Inflazione confermata allo 0,8%. La top ten delle città più care

L'Istat ha confermato una crescita tendenziale dell'inflazione dello 0,8% ma i prezzi del carrello della spesa e degli alimentari continuano a correre troppo velocemente

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Redazione

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A febbraio l’inflazione resta stabile allo 0,8%. La conferma del ritmo di crescita dei prezzi al consumo – spiega l’Istat – si deve principalmente al venir meno delle tensioni sui prezzi degli  alimentari, non lavorati e lavorati, i cui effetti compensano l’indebolimento delle spinte deflazionistiche provenienti dagli energetici. In particolare, si attenua la flessione su base tendenziale dei prezzi dei Beni energetici, che a febbraio si attesta al -17,3% (dal -20,5% di gennaio). Si riduce a +3,4% il tasso di crescita in ragione d’anno dei prezzi del “carrello della spesa” (da +5,1% di gennaio), mentre l’inflazione di fondo si attesta al +2,3% (da +2,7% del mese precedente). È quanto rileva l’Istat nel report sui prezzi al consumo di febbraio 2024.

A febbraio, anche l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) registra un aumento di 0,8% su base annua (in decelerazione da +0,9% di gennaio). La dinamica dell’IPCA è spiegata prevalentemente, come per il NIC, dall’andamento dei prezzi di Abitazione, acqua, elettricità e combustibili (che ridimensionano la flessione da -13,8% a -11,7%) e di quelli della divisione Trasporti (da +1,4% a +1,6%); ampliano invece la flessione i prezzi di Comunicazioni (da -3,2% a -6,2%) e decelerano quelli di Prodotti alimentari e bevande analcoliche (da +5,9% a +3,9%).

Bicchiere ancora mezzo vuoto

“L’assestamento dell’inflazione, ferma a febbraio allo 0,8%, è un segnale positivo, ma sul fronte dei listini al dettaglio – commenta il Codacons – il bicchiere è purtroppo ancora mezzo vuoto: occorre infatti ricordare che il dato arriva dopo due anni di caro-prezzi che hanno influito pesantemente su redditi e capacità di acquisto delle famiglie“.
“Al di là del tasso medio di inflazione di febbraio che risente della forte contrazione registrata per i beni energetici (-17,3% su anno), è senza dubbio da evidenziare la frenata del carrello della spesa che su base annua scende dal +5,1% al +3,4%, mentre i prodotti ad alta frequenza d’acquisto passano dal +3,5% di gennaio a +2,8% di febbraio – spiega il presidente Carlo Rienzi –. Segnali positivi che tuttavia non bastano: nel biennio 2022-2023 i prezzi al dettaglio sono infatti saliti complessivamente del +13,8%, aggravando la spesa delle famiglie e incidendo su redditi e capacità d’acquisto dei cittadini. I listini devono quindi invertire il trend e iniziare a scendere, specie in settori come gli alimentari dove i rincari sono ancora sostenuti e nell’ordine del +3,9%”. Il Codacons sottolinea poi le forti differenze a livello territoriale sul fronte dell’inflazione: Napoli e Bolzano sono le città che, a febbraio, registrano la crescita dei prezzi più sostenuta, con un tasso medio annuo del +1,7%, mentre ben 4 province appaio in deflazione, Brescia e Catania (-0,1%), Ancona (-0,2%) e Campobasso (-0,9%).

Ancora tensioni su alimentari e turismo

Bene per Assoutenti la frenata dell’inflazione, che a febbraio rimane stabile allo 0,8% su anno, ma in alcuni comparti l’andamento dei listini al dettaglio rappresenta ancora una criticità. “I prezzi di alimentari e bevande continuano a registrare un andamento in controtendenza rispetto ad altri comparti, con i listini che a febbraio salgono del +3,9% su base annua: questo significa che per mettere il cibo in tavola una famiglia con due figli spende in media +314 euro all’anno – spiega il presidente di Assoutenti Gabriele Melluso –. Anche le tariffe dei servizi ricettivi e di ristorazione (alberghi, bar, ristoranti, ecc.) aumentano in modo sensibile, e segnano un +4% su anno: decisamente un pessimo segnale in vista delle prossime festività di Pasqua”.

Stangata cibo: +314 euro per coppie con 3 figli

“Grave che i prezzi non precipitino visto che sono a livello astronomico da mesi. Anche se il rincaro rispetto a gennaio è solo dello 0,1%, si tratta della classica goccia che fa traboccare il vaso. Unico spiraglio di luce è che i prodotti alimentari su base mensile calano dello 0,2%, ma si tratta di una magra consolazione, insufficiente per aiutare le famiglie ad arrivare a fine mese – afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori –. Purtroppo il calo del prezzo del gas nei mercati all’ingrosso è stato in gran parte vanificato dal ripristino dell’Iva piena sulle bollette deciso dal Governo, altrimenti vi sarebbe stata una frenata dell’inflazione significativa. Un’occasione persa che poteva ridare fiato alle famiglie. Per una coppia con due figli, l’inflazione a +0,8% significa, grazie al risparmio sulla voce Abitazione ed elettricità pari a 545 euro, un aumento del costo della vita pari a “solo” 90 euro su base annua, ma il fatto grave è che 314 euro servono solo per far fronte ai rincari del 3,9% di cibo e bevande. Per una coppia con 1 figlio, la spesa aggiuntiva annua è pari a 46 euro, ma 284 euro in più sono necessari per mangiare e bere. Il primato alle famiglie numerose con più di 3 figli con 103 euro, +372 per nutrirsi e dissetarsi”.

Il carrello della spesa cresce del +3,4%

Secondo le stime dell’O.N.F. – Osservatorio Nazionale Federconsumatori, con l’inflazione a questi livelli le ricadute per una famiglia media ammontano, in termini annui, a +252 euro. “Ricadute – spiega Federconsumatori – che colpiscono in maniera significativa il potere di acquisto delle famiglie, specialmente quelle a basso reddito, costrette a rinunce e sacrifici per arrivare a fine mese, che intaccano persino i consumi alimentari, a partire da una riduzione di oltre il -16% del consumo di carne e pesce e da un ricorso sempre più massiccio a discount, offerte e prodotti last minute. Di fronte a tale andamento continuiamo a sostenere la necessità che il Governo non abbassi la guardia: in questa fase è ancora prematuro e rappresenta un grave errore. Al contrario, è necessaria l’adozione di provvedimenti mirati, per ridare ossigeno alle famiglie e sostenere la domanda interna, attraverso: una riforma delle aliquote Iva sui generi di largo consumo (che consentirebbe alle famiglie di risparmiare oltre 531,57 euro annui), provvedimento che va accompagnato da misure sanzionatorie di controllo; la creazione di un Fondo di contrasto alla povertà energetica; azioni di contrasto alle disuguaglianze, che passino per il rinnovo dei contratti, una giusta rivalutazione delle pensioni, la resa strutturale del taglio del cuneo fiscale e una riforma fiscale equa, davvero tesa a sostenere i redditi medio-bassi e non ad agevolare quelli più elevati. Le risorse per finanziare le misure appena descritte possono (e devono) essere reperite attraverso una adeguata tassazione degli extraprofitti e un aumento della tassazione sulle transazioni finanziarie; nonché attraverso un serio piano di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale”.

La top ten delle città più care d’Italia

Sulla base dei dati Istat pubblicati oggi l’Unione Nazionale Consumatori ha stilato la top ten di tutte le città più care d’Italia, in termini di aumento del costo della vita, sulla base dei nuovi dati del paniere Istat. Non solo, quindi, delle città capoluogo di regione o dei comuni con più di 150 mila abitanti ma di tutte le città monitorate dall’Istat. In testa alla top ten delle più care d’Italia torna Bolzano, dove l’inflazione pari all’1,7%, la seconda più alta d’Italia dopo Brindisi, si traduce nella maggior spesa aggiuntiva su base annua, equivalente a 492 euro per una famiglia media, in aumento rispetto alla spesa che ci sarebbe stata con i vecchi dati Istat ora superati, pari a 452 euro. Medaglia d’argento per Brindisi, dove il rialzo dei prezzi del 2,1%, il record del mese di febbraio, determina un incremento di spesa annuo pari a 398 a famiglia. Medaglia di bronzo per Napoli che con +1,7% ha una spesa supplementare pari a 375 euro annui per una famiglia tipo (sarebbero stati 344 euro lo scorso anno). Appena fuori dal podio Venezia (+1,4%, al 5° posto per inflazione, pari a 369 euro), poi Trieste (+1,4%, 342 euro), al sesto posto Firenze (+1,3%, +340 euro), poi Bologna (+1,2%, 334 euro), Pisa (+1,3%, 332 euro) e Rimini (+1,2%, 326 euro). Chiude la top ten Alessandria (+1,3%, +325 euro). In testa alla classifica delle regioni più “costose”, con un’inflazione annua a +1%, il Trentino Alto Adige che registra a famiglia un aggravio medio pari a 284 euro su base annua. Segue il Veneto, dove la crescita dei prezzi dell’1,1% implica un’impennata del costo della vita pari a 274 euro, terza il Lazio (+1,1% e +269 euro).

Le città più virtuose

Nella graduatoria delle città più virtuose d’Italia, 9 città sono in deflazione. Tra queste vince Campobasso dove l’inflazione più bassa d’Italia, pari a -0,9% si traduce in un risparmio equivalente, in media, a 186 euro su base annua. Medaglia d’argento per Imperia, dove la diminuzione dei prezzi dello 0,7% determina un calo di spesa annuo pari a 157 euro per una famiglia tipo. Sul gradino più basso del podio delle città più risparmiose, Pescara che con -0,7% ha un taglio delle spese pari a 156 euro annui per una famiglia media. La regione più risparmiosa è il Molise (-0,8%, -166 euro). Medaglia d’Argento per l’Abruzzo, sempre in deflazione (-0,2%, pari a -43 euro).