E-commerce in Italia, raggiunti i 133 miliardi di euro di valore: è pari al 7% del Pil nazionale

Il settore, trainato dal Made In Italy, continua a essere uno dei più prolifici all’interno dell’ecosistema socio-economico del nostro Paese

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

Pubblicato: 1 Giugno 2024 16:38

Nel 2022, l’e-commerce ha generato in Italia un valore complessivo di oltre 133,6 miliardi di euro, rappresentando il 7% del Pil, con un incremento del 13,9% rispetto all’anno precedente.

I risultati derivano da una ricerca di Netcomm, in collaborazione con Althesys, presentata durante il convegno “Elezioni Europee e Commercio Digitale – Scenari Futuri e Prospettive per la Competitività dell’Italia e dell’Europa” a Roma.

L’impatto economico della filiera

Il settore ha creato 1,6 milioni di posti di lavoro, un aumento del 12,4% rispetto al 2021, rappresentando il 6,4% dell’occupazione totale in Italia, con salari lordi complessivi pari a 35 miliardi di euro, registrando un incremento del 13,2% rispetto al 2021. Grazie a questa ricchezza, lo Stato ha potuto investire 49,6 miliardi di euro in servizi pubblici e infrastrutture, pari al 9,1% delle entrate fiscali del 2022.

La ricerca ha individuato tre macro-fasi che compongono la filiera dell’e-commerce: gli online seller al centro, i fornitori a monte e il supporto alle attività di vendita a valle. La maggior parte del valore condiviso (46,5%) proviene dalle attività degli online seller, che hanno generato 61,9 miliardi di euro nel 2022 (+8,5% rispetto al 2021) e occupano 773.000 persone (+7,7%). Qui, i brand rappresentano il 75% del valore aggiunto, seguiti dai Retailer (22%) e dai Marketplace (3%).

Il rimanente valore è equamente suddiviso tra i fornitori, che hanno generato 36,6 miliardi di euro (+8% rispetto al 2021) e impiegato 445.400 persone (+8,7%), e il supporto alle attività di vendita, che ha generato 35,1 miliardi di euro (+33% rispetto al 2021) e impiegato 415.100 lavoratori (+27%).

«L’e-commerce non è più il negozio online di 20 anni fa, ma è un’industria che contribuisce al Pil, all’occupazione, al gettito fiscale. Al pari dell’industria automobilistica o delle costruzioni, c’è una relazione di interdipendenza tra fornitori, produttori, logistica, pagamenti – ha spiegato Roberto Liscia, presidente di Netcomm –. È un settore che trascina occupazione e giovani provenienti dalle Stem; fa da detonatore dello sviluppo digitale delle aziende e dell’Ia, perché sappiamo che l’intelligenza artificiale si sviluppa solo se viene utilizzata. È un settore industriale vero e proprio che deve essere guardato – e governato – come tale, non come concorrente dei negozi fisici».

Anche i commercianti offline sembrano aver abbracciato l’idea di ibridazione tra canali di vendita, spinti sia dall’esperienza del Covid sia dalle decisioni di acquisto dei clienti.  “Ci troviamo in una fase di rapida evoluzione della multicanalità,” continua Liscia. “L’indice di ibridazione delle imprese, da noi calcolato, è del 3,9, il doppio rispetto al 1,7 di tre anni fa. Si è compreso che il digitale accelera la competitività delle imprese, permettendo loro di competere a livello globale. È un tema su cui l’Europa si sta muovendo rapidamente, e nonostante siamo ancora in ritardo rispetto ad altri, abbiamo comunque una catena di valore.”

L’Italia bocciata per le regole sull’e-commerce

Intanto la Corte di giustizia europea ha respinto gli obblighi supplementari proposti dal Governo italiano per gli e-commerce e le piattaforme di Big Tech come Amazon e Google. Secondo il tribunale con sede in Lussemburgo, “il diritto dell’Unione europea si oppone a misure come quelle adottate dall’Italia”.

La Corte UE ha dichiarato che “l’Italia non può imporre agli operatori di tali servizi stabiliti in altri Stati membri obblighi supplementari che, sebbene richiesti per l’esercizio di tali servizi in Italia, non sono previsti nello Stato membro in cui tali operatori sono stabiliti”. Questa decisione riguarda le cause riunite di Airbnb, Expedia, Google, Amazon e Vacation Rentals, evidenziando come queste aziende siano soggette in Italia a specifici obblighi aggiuntivi, introdotti dalla legislazione nazionale.