La Corea del Sud proclama (e poi revoca) la legge marziale, cosa significa

Il presidente Yoon Suk Yeol ha richiamato il pericolo (molto sentito) della minaccia della Corea del Nord. Ma la vera questione è politica e interna: l'opposizione, che controlla il Parlamento, vota per la revoca. Ma non è tutto qui

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Pubblicato: 3 Dicembre 2024 19:43

Il mondo sembra davvero impazzito. Più o meno è questo il primo pensiero che è balenato a chi ha sentito le ultime sulla Corea del Sud. Il presidente Yoon Suk-yeol ha proclamato la legge marziale d’emergenza in diretta televisiva, in maniera inaspettata e rendendo più concreto il ritorno della guerra contro la Corea del Nord. Salvo poi ritirare il provvedimento dopo il voto di revoca del Parlamento e le proteste di piazza.

Ma perché il governo sudcoreano ha preso una tale decisione? Il Capo dello Stato ha dichiarato con tono solenne di essere stato spinto dalla necessità di proteggere il Paese “dalle minacce comuniste del Nord”. Rivelando già un primo, decisivo indizio. Il secondo arriva a stretto giro, un paio di frasi dopo: “Per eliminare gli elementi anti-Stato”. Cerchiamo di capirci qualcosa.

L’annuncio a sorpresa del presidente sudcoreano Yoon in tv

La dichiarazione della legge marziale Yoon Suk-yeol è avvenuta nel corso di un discorso alla nazione trasmesso in diretta televisiva. Andiamo subito al nocciolo della questione: il centro del suo intervento ha riguardato le cosiddette “forze anti-statali”, utilizzando la sentitissima minaccia nordcoreana come molla per giustificare quello che in realtà è uno scontro socio-politico interno al governo e alla nazione. Non c’è infatti accusa peggiore a Seul che descrivere qualcuno come “simpatizzante della Corea del Nord”. E il presidente sudcoreano ha descritto proprio in questo modo le forze di opposizione che controllano il Parlamento. Ma stavolta non c’era alcuna avvisaglia di test missilistico o ascesa nucleare da parte del grande nemico settentrionale.

La mossa a sorpresa di Yoon Suk-yeol ha ricordato a molti sudcoreani e a diversi analisti un’era di leader autoritari che il Paese non sperimenta dagli Anni Ottanta. In seguito all’annuncio, l’esercito della Corea del Sud ha proclamato che il Parlamento e altre assemblee politiche che potrebbero causare “confusione sociale” sarebbero stati sospesi. Video pubblicati sui social hanno mostrato anche elicotteri militari atterrare sul tetto del palazzo istituzionale. Oltre che inaspettata, la mossa di Suk Yeol è l’estremo tentativo di sovversione di un leader sempre più impopolare e politicamente isolato. Come del resto dimostra il fatto che non solo il principale partito d’opposizione, il Partito Democratico (maggioritario all’interno dell’Assemblea nazionale), ha condannato la mossa del presidente: a scagliarsi contro la proclamazione unilaterale della legge marziale è stato la stessa “casa politica” di Yoon, il Partito del Potere del Popolo. Tutti contro Yoon, in pratica.

Eppure l’esercito (e la legge) è stato chiaro: fino all’ufficializzazione della revoca, la legge marziale resta in vigore. Il Paese ha vissuto ore davvero concitate, con i militari armati di fucile che tentavano di fare irruzione nell’Aula (osteggiati con barricate dagli stessi addetti parlamentari) mentre i parlamentari votavano per cancellare il provvedimento. I soldati hanno poi lasciato il Parlamento, mentre all’esterno migliaia di dimostranti si sono radunati per protestare contro il presidente. Sulla base della Costituzione sudcoreana, il Capo dello Stato è ora vincolato a revocare la legge marziale. La tensione resta tuttavia alta e suscettibile di svolte autoritarie, anche con la complicità delle Forze armate.

L’esplosiva situazione interna alla Corea del Sud

Gli eventi odierni sono la deflagrazione di fenomeni sociali in ebollizione da tempo nel Paese asiatico. Consapevole di ciò e “coperto” dal decreto appena varato da Yoon, l’esercito ha avvisato che arresterà chiunque violi le disposizioni previste dalla legge marziale. Una delle questioni interne più spinose riguarda il settore sanitario. Migliaia di medici sono in sciopero da mesi contro i piani del governo di aumentare il numero degli studenti ammessi nelle facoltà universitarie di Medicina. La temperatura politica si è impennata dopo che Yoon ha respinto le richieste di indagini indipendenti sugli scandali che coinvolgono la moglie e alti funzionari, ricevendo forti critiche dai suoi rivali politici.

C’è infine un altro elemento da tenere in considerazione: la Corea del Sud è un satellite degli Stati Uniti e rappresenta un tassello fondamentale della rete di contenimento costruita contro la Cina. Ne consegue che tutto ciò che avviene all’interno del Paese è tenuto in gran conto dai decisori americani. E il presidente Yoon lo sa e tenta verosimilmente di trarne vantaggio. L’aumento dell’instabilità sudcoreana rappresenta un problema strategico per Washington, che potrebbe intervenire per riportare la calma. Nel frattempo a nord del 38° parallelo, il regime di Kim Jong-un – stretto alleato della Russia in questa fase storica – manovra da tempo per destabilizzare il sistema a guida americana. Ne sono un esempio i test missilistici e l’invio di soldati in Ucraina. Non a caso, dalla Casa Bianca si sono detti “seriamente preoccupati”.

La revoca della legge marziale

Dopo un’intera giornata di panico e caos a Seul, il decreto di Yoon ha conosciuto l’inevitabile revoca. In primis per l’opposizione unanime di Parlamento e opinione pubblica, ma anche per le pressioni del patron statunitense. Dopo il ritiro ufficiale della legge marziale, l’esecutivo ha ritirato il personale militare che era stato dispiegato. Il principale sindacato sudcoreano (orean Confederation of Trade Unions) ha indetto uno “sciopero generale” fino alle dimissioni del presidente. Da parte sua, Yoon sembra non avere altra scelta ormai. Quasi tutti i suoi collaboratori più stretti hanno offerto le dimissioni, mentre il Capo dello Stato ha rinviato quella che sarebbe dovuta essere la sua prima apparizione pubblica dopo i disordini notturni, e cioè un incontro presso l’ufficio presidenziale dedicato alla lotta alle droghe.

Il partito Democratico presenterà l’accusa di insurrezione contro il presidente sudcoreano e altri funzionari, tra cui figure chiave come il comandante responsabile del rispetto della legge marziale e il capo della polizia. Secondo i media di Seul, inoltre, sei partiti di opposizione hanno deciso di accelerare il passo per la messa in stato d’accusa di Yoon con il deposito della mozione di impeachment in Parlamento e la sua votazione è ritenuta possibile “entro fine settimana”. Han Dong-hun, capo del People Power Party dello stesso presidente, ha chiesto invece il licenziamento del ministro della Difesa e le dimissioni dell’intero governo.

Cosa rischia ora Yoon

Il provvedimento per mettere in stato d’accusa il Capo dello Stato dovrà essere messo ai voti entro 72 ore. Il testo dovrà poi essere approvato da più di due terzi del Parlamento. A quel punto Yoon sarà processato da una corte composta da nove giudici e, qualora venga giudicato colpevole da almeno sei di questi, verrà condannato e ovviamente destituito. Il tutto a meno che non si dimetta prima. “Non c’è altro modo per lui di evitare l’accusa di tradimento”, ha sottolineato Park Chan-dae, un parlamentare di lungo corso del partito Democratico.

Cos’è la legge marziale d’emergenza e come funziona in Corea del Sud

La legge marziale d’emergenza è l’unione di due procedure e due istituzioni, giudiziaria e militare. Il primo è lo stato d’emergenza, che sospende il governo civile e lo pone sotto il controllo diretto dell’apparato militare, incarnato dall’esercito regolare. Di conseguenza vengono sospese le procedure legali civili in favore di quelle militari. In Corea del Sud, lo stato d’emergenza è previsto dall’articolo 77 della Costituzione. Esso stabilisce che è il presidente a poterlo dichiarare in diverse circostanze: in caso di “guerra”, di “incidenti gravi” o in generale di “emergenze nazionali”.

A differenza dell’altra tipologia di legge marziale attivabile nel Paese, detta “di sicurezza”, quella d’emergenza consente di limitare ancora di più le libertà civili come quelle di parola, stampa, assemblea e associazione. Può essere fortemente manovrata anche l’attività dei tribunali e degli organi decisionali della nazione. Essendo un dispositivo così a rischio di svolta autoritaria, l’ordinamento giuridico ha predisposto una serie di contrappesi e vincoli tra l’annuncio e l’effettiva entrata in vigore. Dopo la proclamazione, il presidente deve rimettere il provvedimento all’Assemblea nazionale che, nel caso voglia revocarla con il consenso della maggioranza dei parlamentari, può bloccare l’iter. Come infatti è successo.

Nella storia sudcoreana, la legge marziale è stata dichiarata altre sette volte. La prima fu durante la rivoluzione guidata nell’aprile 1960 da lavoratori e studenti e che portò alla fine della prima Repubblica e alla caduta dell’autocratico presidente Syngman Rhee. La seconda legge marziale venne proclamata l’anno successivo, a seguito del golpe militare del 16 maggio 1961 che avrebbe portato al potere per quasi due decenni Park Chung-hee. Quest’ultimo proclamò nuovamente la legge marziale nel 1964 per contrastare il Movimento di Resistenza del 3 giugno, contrario alla normalizzazione delle relazioni tra la Corea del Sud e il Giappone. L’ultimo precedente è data 1980, quando il governo militare applicò la legge marziale ancora una volta per reprimere un movimento di protesta. La decisione condusse al celebre massacro di Gwangju.

Chi è il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol

Ex procuratore capo della Corea del Sud dal 2019 al 2021, Yoon Suk-yeol si è costruito in patria la reputazione di “fissato” per la legalità e di non essere disposto ad alcun compromesso. Nato a Seul nel 1960 in una famiglia di professori universitari, Yoon ha studiato Giurisprudenza alla Seoul National University, l’ateneo “dei ricchi” in cui si forma la classe dirigenziale del Paese, considerato letteralmente il paradiso lavorativo da tutti gli strati sociali. Yoon ha iniziato la sua carriera da procuratore nel 1994, diventando famoso per le indagini su clamorosi casi di corruzione inclusi quelli che travolsero l’ex presidente Park Geun-hye, finora l’unica a subire l’impeachment. La discesa in politica avviene nel 2021, con l’ingresso di Yoon nel partito conservatore del People Power Party. Una corsa rapidissima, che l’ha portato a vincere (di misura) le presidenziali nel 2022.

Sposando per esigenze propagandistiche l’opposizione dura e cruda alla Corea del Nord, Yoon si è fatto promotore di un “approccio senza compromessi” che ha indotto i media locali a paragonarlo a personaggi del calibro di Winston Churchill. La repentina ascesa al potere del presidente si è però lasciata dietro lacune dimostratesi insanabili, come una netta inesperienza in ambito istituzionale e la formazione raffazzonata di un governo diviso. Un colpo decisivo alla sua popolarità è arrivato con le controversie che hanno coinvolto la sua famiglia, a partire dalla moglie Kim Keon-hee, finita nel mirino per l’oscura e inattesa vicenda di una costosa borsa regalata da un noto predicatore locale. Yoon ha dovuto affrontare un calo irreversibile degli indici di gradimento da quando è entrato in carica, nel maggio 2022. Le lotte per far passare le sue politiche in un Parlamento controllato dalle forze d0’opposizione, senza mostrare i segnali di mediazione tipiche di un sistema democratico e con la profonda insofferenza anche verso il suo stesso partito, hanno esacerbato le lacerazioni interne.

La “gaffe dei cipollotti” che ha creato problemi a Yoon

L’esecutivo Suk-yeol è stato accusato di aver soffocato le indagini indipendenti sugli scandali che hanno coinvolto alti funzionari: 22 le mozioni proposte dal Parlamento, un record. Poi c’è il caso che ha interessato lui e sua moglie per traffico di influenze. La controversia ha avuto un forte impatto sulla sua popolarità e regalato appigli politici ai suoi rivali. Yoon e la moglie avrebbero influenzato in modo improprio la selezione dei candidati dei conservatori alle elezioni parlamentari suppletive del 2022, su richiesta del “mediatore” Myung Tae-kyun, un politico che aveva condotto sondaggi per conto di Yoon prima e in vista della sua presidenza. Le elezioni, per la cronaca, l’attuale Capo dello Stato le ha malamente perse soprattutto per la “gaffe dei cipollotti”, incapace di valutare il caro-vita del Paese colpito dall’inflazione in funzione di un elemento principe della cucina sudcoreana.

A dispetto del diniego di ogni responsabilità, le opposizioni hanno continuato a sparare a zero sull’ufficio presidenziale, trasferito da Yoon dalla Blue House (“deve essere un luogo aperto alle visite della gente”, disse) nel compound fortificato e protetto del ministero della Difesa. Proprio da qui il presidente ha deciso l’inattesa svolta autoritaria della legge marziale. Tra le sue apparizioni più ad effetto, Yoon ha cantato “American Pie” di Don McLean quando è stato ospite di Joe Biden nel 2023 alla Casa Bianca, strappando una standing ovation che gli ha portato forse l’unico rimbalzo di popolarità in patria. Una ventata di vibrazioni positive, seppur evanescenti, l’ha registrata anche quando ha annunciato di aver ripreso a giocare a golf in vista dell’incontro con Donald Trump, mostrando una certa sagacia sul fronte della diplomazia internazionale.