Due colossi italiani dei trasporti nei guai: cosa facevano

I colossi dei trasporti e della logistica finiscono nei guai al termine di una lunga indagine che ha smascherato delle irregolarità: ecco le accuse

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Luca Bucceri

Giornalista economico-sportivo

Giornalista pubblicista esperto di sport e politica, scrive di cronaca, economia ed attualità. Collabora con diverse testate giornalistiche e redazioni editoriali.

Guai per due colossi dei trasporti che operano in Italia. Al termine delle indagini svolte dal Nucleo di polizia economico-finanziaria di Milano, infatti, Brt e Geodis, big della logistica controllati da due diversi gruppi francesi a capitale anche statale, sono stati messi in amministrazione giudiziaria per un anno. A disporre questo provvedimento è stato il Tribunale di Milano su richiesta della Procura. Ma cosa è successo?

Brt e Geodis nei guai, l’indagine

Il provvedimento, che dispone l’amministrazione giudiziaria per un anno per Brt e Geodis, arriva al termine di alcune indagini che si sono concentrate “su un’articolata frode fiscale caratterizzata dall’utilizzo di fatture per operazioni giuridicamente inesistenti e dalla stipula di fittizi contratti di appalto che simulavano una somministrazione di manodopera, in violazione della normativa di settore”. Sulla base di questo importante filone sono stati anche disposti dei sequestri preventivi per oltre 126 milioni di euro da parte della Direzione distrettuale antimafia.

Nel corso dell’inchiesta, diretta dal pm Paolo Storari, è emerso un “sistematico sfruttamento di diverse migliaia di lavoratori“, con le indagini che hanno consentito di accertare che i lavoratori erano sottoposti a orari e ritmi di lavoro estenuanti. Al fine di proporsi sul mercato con prezzi competitivi e sfruttando lo stato di necessità dei lavoratori, i due colossi sottopagavano i dipendenti e, soprattutto, li facevano transitare da una società all’altra, di fatto privandoli delle previste forme di tutela assistenziale e previdenziale.

Come si legge nella nota della Guardia di Finanza, tutte le operazioni messe in atto non solo non erano favorevoli per i lavoratori, ma soprattutto andavano a “influenzare le corrette dinamiche di mercato e di leale concorrenza a discapito delle imprese che invece operano in maniera sana”.

Nessuna garanzia per i lavoratori

Oltre a essere sottoposti a orari di lavoro estenuanti con page tutt’altro che in linea, i dipendenti di Brt e Geodis, secondo quanto emerso dall’indagine, erano totalmente in balia del destino. Non avevano alcuna forma assistenziale e previdenziale e, addirittura, in caso di infortuni sul lavoro, Brt evitava di “chiamare l’ambulanza e l’infortunato veniva portato in ospedale da una persona di fiducia”.

Insomma, come riferiscono i giudici della Sezione misure di prevenzione di Milano nel loro decreto, si trattava di un vero e proprio caporalato dell’azienda, leader nelle consegne in Italia (qui vi abbiamo parlato di DHL e delle assunzioni post inchiesta).

È emerso anche che gli operai delle due aziende non avevano diritto a visite mediche, né a corsi di formazione ed erano gli stessi lavoratori a volte a dover contribuire per comprarsi alcuni “strumenti lavorativi”. Come detto, poi, passavano da una cooperativa all’altra perdendo “ogni diritto di carattere economico”, come gli scatti di anzianità. E non venivano pagati durante le ferie e non ricevevano la tredicesima.

E a proposito di pagamenti, dagli stipendi emerge un altro quadro assurdo. I compensi mensili venivano infatti qualificati come “trasferta Italia” in modo da evitare il pagamento dei contributi e in alcuni casi i lavoratori venivano pagati solo “a cottimo per le consegne”. Secondo il Tribunale, che ha accolto la richiesta del pm Paolo Storari nell’indagine della Gdf, tale sistema ha consentito a Brt di “risparmiare a tutto detrimento dei lavoratori e dell’Erario la somma di 100 milioni di euro all’anno”.