttavia, tra il prossimo venerdì, 20 ottobre, e il 17 novembre, si determinerà il destino della legge di Bilancio, un testo che rappresenta la prima completa opera del governo Meloni in questo ambito.
Cosa può comportare la riduzione del rating
Le quattro principali agenzie di rating sono chiamate a confermare o revocare il loro giudizio sull’Italia. S&P Global si esprimerà il 20 ottobre, DBRS il 27, Fitch il 10 novembre e Moody’s il venerdì 17 novembre. Le prime tre agenzie hanno attualmente un giudizio con prospettiva stabile, che potrebbe essere rivisto al ribasso senza rappresentare necessariamente un declassamento generale. La quarta agenzia, al contrario, potrebbe rappresentare un elemento decisivo: nel caso di Moody’s, il cui giudizio è già oggi negativo, un eventuale declassamento avrebbe rilevanti conseguenze.
Quando si parla della sostenibilità del debito pubblico, spesso ci si riferisce al giudizio delle agenzie di rating. Queste agenzie, come S&P, Moody’s, Fitch e DBRS, emettono valutazioni sulle situazioni finanziarie dei paesi, spesso senza che queste valutazioni siano richieste dai governi interessati. Queste valutazioni sono assegnate in base a una scala, con il massimo grado di affidabilità rappresentato dalla sigla “AAA”, nota come “tripla A”, che indica il minor rischio di insolvenza per gli investitori. In pratica, se qualcuno investe in obbligazioni di un paese con un rating AAA, ciò implica che è molto probabile che riceverà i pagamenti previsti senza problemi.
Tuttavia, esistono anche paesi con rating meno virtuosi. L’Italia, ad esempio, si colloca attorno alla categoria “tripla B”, che è solo qualche gradino sopra il livello “junk”, che è considerato “spazzatura”. Quando un paese riceve un rating junk, gli investitori devono assumersi maggiori rischi nel detenere titoli di stato di quel paese nel loro portafoglio.
I problemi degli ultimi anni dell’Italia
Negli ultimi anni, l’Italia ha affrontato tre sfide principali: una crescita economica limitata, un alto debito pubblico e un deficit più elevato rispetto alla media europea. Eventi come la pandemia, le tensioni globali e l’inflazione hanno influenzato la situazione, ma c’è una crescente preoccupazione riguardo al percorso di consolidamento fiscale, in particolare in relazione al rapporto tra debito e Pil, che potrebbe non ridursi come previsto nel Def di aprile. Questa incertezza è motivo di preoccupazione sia per i mercati finanziari che per gli investitori istituzionali.
Il calendario: si parte con S&P
Questa settimana inizia un momento cruciale con la valutazione di S&P Global Ratings. Il 20 ottobre, questa azienda statunitense sarà chiamata a confermare o revocare il suo attuale giudizio, che attualmente è di “BBB” con un outlook stabile. Secondo gli analisti finanziari, c’è una possibilità concreta che l’outlook venga rivisto al ribasso, il che rappresenterebbe un segnale di preoccupazione.
Successivamente, il 27 ottobre, sarà il turno di DBRS, con una situazione simile attesa. Lo stesso si ripeterà il 10 novembre, quando Fitch fornirà la sua visione sulla Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (Nadef). Gli esperti di questa agenzia prevedono che le stime rappresentino “un significativo allentamento della politica di bilancio rispetto agli obiettivi precedenti” del governo italiano.
Infine, la data più temuta è venerdì 17 novembre, quando Moody’s dovrà decidere se mantenere l’outlook negativo e guadagnare tempo o se optare per un declassamento che collocherebbe l’Italia nella categoria “junk”, ossia “spazzatura”. È importante notare che a metà maggio Moody’s aveva già scelto di prendere tempo per riflettere sulla situazione. Considerando i limitati margini di manovra nelle finanze pubbliche, il rallentamento dell’economia globale e gli eventi geopolitici come la guerra in Medio Oriente, al momento non si può escludere nessuna opzione. La situazione è incerta e sarà seguita con attenzione dai mercati finanziari e dagli investitori.
Covid, guerre e inflazione, cosa sta passando l’Italia in ambito economico
L’Italia sta affrontando una serie di sfide finanziarie e geopolitiche che stanno mettendo a dura prova la sua situazione economica. Prima la pandemia di Covid-19, seguita dall’invasione della Russia in Ucraina, l’inflazione in aumento e i consistenti aumenti dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale Europea (BCE), e infine il conflitto in Medio Oriente tra Israele e Hamas. Tutto ciò comporta una spesa extra per il governo italiano che è già sicura e inevitabile.
Il Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha affermato da mesi che la prossima legge di Bilancio dovrà necessariamente essere orientata al risparmio, poiché le risorse sono limitate. Questo significa che il disavanzo pubblico è destinato ad aumentare. La Nota di Aggiornamento al Documento di Economia (Nadef) suggerisce che ci sarà un significativo scostamento dovuto in gran parte alle conseguenze fiscali del Superbonus, che comporterà una spesa di circa 130 miliardi di euro. Questo impatterà sul dibattito riguardo alla prossima Finanziaria e avrà ripercussioni anche negli anni a venire.
Di conseguenza, il rapporto tra deficit e Pil per il 2023 e il 2024 è stato rivisto al rialzo, il che è interpretato come una debolezza sia dagli investitori istituzionali che, a giudicare dallo stato d’animo delle cancellerie europee, anche dalla Commissione Europea. La situazione economica dell’Italia è complessa e richiede una gestione prudente e attenta per far fronte a queste sfide.
Il rating italiano
L’attuale rating della Repubblica Italiana è attualmente classificato nel comparto Investment Grade. Tuttavia, se dovesse avvenire un declassamento, l’Italia verrebbe considerata un asset più rischioso. Questo avrebbe conseguenze significative, poiché molti fondi d’investimento sono obbligati per statuto a detenere solo asset con un rating di Investment Grade o superiore. Di conseguenza, questi fondi dovrebbero vendere in modo forzato i titoli di Stato italiani (Btp e Bot) che hanno in portafoglio.
Questa situazione è di grande rilevanza, soprattutto considerando che l’Italia dovrà collocare sul mercato circa 548 miliardi di euro l’anno prossimo, una cifra superiore di 46 miliardi rispetto al 2023, secondo i calcoli di Intesa Sanpaolo. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha anche sottolineato l’importanza di questa questione, affermando che le agenzie di rating e i mercati non guardano solo il debito italiano, ma soprattutto se tale debito è sostenibile nel lungo periodo, basandosi sulla presenza di un percorso di crescita graduale ma continuo.
Visco ha anche sottolineato che lo spread tra i rendimenti dei titoli di Stato italiani e tedeschi, che attualmente si trova intorno ai 200 punti base, non riflette completamente la forza dell’economia italiana. Pertanto, è necessario fornire indicazioni a lungo termine su come far ripartire in modo solido l’economia del paese.
Attualmente, le principali banche d’affari internazionali continuano a prevedere un differenziale di rendimento tra i titoli di Stato italiani e tedeschi compreso tra 235 e 250 punti base nel primo trimestre dell’anno prossimo. Tuttavia, in caso di declassamento del rating, una revisione al rialzo dello spread potrebbe essere molto marcata, con conseguenze importanti per i costi di finanziamento dell’Italia.